Operistica, Recensioni

Stagione d’opera 2016-17 – Teatro comunale Bologna 7 Luglio 2016

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Con buona pace di quel frescone anonimo che mi ha accusato di apprezzare solo i teatri d’opera fuori di Bologna (ma gli consiglierei di leggere la mia recente recensione dell’ “Entführung aus dem Serail” alla Deutsche Oper di Berlino…: il provincialismo è sinonimo di dilettantismo) è stato piacevole leggere sui giornali le anticipazioni della prossima stagione d’opera Bologna. Pare che finalmente il buon senso prevalga e che le fughe in avanti di Ronchiana memoria (che producono fughe tout court degli spettatori) siano state accantonate senza necessariamente rinunciare al repertorio contemporaneo (ben venga il Peter Grimes da così lungo tempo assente). Si temono purtroppo le esternazioni della nuova assessora alla cultura “molto vicina a Ronchi”, locuzione drammaticamente infelice ma molto usata: per il momento godiamoci questa fase. Naturalmente nulla si può dire degli allestimenti e dei casts e Kurvenal sarà sempre presente per recensioni puntuali e indipendenti.
Happy

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Operistica, Recensioni

Orfeo ed Euridice – Berlino Staatsoper 24 Giugno 2016

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Uno spettacolo non eccezionale della Staatsoper che non manca di spunti interessanti e talvolta anche spiritosi. D’altronde Orfeo ed Euridice di Gluck è opera molto più nota per alcune delle sue arie (quella degli spiriti infernali, quella degli spiriti celesti, “che farò senza Euridice”) che per l’intero svolgimento che ha non pochi momenti meno felici musicalmente e la cui trama è ovviamente nota e datata. Ha quindi fatto bene il regista a “sdrammatizzare” la vicenda puntando su molti effetti scenici. Fra questi ricordiamo gli spiriti infernali vestiti con cappucci da Ku Klux Clan, gli spiriti celesti con vestiti quasi da cerimonia nuziale e soprattutto la scena assai gustosa della disperazione di Euridice allorché – come richiesto – Orfeo rifiuta di guardare la sua amata.  Euridice infatti giace – morta –  su un letto in una sorta di stanza d’albergo. Quando – richiamata in vita e dopo avere cercato inutilmente di “concretizzare” subito l’arrivo di Orfeo – si dispera per il comportamento di quest’ultimo, Orfeo mostra chiaramente di annoiarsi, si spara una Coca Cola che trova nel frigo della stanza, accende la televisione e si addormenta, svegliato poi da Amore che gli rimprovera il comportamento. Dal punto di vista del canto è maiuscola la prova di Behiun Mehta (Orfeo) e canta anche molto bene la soprano Elsa Dreisig (Euridice). Nella norma gli altri. Un plauso va al coro in questo caso particolarmente felice e ai danzatori che negli spettacoli della staatsoper sono sempre presenti. La direzione di Domingo Hindoyan non ha fatto rimpiangere la sostituzione di Barenboim. Per un guasto tecnico l’opera ha avuto un intervallo non previsto di 20 minuti: anche a Berlino ci sono degli incidenti…

HappyHappy

Cast


  • ORFEO
  • EURIDICE
  • AMOR
  • JUPITER
  • TÄNZERINNEN
    • Vanessa Cokaric
    • Livia Delgado
    • Susanne Eder
    • Angeliki Gouvi
    • Sarah Grether
    • Victoria McConnell
    • Yeri Anarika
  • TÄNZER
    • Roberto Pareira Barbosa
    • Aladino Rivera Blanca
    • Daniel Drabek
    • Chris Jäger
    • Oren Lazovski
    • Ronni Maciel
    • Roberto Junior

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Elektra – Berlino Deutsche Oper 23 Giugno 2016

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Ah l’età e la memoria…. Avevo già visto questa edizione dell’Elettra di Strauss alla Deutsche Oper tre anni fa: stessa scenografia, stessa orchestra e stesso direttore. Ma di certo non rimpiango la dimenticanza: l’interpretazione di Evelyn Herlitzius come Elettra (la stessa che ha cantato Elettra alla Scala nel 2014) è stata eccezionale, Forse la Herlitzius è la migliore Elettra oggi sul mercato. La scena è costituita da uno spazio vuoto con due porte a destra e a sinistra e una finestra centrale aperta a un’altezza di un paio di metri ove compaiono i protagonisti (Clitemnestra, Egisto e Crisotemide) a seconda dello svolgimento mentre Elettra è sempre in scena. La scena è cosparsa di una sorta di sabbia che permette ai protagonisti di gettarsi a terra senza danno. Una scenografia “essenziale” ma forse un po’ troppo “essenziale”: assai migliore era quella della Scala con più piani su cui i protagonisti si muovevano. Uno spettacolo comunque di altissimo livello applauditissimo dal pubblico nel quale vi erano moltissimi giovani silenziosi, educati e attentissimi all’opera. Quindi è possibile…. Compagnia di canto eccellente e eccellente orchestra e direttore. Elettra fa parte del “repertorio” della Deutsche Oper e a ragione. E ora nuovamente a Bologna…

HappyHappy

Besetzung
Musikalische Leitung Donald Runnicles
Inszenierung Kirsten Harms
Bühne, Kostüme Bernd Damovsky
Chöre William Spaulding
Choreographie Silvana Schröder
Klytämnestra Doris Soffel
Elektra Evelyn Herlitzius
Chrysothemis Manuela Uhl
Aegisth Clemens Bieber
Orest Tobias Kehrer
Der Pfleger des Orest Seth Carico
Die Vertraute Nicole Haslett
Die Schleppträgerin Alexandra Hutton
Ein junger Diener James Kryshak
Ein alter Diener Stephen Bronk
Die Aufseherin Stephanie Weiss
1. Magd Annika Schlicht
2. Magd Rebecca Jo Loeb
3. Magd Jana Kurucová
4. Magd Fionnuala McCarthy
5. Magd Elbenita Kajtazi
Chorus Chor der Deutschen Oper Berlin
Orchester Orchester der Deutschen Oper Berlin
Tänzer Opernballett der Deutschen Oper Berlin

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Der Ring des Nibelungen – Berlino Staatsoper 11-12-14-19 Giugno 2016

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Dopo 7 anni il Ring di Cassier-Barenboim non dimostra assolutamente i suoi anni comprovando – mai che ce ne fosse bisogno – che gli spettacoli di classe non hanno età e non soffrono di quella notorietà transiente che tanti registi e sceneggiatori in cerca di facili citazioni (negative  per lo più, ma che importa?) ricercano ad ogni costo (Bayreuth docet..). Qui la perfetta fusione fra impostazione registica, direzione d’orchestra e canto fanno di questo Ring un esempio insuperato negli anni recenti. Citare le singole opere sarebbe inutile: fiumi di inchiostro sono già stati versati ma quello che va sottolineato è che il cambio di alcuni interpreti in alcun modo ha avuto un impatto sul risultato. Ad esempio la sostituzione della grandissima Waltraute Maier con Anja Kampe nel ruolo di Siglinde ha solo rinnovato senza modificare il primo atto della Walküre che è stato accolto dal pubblico con una standing ovation alla quale io stesso non ho potuto sottrarmi. E che dire della superlativa Irene Theorin, oggi insuperata e insuperata Brunhilde e Isotta, una voce possente e drammatica ma allo stesso tempo duttile in tutti i registri e con una presenza scenica imponente raramente riscontrabile? Quanto alla scenografia l’impostazione di Cassier senza indulgere agli eccessi del passato mantiene una impostazione classica con tutti gli strumenti che la moderna tecnologia mette a disposizione. Si pensi solo al movimento dei cavalli sullo sfondo in occasione della famosa “cavalcata” o la selva in cui ha luogo lo struggente dialogo fra Wotan e Brunhilde o… Citare Barenboim sarebbe pleonastico: ormai potrebbe dirigere il Ring ad occhi chiusi stante anche la perfetta sintonia con l’orchestra della Staatskapelle: la sua è una impostazione semplicemente perfetta in ogni registro. Barenmboim è forse oggi l’artista più completo nel panorama musicale: in una settimana può dirigere il Ring, accompagnare un concerto di Lieder, eseguire come solista una concerto per pianoforte e orchestra e dirigere un concerto sinfonico Sempre a livelli superlativi.
PS Giustamente viene lamentato da molti (Carla Moreni inclusa) la scarsa presenza degli spettatori alla Scala anche a spettacoli di qualità come il Rosenkavalier. Ma.. vogliamo considerare che alla Staatsoper l’intero Ring nei migliori posti di platea costa 340 euro mentre alla Scala costava 1100 euro….

HappyHappyHappy

Das Rheingold

  • MUSIKALISCHE LEITUNG
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Die Entführung aus dem Serail – Berlino Deutsche Oper 17 Giugno 2016

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La prima del Ratto del Serraglio è stata un evento molto seguito a Berlino e ha seguito la tipica impostazione delle opere alla Deutsche Oper, ovvero una trasposizione in tempi moderni del Singspiel di Mozart, un’opera “buffa” ma con risvolti filosofici relativi alla tolleranza e all’apertura delle culture, un argomento quanto mai moderno. Ma… All’arrivo lo spettatore si trova davanti a una scena aperta in cui troneggia un sfera gigantesca che servirà per tutta l’opera come video deformante per vari scopi. Belmonte arriva su una sorta di dune-buggy rosso (con hard-top) dotato di gigantesche ruote accompagnato da un amico non meglio identificato e due escorts (?) che durante il tragitto (in realtà affidato a un filmato della sfera) si cambiano d’abito per presentarsi opportunamente discinte. Osmino ovviamente è agghindato come combattente dell’ISIS. Arriva Bassa pasha che – ossequio al mondo LGBT – è una donna e nel frattempo, per essere sicuri che il pubblico capisca, viene proiettata sulla sfera una scena a tre di esso esplicito (molto esplicito)  soltanto con una velocità accelerata “alla ridolini”. Ma non si perde nulla. Il duetto fra il sultano e Konstanze avviene in una palestra dove “la” pasha gestisce un pallone come un giocatore di baseball, facendolo rimbalzare di continuo, e la povera Konstanze è obbligata a cantare la sua  aria in un deshabillé impietoso che le sarà imposto per tutta l’opera mentre esegue esercizi ginnici, corse e corsette etc. (immaginare come si possa cantare in questo modo). La scena dell’harem è rappresentata come un bordello con abbondanza di signorine discinte che si accoppiano liberamente mentre mangiano uno zucchero filato che in realtà dovrebbe essere droga. Nel frattempo sulla sfera-video transitano simboli pubblicitari dei marchi più noti attribuiti al pasha. Poi compare appare anche Willi il coyote che insieme allo struzzo bip-bip è il protagonista di un cartellone nel quale – nella scena successiva – Pedrillo e Blonde inseriscono la loro faccia come nelle più scadenti fun-fairs di periferia. Cosa fa Belmonte assunto dal Pasha? E’ un operatore vestito con tuta protettiva che armeggia intorno ad alambicchi da cui trae la bevanda con cui addormentare Osmino (che bellamente inneggia a un vino che non ha bevuto). Tentativo di fuga  (ovviamente sul dune buggy) fino alla scena in cui il pasha decreta l’esecuzione dei fuggitivi. Solo che in questa scena ciascuno dei protagonisti si accoppia con una della signorine dell’harem (evviva il partouze). Scena finale con il perdono  e finalino del tutto improvvisato e non mozartiano in cui “la” pasha ci predice il ritorno dei protagonisti al paradiso turco. E i dialoghi? In inglese! Perché? Mah. Che dire? Una vergognosa (mi si passi il termine ma quando ce vo’ ce vo’) puttanata di un regista assassino in cerca di facile glamour con provocazioni di bassissimo livello a spese dell’opera, un disgraziato che dovrebbe essere cacciato anche da un teatro di avanspettacolo del sesto mondo. E il canto ? Come si possono classificare cantanti immessi in un simile contesto? Fanno del loro meglio: forse la migliore è Blonde e gli altri sono passabili. Scadente la direzione d’orchestra, piatta e noiosa ma da assolvere per le colpe del regista. Buh Buh finali (il regista non si attenta a comparire sul palcoscenico!) cui mi sono sonoramente associato uscendo dal teatro imbufalito. Pare che Berlino sia colpito da un virus che non si riesce a estirpare: ha smesso la Komische Oper di rappresentare opere in modo scurrile e adesso ci si mette la Deutsche Oper…
PS Da quanto tempo questo titolo manca dal Comunale di Bologna – senza polemica….


SadSadSad
 Cast

Besetzung

Musikalische Leitung Donald Runnicles
Inszenierung, Bühne Rodrigo García
Bühne, Video Ramon Diago
Kostüme Hussein Chalayan
Licht Carlos Marquerie
Chöre William Spaulding
Dramaturgie Jörg Königsdorf
Anne Oppermann
Bassa Selim Annabelle Mandeng
Konstanze Kathryn Lewek
Blonde Siobhan Stagg
Belmonte Matthew Newlin
Pedrillo James Kryshak
Osmin Tobias Kehrer
Chorsoli Carolina Dawabe Valle
Chöre Chor der Deutschen Oper Berlin
Orchester Orchester der Deutschen Oper Berlin
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Cendrillon – Berlino Komische Oper 16 Giugno 2016

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Dopo le sceneggiature rozze e scurrili cui avevo assistito in passato alla Komische Oper avevo giurato a me stesso di non prendere più in considerazione il terzo teatro d’opera di Berlino. E’ stata la nuova direzione del teatro affidata a Henrik Nànàsi e la regia di Michieletto che mi ha convinto a rischiare. Cendrillon (Cenerentola) è opera di Massenet, compositore francese molto noto prima della prima guerra mondiale e oggi praticamente ricordato solo per Werther e Manon.Questo revival è un’operazione di archeologia musicale destinata probabilmente a lasciare l’opera nel dimenticatoio musicale nonostante gli sforzi immaginativi di Michieletto, che ambienta la celebre favola in una scuola di ballo. Cendrillon è una ballerina che ha avuto un incidente e non può partecipare al gran ballo nel quale il principe-ballerino, vessato da un padre impresario, deve scegliere la sua partner. Nella storia figura anche una matrigna-direttrice della scuola di ballo in stile kapò, due sorellastre ballerine che gioiscono dell’incidente di Cendrillon e un padre caritatevole ma imbelle, succube della moglie direttrice. Come sempre accade le trasposizioni mostrano alla fine la corda e l’opera, inizialmente piacevole, scade nella noia nel secondo atto nonostante la presenza di due ballerini professionisti che rappresentano il doppio di Cendrillon e del principe. Finale piuttosto creativo nel quale il trionfo dell’amore  risulta di difficile interpretazione. Inutile fare raffronti fra la Cenerentola di Rossini e Cendrillon di Massenet: il compositore pesarese vince a mani basse e sarebbe interessante capire quali possano essere state le ragioni che hanno spinto il compositore francese verso un testo con un così ingombrante precedente. Quanto alla vocalità la compagnia di canto è di buona qualità con una soprano giovane ma molto promettente. Nella solita norma l’orchestra e il direttore. Molts posti vuoti nel bellissimo teatro.


HappySad

 Cast
STAB
Musikalische Leitung Henrik Nánási
Inszenierung Damiano Michieletto
Choreographie Sabine Franz
Bühnenbild Paolo Fantin
Kostüme Klaus Bruns
Dramaturgie Simon Berger
Chöre Andrew  Crooks
Licht Alessandro Carletti
BESETZUNG
Cendrillon  Nadja Mchantaf
Madame de la Haltière Agnes Zwierko
Le Prince Charmant Karolina Gumos
La Fée Mari Eriksmoen
Noémie Mirka Wagner
Dorothée Zoe Kissa
Pandolfe Werner van Mechelen
Le Roi Carsten Sabrowski
Le Doyen da la Faculté Christoph Späth
Le Surintendant des plaisiers  Nikola Ivanov
Le Premier Ministre Philipp Meierhöfer
Chorsolisten der Komischen Oper Berlin
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Der Rosenkavalier – La scala 7 Giugno 2016

 
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Ma perchè per assistere a un bello spettacolo dopo la miseria del teatro Comunale di Bologna bisogna emigrare alla Scala? Eppure il  teatro bolognese è stato nel passato capace di grandi produzioni: il Ring degli anni ’90, il Faust degli anni ’80 e più recentemente Le nozze di Figaro di Martone e Mariotti. Vogliamo sottolineare che non è solo una questione economica ma ben diverso era il management? Der Rosenkavalier per alcuni non è la più bella opera di Strauss; per me è una di quelle che rivedrei in continuazione. La bellezza della musica che riflette perfettamente l’impareggiabile libretto di Von Hofmannsthal (nonostante il suo tedesco-austriaco impervio) ne fanno un capolavoro assoluto. Il valzer che viene ripetutamente ripreso nel corso dell’opera (una sorta di leitmotiv del postwagneriano Strauss) è fra le cose più belle del compositore di Monaco. Il finale, la fine del primo atto e tutta la vicenda della marescialla che accetta il passare del suo tempo senza tristezza ma con consapevole distacco e allo stesso tempo con affetto sono difficilmente riscontrabili in altre opere. Non posso negare che probabilmente la storia del libretto può essere apprezzata appieno proprio da coloro che con la marescialla condividono l’autunno della vita.  Zubin Mehta rende perfettamente l’atmosfera dell’opera e ha i suoi momenti migliori nelle parti più liriche ma tutta l’orchestra offre una grande performance all’altezza delle sue tradizioni (ma a riprova che nessuno é perfetto un corno stecca nelle prime battute dell’opera). La scenografia si avvale di gigantografie in bianco e nero sullo sfondo che nel primo atto ingrigiscono  eccessivamente l’ambiente ma trova una sua perfetta collocazione nel viale alberato e spoglio (da sunset boulevard invernale) della fine del primo atto che riflette perfettamente le considerazioni della marescialla. Perfetta invece l’ambientazione Hofburg della residenza dell’arrampicatore sociale Faninal (moderna versione del molieriano Bourgeois gentilhomme) e la collocazione Prater-bosco viennese dell’ultimo atto dove i personaggi grotteschi rendono appieno lo spirito carnascialesco di Von Hofmannstahl. La bellezza dell’opera risiede proprio nella perfetta fusione fra il piano intimistico della marescialla e dei due giovani innamorati e quello farsesco grottesco di Ochs, una fusione che in nessun altro libretto dello scrittore austriaco è rinvenibile. Il tocco finale del fazzoletto raccolto dal servitore di colore che fa della marescialla una equal opprtunity employer – all’inizio del ‘900! – completa lo spirito ironico, distaccato ma anche bonario e mitteleuropeo del libretto. Der Rosenkavalier è opera corale dove tutti i personaggi giocano un ruolo importante con la marescialla e Ochs in primo piano. La marescialla di Krassimira Stoyanova è perfetta, con una voce in grado di modulare tutti i toni della impervia partitura straussiana. L’Ochs di Günther Groissböck è di altissima qualità dal punto di vista vocale: dal punto di vista scenico è un po’ più debole a causa dell’eleganza della figura che dovrebbe invece, nella visione di Von Hofmannstahl, sottolineare la sua grossolanità con un aspetto grasso e basso. Tutti gli altri personaggi cantano molto bene: leggermente un tono sotto la Sophie di Christiane Karg cui manca l’ironia del personaggio ufficialmente dimesso ma sostanzialmente ben consapevole dei propri scopi.  Giustamente molte le repliche scaligere giustificate da un grande successo di pubblico. Forse l’opera che dura 4 ore e mezza dovrebbe iniziare alle 18 e non alle 19 permettendo al pubblico un ritorno a casa più agevole come avviene ormai in tutti i grandi teatri europei.

HappyHappy

Cast

Direttore
Zubin Mehta
Regia
Harry Kupfer
Scene
Hans Schavernoch
Costumi
Yan Tax
Luci
Jürgen Hoffman
Video
Thomas Reimer
CAST
Die Feldmarschallin
Krassimira Stoyanova
Der Baron Ochs auf Lerchenau
Günther Groissböck
Octavian
Sophie Koch
Faninal
Adrian Eröd
Sophie
Christiane Karg
Jungfer Marianne Leitmetzerin
Silvana Dussmann
Valzacchi
Kresimir Spicer
Annina
Janina Baechle
Ein Polizeikommissar
Thomas E. Bauer
Ein Notar
Dennis Wilgenhof
Ein italienischer Sänger
Benjamin Bernheim
Ein Wirt
Roman Sadnik
Der Haushofmeister bei der Faninal
Michele Mauro

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Yoshida Masleev – FTCB Teatro Manzoni 6 Giugno 2016

 
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Il giovane Masleev è pianista di solidissime basi tecniche, di buona musicalità e di rispetto dello stile dei brani eseguiti. Il primo concerto di Čajkovskij è una partitura di impervie difficoltà tecniche risolte con apparente facilità dal giovane russo, vincitore del concorso Čajkovskij del 2015. Quello che appare ancora mancare è la maturità interpretativa che è qualità certamente alla sua portata se avrà la pazienza di continuare i suoi studi senza farsi attrarre da troppi concerti, un problema che purtroppo affligge molti giovani interpreti. Lo star-system della musica classica ha sempre più bisogno di nuovi talenti da immettere in un mercato diventato difficile e Masleev è certamente elemento molto “appetibile” per la sua giovane età e per la vittoria a uno dei più importanti concorsi pianistici del mondo. Due i bis eseguiti entrambi di Čajkovskij. Purtroppo l’esecuzione del concerto di ieri sera è stata piagata da un direttore assolutamente non all’altezza, che ha obbligato l’orchestra (e quindi il solista) a un volume di suono eccessivo che non ha permesso di cogliere le sfumature della partitura, la quale in molti casi si è risolta in un approccio muscolare e persino sgradevole. Yoshida è il massacratore della Butterfly di apertura della stagione 2014-2015 del teatro comunale (nelle recenti Nozze di Figaro si è fortunatamente limitato a un direzione piatta e incolore), ha una gestualità esasperata (mentre dirigeva pensavo alla signorilità composta ma autorevolissima di Abbado) e addirittura si esibisce in “stomping” del pulpito (tanto per aumentare il rumore). Che sia stato scelto per le aderenze giapponesi che hanno portato la Filarmonica bolognese a eseguire opere in Giappone con qualche dubbio relativo alla liceità dell’operazione? Una nota di biasimo assoluta per un direttore che speriamo di vedere sparire quanto prima dall’orizzonte bolognese. 

HappySad

 Programma
Pëtr Il’ič Čajkovskij  Concerto per pianoforte e orchestra n.1 in si bemolle minore, op. 23
Leonard Bernstein West side story: Symphonic dance

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Operistica, Recensioni

Le nozze di Figaro – Bologna Teatro Comunale 26 Maggio 2016

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Scordatevi la bellissima regia di Martone di qualche anno fa ed evitate il confronto con altre edizioni famose. Qui siamo in un altro contesto: un teatro fatto da giovani, con scenografie ridotte al minimo e una regia che dal materiale umano e musicale cerca di ottenere il meglio. Questo per dire che rispetto ad altre pretenziose rappresentazioni del teatro comunale (ad esempio la Carmen) l’opera è risultata gradevole non senza spunti di qualità e in grado di valorizzare la bellissima musica di Mozart e lo strepitoso libretto di Da Ponte.  Il risultato è comparabile a quello del Don Pasquale dello scorso anno e forse la disastrata direzione del teatro farebbe bene a puntare su questo tipo di produzioni anziché lanciarsi in improbabili avventure modernistiche o cercare confronti di qualità con teatri di altri mezzi  e di altre gestioni. Difficile fare una classifica differenziata dei vari interpreti. Di sicuro un plauso alla contessa  di Alexandra Grigoras che ha saputo rendere la bellissima aria “Dove sono i bei momenti” con il pathos e la musicalità richiesti. Ovviamente di successo il Cherubino di Shahar Lavi forse più per l’accattivante presenza scenica che per la vocalità. Un po’ meno di valore vocalmente e musicalmente la Susanna di Alessandra Contaldo mentre i due ruoli maschili si sono mantenuti su un accettabile ma non eccezionale livello. Buono il Basilio di David Astorga e non valutabili gli altri protagonisti per la loro ridotta presenza (e anche per il taglio dell’aria di Marcellina – perchè?). Qualche pecca di sincronizzazione di orchestra e cantanti si è verificata soprattutto nei concertati anche per la responsabilità del direttore Hirofumi Yoshida che ha confermato il suo ridotto valore con una direzione piatta e del tutto poco significativa. Ma Le nozze di Figaro è opera complessa e il confronto con le grandi direzioni impietoso e questa esterofilia giapponese è tutta da capire: non abbiamo in Italia molti direttori della stessa qualità?  Quanto alla regia e alla scenografia bisogna dare atto a Silvia Paoli di avere raggiunto un buon risultato attraverso un gioco di scatoloni e di armadi di costo minimo che ha comunque ottenuto il risultato voluto. In complesso quindi forse uno dei migliori risultati della stagione decretato anche da un non folto pubblico che non ha lesinato applausi sinceri, non inquinati da quella clacque che la direzione del teatro infligge regolarmente alle produzioni “importanti” e raramente di qualità. 

HappyHappy

Cast
Il Conte d’Almaviva
Andrea Vincenzo Bonsignore
Pablo Gálvez (27, 29/5, 1/6)
La Contessa d’Almaviva
Alexandra Grigoras
Arianna Vendittelli
(27, 29/5, 1/6)
Figaro
Lorenzo Malagola Barbieri
Riccardo Fassi
(27, 29/5, 1/6)
Susanna
Alessandra Contaldo
Inés Ballesteros Bejarano
(27, 29/5, 1/6)
Cherubino
Shahar Lavi
Valentina Stadler
(27, 29/5, 1/6)
Basilio / Don Curzio
David Astorga
Bartolo / Antonio
Jaime Pialli
Javier Povedano
(27, 29/5, 1/6)
Marcellina
Silvia Zorita
Barbarina
Carmen Mateo Aniorte
Antonio
Jaime Pialli/Javier Povedano Ruiz (27, 29/5, 1/6)
Don Curzio
David Astorga
Due contadine
Maria Adele Magnelli / Rosa Guarracino (27, 29.05– 1.06)  Marie Luce Erard
Danzatori
ARTEMIS DANZA Diletta Della Martira, Giulio Petrucci
Direttore
Hirofumi Yoshida
Yi-Chen Lin (27 e 29 maggio)
Regia
Silvia Paoli
Scene
Andrea Belli
Costumi
Massimo Carlotto
Luci
Hugo Corugatti
Assistente alla regia
Giacomo Benamati
Assistente alle scene
Carlotta Orioli
Maestro del Coro
Andrea Faidutti
Preparatori cantanti
Giulio Zappa, Michele D’elia
 Progetto OPERA NEXT a cura della Scuola dell’Opera del TCBO in collaborazione Opera Estudio di Tenerife
Produzione del TCBO con l’Auditorium de Tenerife
Orchestra, Coro e Tecnici del TCBO

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Operistica, Recensioni

Il barbiere di Siviglia – Teatro comunale 11 Maggio 2016

Non profit bannerNon profit bannerSclerosiDopo un periodo di forzata assenza Kurvenal ritorna ai suoi affezionati lettori (fino al 12 Giugno – a partire da tale data per 15 giorni sarò a Berlino).
 “Famolo strano”  proponeva il coatto Carlo Verdone in una delle sue caratterizzazioni di un famoso film. Eccoci nuovamente di fronte a una tipica messa in scena della improvvida gestione Sani, che per necessità economica o per “virtù” (si fa per dire) ci ammannisce regolarmente scenografie non convenzionali. Nulla da eccepire se solo… fossero di buona qualità. Non è certamente il caso di questo Barbiere nel quale il lato buffonesco eccede oltre misura trasformando un’opera buffa in una pagliacciata della quale certamente non si sentiva il bisogno, strizzando nel contempo l’occhio alla sensibilità più corriva del pubblico (nel caso particolare particolarmente di bocca buona). La cosa da notare in queste regie “creative” (in questo caso di Francesco Micheli) è che sarebbero teoricamente motivate dal tentativo di non riproporre schemi ormai vieti, insomma per interessare il pubblico, mentre di fatto la convenzionalità del non convenzionale risulta più noiosa dei modelli che si vorrebbe mettere in soffitta. E non sono certo un paio di “trovate” (quale  ad esempio il “Pace e bene” cantato da un Almaviva agghindato come un Beatle con mossette da cantante pop o don Basilio come Frankenstein)  a risollevare lo spettacolo. E almeno fosse la parte musicale e vocale in grado di compensare con l’orecchio quello che l’occhio ha sofferto. Nyet. La replica cui ho assistito aveva la seconda compagnia di canto e purtroppo per mio errore ho assistito solo al secondo atto. Quanto basta, comunque. La direzione di Tenan è scialba e piatta e si limita a dare scolasticamente gli attacchi all’orchestra e ai cantanti (e non sempre con precisione..). Quanto alla Rosina di Raffaella Lupinacci il meglio che si può dire è che è piena di buona volontà ma ha terribili limiti nel registro intermedio che risulta costantemente ingolato. Meglio la compagnia di canto maschile senza particolari difetti ma anche senza particolari pregi. E dubito assai che il primo atto sia stato molto meglio.
Siamo ormai alla fine della stagione operistica e un consuntivo è possibile. Ebbene NON una sola opera è risultata al di sopra di un noioso grigiore e quando un’organizzazione non funziona la responsabilità non può che essere attribuita in prima battuta ai vertici. E’ inutile costantemente lamentarsi del budget e auspicare l’interesse di ipotetici “cavalieri bianchi” se il prodotto non ne giustifica la presenza. E questo nonostante l’ulteriore e imprevisto generoso contributo di 500K€ da parte del comune. La triste realtà è che il teatro comunale con la gestione attuale dovrebbe risolversi ad abbassare le proprie prospettive riducendosi ufficialmente a teatro di periferia e che fino a quando lo spirito che  ancora aleggia è quello del rockettaro Ronchi (rimane ridicolmente e drammaticamente famosa la sua affermazione da spettatore presente solo con biglietto gratuito da assessore – qualcuno l’ha visto recentemente in teatro…? – che per attrarre più pubblico è necessario incrementare il numero di opere moderne come Qui non c’è perché!), del quale Sani è il perfetto sodale (a caro prezzo per il teatro a fronte di 30 licenziamenti), non c’è nulla da sperare. Amen.
PS In un mio precedente post http://wp.me/p5m12m-Sl avevo posto una serie di quesiti: qualcuno si immagina che abbiano avuto anche una sola risposta? Eppure rispondere agli abbonati oltre che un necessario atto di educazione è un dovere nei confronti del pubblico pagante. Mais tout se tient...

SadSad

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Il cast

 

Il Conte di Almaviva Alessandro Luciano 
Bartolo Marco Filippo Romano 
Rosina Raffaella Lupinacci 
Figaro Vittorio Prato 
Basilio Abramo Rosalen 
Berta Laura Cherici
Fiorello Gabriele Ribis
Un ufficiale Sandro Pucci
Direttore Carlo Tenan
Regia Francesco Micheli
Scene e luci Nicolas Bovey
Costumi Gianluca Falaschi
Progetto Video Panagiotis Tomaras
Assistenti alla Regia Erika Natati
Valentina Brunetti
Costumista collaboratore Gianmaria Sposito
Maestro del Coro Andrea Faidutti
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Operistica, Sinfonica

Stuttgart BarockOrchester und Kammerchor – Bologna Festival 19 Marzo 2016

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Dopo la bellissima esecuzione della terza sinfonia di Mahler la Passione secondo Giovanni di Bach ha certamente sofferto del confronto, così come la partitura soffre del confronto con la sorella maggiore, la passione secondo Matteo. Dell’orchestra e dei soli si può soltanto affermare che si tratta di buoni, non strepitosi professionisti che hanno dato luogo a una esecuzione ricevuta dal pubblico con “composto” successo.  Difficile enucleare valori specifici: il collettivo ha offerto una lettura non entusiasmante e nessuna delle voci ha destato particolare interesse. Senza lode e senza infamia….
 HappySad
Programma
Johann Sebastian Bach  Passione secondo Giovanni BWV 245
Durettore Frieder Bernius
Soli Anja Petersen, Sophie Harmsen, Tilman Lichdi, Ludwig Mittelhammer,Thilo Dahlmann
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Operistica, Recensioni

Carmen – Teatro comunale Bologna 18 Marzo 2016

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Una Carmen non entusiasmante ma nella sua modestia con alcuni elementi positivi. L’impostazione registica è quella di una rappresentazione gestita da un prestigiatore in funzione di deus-ex-machina (scena di levitazione nella taverna di Lillas Pastia e gioco di comparse e sparizioni dei personaggi in un cestone di vimini nel proscenio) che però solo saltuariamente è in grado di influenzare gli avvenimenti che si svolgono in una Siviglia vagamente moderna (con il significato delle scene affidato a scritte realizzate anche con lettere giganti di cartone) e caratterizzata (nelle prime due scene) da grandi cartelloni turistici. Una scenografia e una regia, quella di Pietro Babina, non pretenziosa e per certi aspetti minimalista che nella sua semplicità ha il pregio di non essere velleitaria come purtroppo abbiamo subito altre volte al teatro Comunale (si pensi al recente allestimento del Flauto Magico….). Nella scena finale Carmen e don Josè si muovono come attori di uno spettacolo realista con un pubblico multicolore fino al finale nel quale appunto i due protagonisti – dopo la morte di Carmen – si prendono per mano per salutare il pubblico in sala senza che si chiuda il sipario. Una regia quindi che si muove sempre a cavallo fra il teatro nel teatro e la rappresentazione verista. La direzione musicale di Fréderic Chaslin si muove nei confini di una professionalità senza lode e senza infamia. La protagonista Veronica Simeoni ha una grande capacità scenica, ha il pregio di essere una bella donna e nella scena della taverna di Lillas Pastia dimostra anche di sapere ballare decentemente il flamenco. Ma seppure intonata.. le manca assolutamente la sensualità e la personalità di Carmen, la sua voce non è adatta al ruolo drammatico e intrigante che la partitura e la trama richiederebbero, con il risultato che la sua interpretazione giustamente non scalda assolutamente la platea. Al contrario del don José di Roberto Aronica che interpreta magistralmente la sua parte, sia dal punto di vista scenico che da quella vocale. Voce potente, drammatica, sempre intonata anche nelle zone più impervie (come nell’aria La fleur que tu m’avais jetée). All’estremo inferiore della valutazione l’Escamillo di Simone Alberghini, con una prestazione vocale scialba e anonima, priva di quella ubris che il personaggio richiederebbe con un physique du role a dir poco inappropriato: un torero destinato a essere incornato al primo assalto. Una performance positiva da parte di Maria Katzarava nel piccolo ruolo di Micaela. Un successo piuttosto modesto da parte di un parterre tutt’altro che esaurito e che ancora una volta dovrebbe fare riflettere sulle sorti del teatro cittadino,

HappySad

Cast
Carmen Veronica Simenoni
Micaela Maria Katzarava
Don José Roberto Aronica
Escamillo Simone Alberghini
Direttore Fréderic Chaslin
Regia e scene Pietro Babina
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Operistica, Recensioni

Il trionfo del Tempo e del Disinganno – La Scala 12 Febbraio 2016

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Si tratta di un oratorio del giovane Händel, composto nel periodo romano del compositore quando si trovava sotto l’ala protettrice del potente cardinale Pamphilij – autore del testo – con il quale i rapporti furono apparentemente non solo culturali. Il testo, scadentissimo e agiografico, narra della catarsi di “Bellezza” inizialmente legata a “Piacere” verso una resurrezione morale spinta da “Tempo” e Disinganno”, che nella messa in scena della Staatsoper berlinese – ripresa integralmente dalla Scala – passa corrispondentemente da un abbigliamento provocante da gran sera a un saio da monaca. Un oratorio certamente previsto per una piccola audience, con una orchestra strettamente barocca (seppure integrata da fiati) che trasposta sul grande palcoscenico pone non pochi problemi. Brillantemente risolti, però, da una ambientazione anni ’50 (si pensi solo alle colonne illuminate) con una serie di personaggi di contorno perfettamente in grado di rendere l’atmosfera di quello che poteva essere un “cafè chantant” parigino.  Ciò detto, però, l’opera mostra tutti i limiti di un’operazione intellettualistica che risulta troppo lunga e ripetitiva al gusto moderno e dove l’eliminazione di alcune arie non particolarmente valide nulla avrebbe tolto a una non-azione. Perché il testo, la tenzone fra i quattro personaggi non si eleva mai da quello che appare un dibattito banalmente filosofico e scontato. Ovviamente non mancano momenti di vera musica, ad esempio nell’intermezzo puramente strumentale alla fine del primo atto e nella stupenda aria di “Piacere” Lascia la spina che sarà integralmente ripresa nel Rinaldo nella grande aria di Zelmira Lascia che io pianga. Ma certo siamo lontani dalle grandi opere Händeliane e dai suoi ultimi oratori. Martina Jankova “Bellezza” è un soprano dotato incapace però di articolare correttamente l’italiano, il soprano Lucia Cirillo “Piacere” ha una bella voce che interpreta magistralmente l’aria Lascia la spina ma che mostra qualche difficoltà nell’agilità soprattutto nella difficilissima aria Come nembo che sfugge al vento (ah come si rimpiange la grandissima Marilyn Horne!) e Sara Mingardo “Disinganno” si conferma ottimo contralto nonostante il trascorrere degli anni. Nella norma il tenore Leonardo Cortellazzi la cui parte è di minore peso nell’opera. Ottima l’orchestra barocca e il direttore Diego Fasolis. Che l’uso di strumenti “d’epoca” costituisca scelta musicalmente significativa – se non da un punto di vista freddamente filologico – è tutto da verificare.

HappySad

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Operistica, Recensioni

Götterdämmerung – Palermo 31 Gennaio 2016

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Non si fa mancare nulla il Götterdämmerung del Massimo di Palermo (un teatro che avrebbe nuovamente bisogno di interventi viste tutte le scrostature che piagano tutte le pareti). Si comincia con le tre Norne in veste di annoiate segretarie nerovestite delle quali una si arrotola una canna. Le tre tampicciano con dei fili che si rivelano alla fine della scena essere micce di una bomba artigianale che ritroveremo alla fine della rappresentazione. Fine del Walhalla non a causa della rottura dell’asta di frassino ma per deflagrazione terroristica. Insomma si comincia bene. Arrivano Brünhhilde e Sigfried su un montarozzo che dovrebbe essere una rupe inaccessibile: lui si riveste dopo il sonno notturno mentre lei é già vestita con una tutina aderente che a volere essere indulgenti non le dona e con un maquillage che rende bianco il volto e che permane per tutta l’opera. Sigfried viene spedito alla ventura e come pegno riceve il cavallo di lei, Grane, che é un nerboruto ragazzotto che si trascina una sedia a mo’ di sella. La fantasia é indispensabile. A Brünhhilde va l’anello fatato. Reggia dei Gibicunghi. Hagen indossa bretelle rosso fuoco, mentre i suoi due fratellastri Gutrune e Gunther si sollazzano incestuosamente con bevute e coca su un materasso piazzato per terra. Gutrune indossa unicamente una camicetta sull’arredo intimo che tenterà costantemente per tutta l’opera di tirare per compensare una esposizione di cui non é certamente fiera. Hagen segue su un tablet georeferenziato il percorso lungo il Reno di Sigfried che finalmente si presenta. Sbevazzatosi la pozione magica stringe patto di sangue con il perfido attraverso mutuo uso di siringhe da ero e gli mostra il ricordino preso da Fafner, il tarnhelm. Gutrune infoiata gli si struscia addosso sempre più mentre Hagen lo persuade a truffare Brünhhilde prendendo via tarnhelm la sembianze di Gunther e superando la barriera di fuoco. L’anello passa di mano sul montarozzo e tutti si avviano alle duplici nozze. Hagen va a trovare il padre Alberich che é paraplegico su sedia a rotelle garantendogli l’anello sottrattogli da Wotan con l’inganno (della serie chi la fa l’aspetti). Scena delle nozze durante le quali Brünhhilde scopre la truffa imbufalendosi mentre Gunther e Siegfried fanno cenno agli astanti di non farci caso: si tratta solo di scalmana femminile. Vendetta, vendetta, grida la Walküre e con Hagen decide la sorte di Siegfried. I due compagnoni vanno alla caccia fatale. Da una roulotte da sito di rottamazione escono tre ragazzotte vestite da entraîneurs che si scopre essere le figlie (degeneri) del Reno, con minigonne ascellari impietose. Dopo avere predetto all’eroe la sua catastrofe non riuscendo a recuperare l’anello se ne vanno stizzite. La roulotte serve anche da distributore di birre a cui si abbeverano Hagen e Sigfried. Poi Hagen infila l’asta nel retro di Sigfried che muore. Se ne vanno tutti dopo avere accatastato vicino alla roulotte ogni arredo scenico (inclusi i sacchi della spazzatura!) e Sigfried come fenice si rialza e canta per un buon quarto d’ora. Poi finalmente muore del tutto (non senza avere impedito a Hagen – da morto – di fregargli l’anello) e dopo l’assassinio di Gunther da parte di Hagen e la dipartita di Gutrune sempre in deshabillé Brünhhilde può sciogliere il canto funebre inclusivo di cavallo con sedia. Anello finalmente nelle mani delle ragazzotte e assassinio di Hagen con sacchetto di plastica in testa  (avrebbe dovuto essere trascinato sul fondo del Reno dalle figlie del fiume ma non facciamo troppo gli schizzinosi!). Finalino con tutte le comparse che si aprono il giubbotto mostrando le cinture esplosive confezionate dalle Norne. Il tentativo di utilizzare il motivo del Walhalla come metafora del disfacimento della nostra società potrebbe essere interessante ma in questo caso é assolutamente übertrieben. Come in molte regie moderne che vorrebbero essere in grado di calare felicemente una vicenda mitica in una realtà odierna si assiste in questo caso a un coacervo di invenzioni tramite le quali é il regista che impone la storia al librettista e non viceversa. E il linguaggio altdeutsch di Wagner, tradotto in un italiano da sesto grado zeppo di anacoluti e di costruzioni improbabili, impedisce ulteriormente l’operazione. Il risultato é una regia velleitaria e stucchevole nella quale i colpi di genio del regista diventano unicamente ridicole pantomime con vezzi da avanspettacolo (ad esempio con le figlie del Reno). Nonostante questa regia sventurata la grandissima Theorin riempie la scena con una interpretazione magistrale del difficilissimo ruolo di Brünhhilde: é probabilmente la migliore Brünhhilde oggi operativa. Al suo confronto il Sigfried di Christian Voigt é un mezzo disastro, con una voce spesso piatta e non senza difetti clamorosi di intonazione rimarcati dagli scarsissimi applausi ricevuti. Un plauso invece pieno all’Hagen di Mats Almgren, personalità fortissima, voce piena e potente e perfettamente aderente al ruolo. Quanto agli altri interpreti si può affermare che sono dei buoni professionisti e niente più. Bravine anche le figlie del Reno che sono molto spiritose anche scenicamente nell’avanspettacolino del terzo atto. L’orchestra ha lasciato a desiderare (specialmente nell’importante settore dei corni) e la direzione di Stefan Reck ha fatto del suo meglio (senza grandi risultati) nel contesto non facile di una messa in scena da dimenticare nonostante i continui sconfinamenti dei cantanti in platea.

HappySad

Siegfried Christian Voigt
Gunther Eric Greene
Alberich Sergei Leiferkus
Hagen Mats Almgren
Brünnhilde Irene Theorin
Gutrune Elizabeth Blancke-Biggs
Waltraute Viktoria Vizin
Erste Norn Annette Jahns
Zweite Norn/Wellgunde Christine Knorren
Dritte Norn/Woglinde Stephanie Corley
Flosshilde Renée Tatum
Ein Mann Antonio Barbagallo, Gianfranco Giordano
Ein anderer Mann Carlo Morgante, Luca Polizzi
Direttore: Stefan Anton Reck
Regia: Graham Vick
Scene e costumi: Richard Hudson
Azioni mimiche: Ron Howell
Luci: Giuseppe Di Iorio
Assistente musicale: Friedrich Suckel
Assistenti alla regia: Lorenzo Nencini e Yamala-Das Irmici
Scenografo e costumista collaboratore: Mauro Tinti
Assistente alle scene: Giacomo Campagna
Assistente ai costumi: Elena Cicorella
Maestro del Coro: Piero Monti
Orchestra e Coro del Teatro Massimo
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Attila – Teatro comunale Bologna 23 Gennaio 2016

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Con buonissima pace dei lodevoli sforzi di alcuni direttori d’orchestra e musicologi bisogna avere il coraggio di dire che l’Attila del grande Giuseppe andrebbe riposta nel dimenticatoio musicale senza rimpianti. Perché questa operazione di archeologia melodrammatica sia stata concepita dal management del teatro comunale di Bologna può essere solo oggetto di congetture. Volontà di innovare/rinnovare? Basso costo realizzativo? Semplicemente un errore? Naturalmente la clacque opportunamente foraggiata (che pena questa abitudine così stupidamente provinciale!) ha tentato di scaldare l’atmosfera ma con risultati risibili soprattutto intervenendo chiaramente a comando, dal momento che al termine di alcune arie non si è mossa. L’opera è semplicemente scombiccherata, con un libretto che degli aspetti storici degli eventi del V secolo d.C. ha solo i nomi, con un gusto tutto ottocentesco del polpettone a fosche tinte in spregio a qualsiasi logica. A ciò si aggiunga una lingua da settimo grado spesso incomprensibile nel costrutto al limite della crittografia e nei vocaboli (conca=coppa, stranio=straniero e così via). E da dove arriva il dio Wodano? Una traduzione sciagurata di Wotan/Odino? Purtroppo mentre in altre opere verdiane la musica in qualche modo mitiga l’inaccettabile qualità del libretto qui sono evidenti tutti i limiti del primo Verdi con quelle ripetitive introduzioni alle arie contraddistinte dalle due note di valore metà in levare. Un Verdi immaturo, scontato o – più semplicemente – scadente. Un Verdi provinciale che pare essere scarsamente consapevole del contesto culturale che in quel tempo caratterizzava il mondo musicale europeo e persino italiano. Interessante comunque nella breve scena con Leone i chiari riferimenti musicali ai toni del commendatore nel finale del Don Giovanni. Perché comunque ripescare quest’opera – aspetti economici a parte – quando ad esempio da tempo immemore – solo per citare qualche esempio – mancano dal palcoscenico bolognese “I maestri cantori di Norimberga” wagneriani o l’ “Otello” verdiano? E se i problemi sono quelli di budget (certamente!) perché continuare con un’organizzazione autarchica anziché cercare di stringere accordi duraturi e strutturali con altri teatri (ad esempio il Regio di Torino e il teatro di Genova sufficientemente lontani per evitare di pestarsi i piedi)? Insomma soli e nudi alla meta con esiti facilmente immaginabili salvo poi richiedere il ripiano del deficit in nome di un astratto concetto di cultura, come richiesto dal sovrintendente Sani nell’ultima riunione in presenza del ministro Franceschini: non sarebbe meglio prendere il toro per le corna con azioni incisive e coraggiose senza nascondere scheletri nell’armadio (v. anche mio post relativo)? E magari con un sovrintendente che esercitasse il suo ruolo a tempo pieno senza altri incarichi come qualunque AD di una società, visti anche i suoi emolumenti? Ma torniamo al maledetto unno. Nella vicenda narrata Attila ha una grandiosità inaspettata, si potrebbe dire una nobile coerenza a fronte degli altri personaggi da operetta pronti a cambiare opinione e atteggiamento ogni tre battute. Nel contesto di un’opera scadente va in ogni modo sottolineata una realizzazione di qualità. In primo luogo la direzione di Mariotti, impeccabile sotto ogni profilo, che ha saputo trarre dall’orchestra del teatro il meglio che può offrire. Ottima anche la messa in scena sotto la regia di Abbado  con arredi e costumi senza tempo e luci fredde a sottolineare la vicenda cupa dell’opera. Nel cast va lodata l’interpretazione perfetta di Ildebrando D’Arcangelo nel ruolo di Attila (insufficientemente applaudita dal pubblico). Ottimo anche il soprano Maria José Siri specialmente nei toni flautati mentre mostra qualche limite nelle arie drammatiche. Il tenore Fabio Sartori  ha offerto una buona prova nei limiti di una voce di qualità non eccezionale. Molto bravi Gianluca Floris e Simone Piazzola rispettivamente nei panni di  Uldino ed Ezio e anche Antonio di Matteo nella breve parte di Leone.  Pubblico delle migliori occasioni bolognesi che ha tributato alla rappresentazione un buon successo. … e mira ed è mirata e in côr s’allegra…
SadHappySad
Interpreti
Attila
Ildebrando D’Arcangelo

 

Ezio
Simone Piazzola
Odabella
Maria Josè Siri
Foresto
Fabio Sartori
Uldino
Gianluca Floris
Leone
Antonio Di Matteo
Direttore
Michele Mariotti
Regia
Daniele Abbado
Scene e luci
Gianni Carluccio
Costumi
Gianni Carluccio
Daniela Cernigliaro
Movimenti scenici
Simona Bucci
Regista collaboratore
Boris Stetka
Maestro del Coro
Andrea Faidutti

Nuova produzione del TCBO con Teatro Massimo di Palermo e Teatro La Fenice di Venezia

Orchestra, Coro e Tecnici del TCBO

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Operistica, Recensioni

Giovanna d’arco revisited – La Scala 18 Dicembre 2015

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Rispetto al commento a caldo (http://wp.me/p5m12m-KB) dopo la visione della “prima” in TV il giudizio complessivo non cambia. Vanno però sottolineati due aspetti (non individuabili in TV): le proiezioni animate iniziali sullo sfondo (molto bella quella che ricorda la battaglia di San Romano di Paolo Uccello) e alcune correzioni registiche delle posizioni e della gestualità degli interpreti. Significativo anche il miglioramento del baritono Devid Cecconi nel ruolo del padre nello scombiccherato libretto di Temistocle Solera. Per il resto confermo il mio giudizio sostanzialmente negativo, forse leggermente meno negativo della “prima”.

Sad

PS Ricordo che è in corso un sondaggio presso i miei lettori riguardo all’opportunità di fare precedere i concerti da una presentazione verbale: esprimere un voto è un aiuto a migliorarne la qualità.  
                                                   
PPS Le risposte sono anonime….

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Operistica, Recensioni

L’elisir d’amore – Bologna Teatro Comunale 13 Dicembre 2015

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Dopo la messa in scena alla Malpensa ecco un’altra scenografia moderna della celebre opera donizettiana ripresa da un allestimento del 2010. Sulla scenografia e regia si può dare un giudizio duplice: quello puramente estetico e quello di aderenza al testo dell’opera. Sul primo il giudizio è positivo: in particolare sono risultate gustose la prima scena con il caos tipico di una classe all’inizio delle lezioni e Nemorino agghindato come la caricatura dello studente di Guzzanti, quella dell’aula di disegno che si conclude con il celebre duetto fra Nemorino e Adina e quella dell’aula di ginnastica che si trasforma in un ring. L’idea di incarnare Dulcamara in una sorta di Beppe Maniglia coatto con tanto di spolverino e moto che dovrebbe offrire erba come elisir è invece risultata un po’ artefatta e anche Belcore come leader di una banda di  giovinotti ingiubbottati in pelle è parso poco riuscito. Altrettanto  dicasi – ad esempio – di un’altra “invenzione” ovvero quella di corredare la citazione degli spasimanti di Adina con un catalogo fotografico, espediente ripetuto in molteplici edizioni del Don Giovanni in occasione della celebre aria “Madamina, il catalogo è questo”. Ma se però si analizzano scenografia e regia dal punto di vista del libretto allora il discorso è diverso e tutto l’impianto regge a fatica. Le distanze fra il testo e la scenografia sono semplicemente abissali e ne deriva che quanto proposto visivamente non trova alcuna rispondenza nello sviluppo dell’azione. In altre parole la scenografia appare una sequenza di scene interessanti e anche divertenti (a tratti) ma con la sensazione che qualunque altra sfilata di quadretti di genere avrebbe potuto essere proposta con lo stesso risultato. Sempre a titolo di confronto assai più vicina al testo è stata la messa in scena di Malpensa dove la cura del particolare nell’aderire al dettato del libretto è apparsa molto più attenta e riuscita pur essendo il contesto ugualmente difficile da rendere. Dal punto di vista musicale l’esecuzione è risultata di medio calibro con Adina (Barbara Bargnesi che nell’agilità del finale ha dato prova di grandi qualità) e Nemorino (Antonio Poli) che sono cresciuti con il trascorrere del tempo (se si eccettua una piccola incertezza del tenore nella “furtiva lagrima”). Non esaltante la prova di Alessandro Luongo che nella resa di Dulcamara ha troppo spesso calcato l’aspetto grottesco a scapito di quello musicale e oggettivamente opaca è stata la prestazione di Christian Senn nei panni di Belcore. La direzione di Stefano Ranzani si è mantenuta in un dignitoso alveo con alcune incertezze di sincronismo con il coro soprattutto nella prima scena. Uno spettacolo passabile, quindi, che ancora una volta nonostante la clacque non ha scaldato un teatro con moltissimi posti vuoti (anche in occasione della lagrima di Nemorino con qualche isolata e artificiale richiesta di bis come si ebbe al tempo di Pavarotti – si parva licet…) . 

SadHappySad

Si conclude così una stagione operistica non esaltante nella quale le migliori proposte sono state quelle dell’Elektra e della Jenufa e le peggiori una inqualificabile Butterfly e un velleitario Flauto magico.  Una stagione di un teatro non di prima categoria che si dibatte nei problemi di bilancio comune a tutte le fondazioni ma che ha anche responsabilità locali. La prima è quella di un consiglio di indirizzo inadeguato in cui un solo componente ha competenze musicali e la seconda è quella di una politica complessiva di gestione che pare più barcamenarsi che offrire un chiaro indirizzo culturale. Non mancano iniziative positive – sia chiaro – fra le quali, ad esempio, l’idea di dotare il teatro di un bookshop o quello di offrire alla disastrata (e colpevolmente abbandonata dalle varie istituzioni che dovrebbero curarne una volta per tutte la bonifica) piazza Verdi la possibilità di assistere agli spettacoli o quello di offrire abbonamenti a prezzi popolari agli under 30 (ma 25  – come un tempo – sarebbe stato più ragionevole). Ma o si trovano sponsors disposti ad allargare i cordoni della borsa (a parte quelli istituzionali come le fondazioni o gli esempi illuminati come i Golinelli) o il teatro non può reggersi. E il mondo industriale bolognese non è certo contraddistinto da mecenatismo, anche in presenza di un quadro economico migliorato. La ventilata dipartita di Mariotti è certamente un segnale molto negativo di instabilità e la scelta di abbassare i prezzi persino delle “prime” quando si sa che i relativi spettatori avrebbero senza difficoltà accettato anche un incremento dei prezzi certamente non aiutano. E’ ben vero che il botteghino copre solo in piccola parte i costi ma i segnali – anche piccoli – debbono essere coerenti. La traversie con il FUS, il rifiuto del comune di anticipare i contributi 2017 (anche per il manifesto disinteresse dell’amministrazione locale per gli eventi musicali) non fanno ben sperare. E non pare che il nuovo assessore alla cultura abbia competenze e sensibilità musicali (in questo muovendosi nel solco del mai sufficientemente infamato Ronchi).  Aspettiamo quindi con un certo timore la prossima stagione con un’opera di apertura assai discutibile. Mah……

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Operistica, Recensioni

Giovanna d’arco – La Scala 7 Dicembre 2015

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Certamente l’opera non appartiene ai capolavori verdiani e che la giunonica Netrebko possa rappresentare una giovane diciassettenne richiede un bello sforzo di immaginazione. Ma tant’è: siamo ormai abituati persino a delle Mimì in pieno climaterio. L’espediente scenico di alludere tramite la presenza ossessiva di un letto a una possibile pazzia di Giovanna nella cui immaginazione si svolge tutta l’azione scenica ha ormai fatto il suo tempo. Ovviamente Friederich Schiller avrebbe citato in giudizio lo sventurato Temistocle Solera, autore dello sgangherato libretto, se solo avesse osato citarlo come ispiratore. Si inizia con una Netrebko in bianco e nero durante l’ouverture in un letto di manicomio. Si presenta re Carlo (Francesco Meli) che è stato immerso nella porporina. Giovanna assiste e intanto si spoglia per prepararsi alla vestizione da pulzella guerriera. Dopo l’aria (purtroppo anche troppo verdiana) in cui essa chiede alla vergine (con tanto di statuetta di Lourdes in mano -pfui) di essere prescelta, Carlo si risveglia. Dopo il risibile coro degli spiriti malvagi (peraltro pieni di buon senso) Giovanna inizia la vestizione stile pupo siciliano. Duetto senza orchestra mentre Giacomo – padre di vaga ispirazione talebana – crede la pulzella preda dei demoni! Inizia il primo atto con il tradimento di Giacomo, voce oggettivamente modesta, ingolata e piatta (Devid – sic -Cecconi, sostituto dell’indisposto Alvarez). Non vista assiste il pupo siciliano Netrebko nel suo ridicolo costume che terminata la battaglia e rivestitasi con tailleurino blu si prepara all’incontro con Carlo. Amore a prima vista ma rimproveri degli spiriti celesti per un amore terreno. Dopo il trionfo tributato dal popolo, Giovanna (sempre stesa sul letto) si dibatte fra amore e dovere e intanto gli spiriti malvagi (mascherati da diavoli rossi con tanto di ali infernali intorno al solito letto, in puro stile carnevale veneziano) si fregano le mani per averla corrotta in una sorta di notte di Valpurga di noantri. Inizia il secondo atto con la pulzella nuovamente in camicia da notte che viene costretta a reindossare il costume da pupo. Immagine pessima e ridicola unitamente al porporino Carlo: manca solo il feroce saladino… Ma ecco il perfido Giacomo ingolfato in una improbabile palandrana verde che si allea con il nemico e durante il trionfo di Giovanna la accusa di impuritá. Perché Giovanna non risponda mandandolo a quel paese è un mistero che ovviamente resterà irrisolto. Dannazione della pulzella che nell’ultimo atto è di fatto legata a una croce fino alla redenzione del padre che capisce di essere solo un pirla. Finalino edificante con la pulzella che assurge in cielo al posto del rogo di prammatica. Una regia sgangherata assolutamente indegna della scala (e ci si sono messi in due, Moshe Leiser e Patrice Caurier!). La Netrebko è una grandissima artista e Francesco Meli non ha sfigurato. Chailly ha fatto del suo meglio, spesso esagerando con la foga, per tenere in piedi uno spettacolo veramente indegno di una prima della Scala. Una serata da dimenticare. Applausi modesti nonostante una clacque in grande spolvero. Balle sparate a palle incatenate dalla TV di regime sull’inesistente successo: ignoranza o solo ignobile piaggeria?
PS Ore 6. Leggo sui giornali di un trionfo stellare. La durata degli applausi passa nei vari quotidiani da 8 a 9 fino a 13 minuti (una frangia dello spazio-tempo di Einstein?). La maggior parte degli articoli paiono scritti in anticipo e impera naturalmente il gossip sulle toilettes e l’avvenenza (vera o presunta) delle gentili signore. Speriamo che nei prossimi giorni e negli articoli più seri e meditati si legga qualcosa di sensato che abbia a che fare con un’analisi critica dell’opera e della sua messa in scena. Che io abbia sbagliato indirizzo e assistito allo spettacolo sbagliato?🙄

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Operistica, Recensioni

Elektra – Teatro comunale Bologna 15 Novembre 2015

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Un carcere con le ancelle abbigliate come carceriere in uniforme con tanto di mitra pronte a scagliarsi con violenza contro l’unica ancella che difende Elektra, una garitta e una scala che porta alla cella della protagonista. Una scenografia tutta sui toni del grigio nella quale Elettra urla il suo dolore e la sua rabbia per l’assassinio del padre Agamennone votata unicamente alla vendetta perché solo il sangue può lavare il sangue.
 Elektra
L’opera di Strauss, una delle più difficili per la protagonista che rimane in scena ininterrottamente per quasi due ore, rappresenta uno dei suoi capolavori sorretto, anche del bellissimo libretto di von Hofmannsthal che riprende la tragedia di Sofocle (ma anche di Eschilo e Euripide) adattandola alla scena lirica, sottolineandone gli aspetti più tragici senza minimamente stravolgerne il significato.  Purtroppo la traduzione proiettata sopra il palcoscenico è risultata di scadente qualità (non senza alcuni errori di grammatica!) facendone perdere parecchio della sua intensità espressiva. Anche i comprimari – dal punto di vista operistico, si intende! – (la sorella Chrysothemis, il fratello Orest e soprattutto la figura tragica di Clitemnestra – Aegisth praticamente non ha ruolo) contribuiscono con il loro contrasto psicologico a fare risaltare la figura dominante di Elettra. Il libretto e la musica di Strauss rendono perfettamente il turbamento interiore di Klytämnestra il cui animo è diviso fra il senso di colpa, la fedeltà a Egisto e la sofferenza per l’odio della figlia. Venendo alla realizzazione del teatro comunale si può eccepire una Klytämnestra che dal punto di vista scenico non rende appieno il suo travaglio psicologico (troppo elegante e ieratica), l’assenza dell’importantissimo finale previsto da von Hofmannsthal (la danza bacchica di Elektra) e – questo sì quasi inaccettabile – una resa del personaggio di Egisto quale dittatore sudamericano ubriaco (addirittura con bottiglia in mano) agghindato con medagliere sul petto. Ma l’impianto complessivo è solido e registicamente (Guy Joosten) di alta qualità considerando anche che il carcere è rappresentato come ambiente quasi senza tempo (se si eccettua la vestizione iniziale delle carceriere) che contribuisce al senso di isolamento drammatico di Elektra. Di altissima qualità la prova di Elena Nebera (Elektra) di gran lunga superiore a tutti gli altri protagonisti. Brava anche Natascha Petrinsky nel ruolo di Klytämnestra; buoni professionisti sono anche Anna Gabler (Chrysothemis) e Jan Vacik (Orest) assecondati da un’ottima direzione di Lothar Zagrosek che ha saputo trovare un giusto equilibrio fra il dramma e gli aspetti lirici che non mancano nella partitura Straussiana. Per una volta un successo pieno tributato dal pubblico a un’opera non facile e non dalla sguaiata clacque che così sovente infesta le “prime” del teatro bolognese. 

HappyHappy

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Cameristica, Operistica

King Arthur – Musica Insieme 18 Ottobre 2015


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Le opere di Purcell si prestano a ricostruzioni (o meglio traslazioni) moderne: ne è prova il King Arthur rappresentato dal Motus Ensemble per Musica Insieme. Luca Scarlini ha estratto dalla versione originale (di notevole lunghezza) dei brani ricostruendo (non in ordine) la vicenda e trasportandola in un ambiente senza tempo. Il risultato è controverso, forse anche per la limitata dimensione del palcoscenico che ha costretto a comprimere la scenografia riducendone l’effetto grafico. Della “vicenda” (ammesso che di questo si possa parlare nella ricostruzione) il pubblico non ha certamente potuto avere consapevolezza per l’assenza di sopratitoli, l’assenza di illuminazione in sala che ha precluso la possibilità di leggere il libretto e anche per la ellitticità del messaggio. La “semiopera” (come viene indicata ma si tratta di una tipologia di singspiel con parti recitate e parti cantate) basa una larga parte della sua scenografia su un ossessivo uso di una videocamera retrò (per chi ha qualche anno sulle spalle i filmini in formato “8”) con riferimenti parlati (più o meno allusivi) alla vicenda, inframmezzata da alcune arie prese dalla versione originale di Purcell. Il risultato è piuttosto ripetitivo e certamente non eguaglia neppure lontanamente il risultato di un’operazione simile alla Staatsoper di Berlino, dove fu rappresentata nel 2008 una versione assolutamente strepitosa del “Dido and Aeneas” del compositore inglese (ripresa peraltro quest’anno). Come nel caso dell’opera di Berlino viene anche utilizzato al termine un giocoliere, forse per alludere alla non serietà della vicenda rappresentata (oppure solo come semplice stratagemma scenografico). Più che la drammaturgia (sostanzialmente piuttosto velleitaria) sono risultate di qualità le parti musicali e in particolare va sottolineata la prova del soprano Elena Bernardi dotata di voce limpidissima, ben coadiuvata dal secondo soprano Yuliya Poleshchuk, mentre il complesso musicale barocco ha svolto con diligenza il proprio non insormontabile compito. Nella assoluta norma il controtenore Carlo Vistoli. Lunghi applausi da parte del pubblico.

HappySad

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Operistica

L’elisir d’amore – Malpensa 17 e La Scala 21 Settembre 2015

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Un Elisir d’amore a due facce. Dopo la scenografia di successo e piena di fantasia della Malpensa (è così che si imposta una scenografia non convenzionale piena di estro – l’arrivo di Dulcamara aviatore anni ’20 su un aereo stile Topolino con il cammeo di Pereira che lo accoglie è eccezionale) l’opera si ritrasferisce nel suo contenitore naturale. Niente di più diverso. Per l’ambientazione alla Malpensa (per due volte trasmessa su RAI 5 e su Arte dove sarà ulteriormente replicata), piena di humour e di vitalità non hanno neppure stonato i siparietti dei due presentatori: nell’impostazione popolare dell’opera, data anche la loro durata contenuta, hanno aiutato un pubblico non avvezzo alla lirica ad apprezzarla. E si può anche accettare lo spottone di Dulcamara per l’Expo nell’intervallo fra i due atti nel quale il baritono recita la sua filastrocca iniziale sotto l’albero della vita. L’elisir d’amore è opera buffa ma anche disincantata sulle debolezze umane con un fondo amaro laddove i sentimenti sono di fatto condizionati da fattori economici e con un tocco di misoginia per un’Adina affascinata (ma senza mai lasciarsi andare) dal “glamour” di Belcore, fatuo esponente di un’umanità tutta esteriore (qualche raffronto con la realtà attuale nella quale calciatori e cantanti rock rappresentano gli idoli di riferimento per una larga maggioranza di rappresentanti del genere femminile? Quanta intelligenza nel sex symbol Marilyn Monroe che fu affascinata da Arthur Miller. Altri tempi….).  Insomma a Dio piacendo una scenografia lontana dalle noiose e insensate follie di Bayreuth o München: Pereira avrebbe dovuto invitare alla Malpensa la sventurata Katharina Wagner (si veda la mia recensione del Tristano e Isotta di Bayreuth) per mostrarle come con buon gusto e senso dell’umorismo si può immergere un’opera “classica” in un ambiente moderno. Ben diverso è il discorso per l’opera rappresentata alla Scala. Qui una scenografia zuccherosa e melensa, con costumi assolutamente impropri (Nemorino un paggetto settecentesco anziché un povero contadino, Adina una vichinga cui manca solo l’elmo e Dulcamara un burattino dalla triste più che buffa figura) e un’atmosfera da Heidi hanno reso l’intera impostazione dell’opera fallimentare: in termini gergali un vero flop sottolineato dai pochi e stentati applausi del pubblico e qualche voce di chiaro dissenso del loggione. Il che ha avuto un significativo impatto sui cantanti. La Buratto, un’Adina perfetta alla Malpensa, dotata di una bella voce, ottima agilità e presenza scenica capace di rendere appieno la volubilità del personaggio ha avuto qualche incertezza alla Scala (“beccata” sonoramente dal loggione), ingolfata come si trovava in un costume assolutamente improprio (che fra l’altro la imbruttisce significativamente). All’altezza del personaggio è risultato alla Malpensa e alla Scala il Nemorino di Vittorio Grigolo (molto applaudito nella famosa “Una furtiva lagrima”). Molto bravo anche Michele Pertusi come Dulcamara (un ruolo che ormai gli appartiene come Rigoletto a Leo Nucci) sia vocalmente che scenicamente (ma anch’egli negativamente influenzato alla Scala da un costume assolutamente inappropriato a sottolinearne la scaltrezza e la doppiezza) mentre un gradino sotto tutti gli altri protagonisti è il Belcore di Mattia Olivieri che spesso sforza e che non rende appieno la personalità del soldato da operetta. Un plauso al divertente e dinoccolato mimo Jan Pezzali stile Marty Feldman in Frankenstein junior che fa da spalla a Dulcamara. Di buona qualità, senza particolare valore positivo o negativo, nella norma – direi – la direzione di Fabio Luisi. Un plauso alla regia di Grischa Asagaroff (limitatamente alla Malpensa) e un biasimo pieno ai costumi e alla scenografia di Tullio Pericoli alla Scala. Perché l’impostazione scenica vincente della Malpensa non sia stata trasportata alla Scala (e sarebbe ben stato possibile) è veramente un mistero.Un Elisir d’amore alla Scala che in gergo si può solo definire “loffio” o più elegantemente deludente…
PS 24 Settembre – Quando si dice “de gustibus…”. Leggo ora l’articolo sul Corriere di Paolo Isotta, tutto un’osanna alla versione scaligera e un biasimo a Grigolo per “Una furtiva lacrima”… In pratica il mio post a rovescio. No problem e chapeau al grande critico. Ma Isotta c’era veramente alla Scala il 21 Settembre, ha sentito il dissenso del loggione (con tutti i suoi limiti), ha notato gli scarsissimi applausi e financo i giudizi tutti negativi del pubblico nel foyer? Va bene essere autonomi e anche controcorrente ma …. E perché nessuna citazione della Malpensa? A pensar male si fa peccato ma… (Andreotti docet)…

Elisir 2

   Elisir 1

Due momenti della rappresentazione alla Malpensa

 

HappyHappy per Malpensa
SadSad per La Scala

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Operistica, Recensioni

Tristan und Isolde – Bayreuth 7 Agosto 2015

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Per decenni abbiamo creduto che il re Marke fosse il prototipo dell’uomo saggio, tollerante, capace di sopportare con dignità i colpi dell’avverso destino: sbagliato! Ci ha aperto gli occhi la “regista” Katarina Wagner che capovolge (stravolge) il significato del testo wagneriano. Ma andiamo con ordine. Il primo atto si apre in una penombra che affliggerà tutti i tre atti, riempita di scale, molte delle quali terminano nel vuoto mettendo a rischio l’incolumità dei cantanti. Il prototipo è quello di Escher (altro che il Piranesi contrabbandato nel programma) cui manca però l’artifizio visivo per cui sono tutte connesse: qui il vuoto è vuoto. Dove sia la nave non si sa. Tutti i protagonisti sono in scena: Isolde, Tristan, Kurvenal e Brangäne, tutti su piani diversi. Una sorta di ascensore costituito da piattaforma con balaustra li fa salire e scendere. Brangäne è affetta da delirium tremens o ballo di S.Vito alle gambe ma forse indossa soltanto scarpe troppo strette. Isolde è manesca e tenta di azzuffarsi fisicamente con Tristan ugualmente manesco: hanno un bel daffare Brangäne e Kurvenal a trattenerli. Isolde maneggia pericolosamente un coltello ma poi, anticipando la coppa fatale, abbraccia Tristan che non si sa se ne voglia. I due comunque si baloccano con un velo da sposa che subisce un trattamento non da educande. Finalmente dovrebbero bere il filtro fatale ma anziché ingurgitarlo lo rovesciano sulle mani ma fa effetto ugualmente (mah?). Arriva Marke ma si tratta di un regista-carceriere le cui malefatte sono esplicate nel secondo atto. Qui Tristan, Isolde, Brangäne e Kurvenal sono letteralmente scaraventati da loschi figuri in un recinto da cui non possono uscire. Kurvenal dopo avere dato ripetutamente di capoccia contro l’uscio sbarrato tenta una arrampicata di sesto grado su una serie di appigli da cui cade fragorosamente. Brangäne la dà su più in fretta e non si capisce se e quando venga spenta la fiaccola fatale. L’intero spazio è illuminato da riflettori nella parte alta del palcoscenico sparati verso il basso: set cinematografico o illuminazione della guardina? I due protagonisti si coprono con un telo per ripararsi dalle luci accecanti e Tristan addobba il telo con lucine di stile natalizio. Poi preso da improvviso furore distrugge tutto come fanno i bambini. Al centro della scena si erge una sorta di tornello multipiano che racchiude Tristan e Isolde a turno. I due cantano la parte finale del duetto d’amore con le spalle rivolte alla platea in un buio quasi spettrale. Arriva Marke-regista-carceriere vestito con un pastrano giallo e un cappello da Al Capone accompagnato da una masnada di brutti ceffi agghindati in calzamaglia gialla come gli agenti cattivi del colesterolo di una ben nota pubblicità televisiva. Tristan viene bendato e ammanettato e Melot l’accoltella senza dargli la possibilità di difendersi. Terzo atto. Il corpo di Tristan è vegliato in un angolo della scena buia da quattro personaggi seduti con tanto di lumino stile lux votiva rossa fra le gambe. Tristan si risveglia e canta il suo dolore mentre appaiono successivamente dei triangoli luminosi di foggia massonica con all’interno l’effigie di Isotta. Tristan muore e arriva Isolde. Il corpo di Tristan viene adagiato su un divanetto rialzato e interviene Marke – sempre addobbato con pastrano e cappello – per spostargli le gambe e far posto a Isolde che canta il suo Liebestod appoggiata alla cara salma. Al termine viene portata via – viva – da Marke. Dove sia il Tod non si sa. Fine. Che a una dilettante ridicola come Katharina Wagner siano affidate delle regie è ipotizzabile solo sulla base del suo cognome. Uno spettacolo teatrale può certamente essere diversamente interpretato, essere oggetto di provocazione ma deve rispettare una regola fondamentale: deve essere bello e tanto più quanto provocatorio. In questo caso siamo in presenza di una parodia del Tristan, brutta e noiosa e devo confessare che il solo fatto di parlarne mi fa sentire in colpa perché lo scopo di questi “sregisti” non è fare begli spettacoli ma solo provocare commenti: che siano positivi o negativi che importa?

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La musica e i cantanti. La direzione di Tielemann (nuovo music director con tanto di targhetta fatta apporre nel parcheggio) è “maschia” con tempi piuttosto stringati ma certamente di qualità. Solo nell’ouverture questa impostazione mostra un po’ la corda perché comprime quel senso di ansia dato dalle successive modulazioni mai risolte in tonica. L’Isolde di  Evelyn Herlitzius, misteriosamente richiamata a sostenere la parte all’ultimo momento,  è di buona qualità con qualche cedimento (ad esempio nel primo acuto del secondo atto) ma di certo non regge il confronto con l’Isolde della grande Irene Theorin, precedente interprete del ruolo wagneriano a Bayreuth. Eccellente è invece Stephen Gould nella parte di Tristan. Qui siamo ai vertici mondiali del wagnerismo con una voce sempre perfetta nella intonazione e nei toni drammatici e il pubblico gli ha tributato un meritato trionfo. Grande successo anche di Christa Mayer come Brangäne, giustificato ma leggermente viziato dal fatto di giocare in casa. Buona la performance di Iain Peterson come Kurvenal e altrettanto buona quella di Georg Zeppenfeld come Marke. Ovviamente non giudicabile Raimund Nolte come Melot. Comunque grande successo finale di pubblico che si è profuso in un applauso liberatorio anche perché sapeva di potere entro poco “uscire a rivedere le stelle” dopo essere stato letteralmente rinchiuso (le porte sono ausgeschlossen) in un girone infernale.
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Una nota finale sul teatro. Per un malinteso rispetto del dettato wagneriano il teatro è privo di climatizzazione (e il 7 Agosto c’erano 39 gradi a Bayreuth!), non ha sopratitoli (e anche la maggioranza dei tedeschi ha difficoltà a capire la lingua altmodisch di Wagner) e i sedili di legno sono una vera tortura per gli spettatori. Perché? Wagner era un innovatore e volle un teatro del tutto innovativo a partire dal golfo mistico. Il suo scopo era quello di glorificare la sua musica e certamente ha utilizzato tutte le tecniche del tempo a questo scopo. Oggi sarebbe il primo a volere sfruttare le nuove tecnologie ma la pochezza intellettuale degli attuali reggenti non arriva a capirlo. E’ vero: il pubblico continua a partecipare agli spettacoli, certamente più per gli aspetti mondani, per il rito, che per l’opera rappresentata, anche se bisogna dire che la qualità estetica dei partecipanti è vieppiù in calo. Ma per 300 euro a cranio si avrebbe diritto se non a un bello spettacolo almeno a una visione confortevole. E non è un problema di budget visto che è in atto il rifacimento della facciata. Scrissi alcuni anni fa una lettera in materia a Katarina Wagner e a sua cognata Eva Pasquier, allora sovrintendenti del teatro, ma chi è poco intelligente è anche maleducato. Nessuna risposta. Può essere interessante sapere che due volte ho scritto a Angela Merkel e in entrambi casi ho ricevuto risposta. Senza commenti.

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Commenti, Operistica

Roth Golan – Varignana 17 Luglio 2015

Non profit bannerNon profit bannerSclerosiForse andrebbe segnalato per prima cosa che la proposta “cena con gli artisti” si riduce in realtà a una cena in una sala ove cenano anche gli esecutori che hanno però un tavolo riservato talché la possibilità di interazione spettatori-esecutori è semplicemente nulla. Ciò detto il breve concerto (l’op. 78 di Brahms e la sonata di Franck) può essere considerato “soddisfacente” in un ambito estivo ma a una disamina più razionale non sono mancate le non piccole carenze. In primo luogo quella del pianista ammalato di protagonismo sia dal punto comportamentale sia da quello del volume di suono, che ha coperto assai spesso il suono del violino, generando uno squilibrio forse dovuto anche all’assenza di prove sufficienti e comunque inadatto al volume della sala. Quanto al violinista, esso è dotato di bel suono (per chi ne ha memoria mi ricordava Nastase nel tennis, tennista elegante “di tocco” che oggi sarebbe spazzato via dagli schiacciasassi che dominano il panorama internazionale) ma di ridotta incisività, messa particolarmente in luce dal confronto con l’esuberante pianista. L’esecuzione della sonata di Brahms è risultata – specialmente nel primo tempo – troppo lenta ed esangue, lontana dalla spirito del compositore amburghese; migliore l’esecuzione della sonata di Franck se si prescinde dal truculento pianista. Un bis brahmsiano dalla sonata “Frei aber Einsam”. Un buon successo del ridotto pubblico.

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Commenti, Operistica

Opera a Kyoto – 13 Luglio 2015

Non profit bannerNon profit bannerSclerosiScorrazzando sul sito https://www.facebook.com/diamovaloreallacultura e  da qui su altri siti musicali scopro (http://the-japan-news.com/news/article/0002126692) che il 17 e 19 Settembre a Kyoto vengono rappresentati i Pagliacci di Leoncavallo con una noted Italian opera company (da quando in qua di un’orchestra non si indica il nome quasi fosse un segreto?) e la direzione di Hirofumi Yoshida – lo sventurato direttore di Butterfly – che è direttore artistico della Filarmonica del teatro comunale (nella foto del 14 Maggio sul sito giapponese sopracitato il castello di Himeji, il direttore e altri protagonisti).
Pagliacci 2Ed ecco una scenografia (molto suggestiva) con lo sfondo del castello e la platea:
Pagliacci
Non può che trattarsi dell’orchestra Filarmonica del teatro comunale (non l’orchestra del teatro comunale).   Strano: avevo capito – evidentemente erroneamente – dalle conversazioni avute con il precedente sovrintendente Ernani che la Filarmonica non potesse eseguire opere (qualcuno può solo immaginare che una cosa simile capiti alla Scala?), ma forse sono cambiate oppure più semplicemente sono diverse le regole. Sarebbe bene però che il sovrintendente Sani e tutto il consiglio di indirizzo a partire dal suo presidente Merola spiegassero la cosa all’ignaro e stupefatto pubblico (ai quidam de populo insomma!) di cui faccio parte. In ogni caso la cosa sarebbe curiosa: due orchestre d’opera formate sostanzialmente dagli stessi strumentisti in una città di 350.000 abitanti e un solo teatro d’opera assolutamente sottoutilizzato! E poi comunque un’opera all’estero proprio quando il cartellone locale del teatro piange e l’EXPO è in piena stagione? Il teatro ci guadagna almeno qualcosa economicamente? Mah, miracoli organizzativi del management del teatro che forse dovrebbe affrontare in modo serio e definitivo l’intricata e irrisolta questione Filarmonica,  la gestione del Manzoni (e il relativo affitto!) etc.

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Avvisi, Operistica

Stagione d’opera 2016 del Teatro Comunale – 9 Luglio 2015

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Piccola anteprima parziale del cartellone d’opera del Teatro Comunale 2016 (ovviamente da prendere con beneficio di inventario..) : Attila (apertura stagione), Carmen, Entführung aus dem Serail, la solita opera contemporanea (incrociando le dita…), Le nozze di Figaro, Werther (Cavani?) …  Potenzialmente interessante (sperando almeno che il numero di opere sia incrementato) ma ovviamente tutto dipende dai casts, scenografia e regia.. Appena ho notizie più precise integro il post.
PS 10  Luglio – Ci sarà anche un Rigoletto..

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Operistica, Recensioni

Schade Zeyen – La Scala 5 Luglio 2015

Non profit bannerNon profit bannerStrepitoso è l’unico aggettivo che possa descrivere il Liederabend di Michael Schade accompagnato dall’ottimo pianista Justus Zeyen.  Impegnato nel  famosissimo ciclo di Schubert Die schöne Müllerin ha saputo rendere lo spirito dei Lieder che lo compongono con una voce assolutamente strepitosa e una perfetta sensibilità musicale quale rarissimamente si incontrano, grazie anche alla evidente consuetudine interpretativa con il pianista Zeyen che ne ha assecondato in ogni momento l’espressività. Ma alle qualità musicali Schade aggiunge una qualità che raramente si incontra nei concerti di Lieder e che appartiene a una ristretta schiera di grandi interpreti quali Angelika Kirchschlager o Teresa Berganza: l’arte scenica, chiaramente mutuata dalla sua esperienza operistica e che ha completato un’esibizione memorabile. L’espressività del volto, il movimento del corpo, l’uso perfetto del gesto hanno permesso al pubblico che non conosce il tedesco, non dotato di testo a causa di una organizzazione dell’ultimo momento dovuta alla cancellazione del concerto della Barcellona per malattia, di comprendere la tragica vicenda sentimentale del protagonista, la sua esaltazione, la sua rabbia e in ultimo la sua decisione di togliersi la vita. Un successo decretato da un pubblico che ha riempito la platea della Scala con un lungo, ripetuto, caldissimo applauso ricambiato da due bis  di Schubert e Lehar. Possiamo solo auspicare che questo grandissimo interprete torni al più presto in Italia: di liederisti come lui ne abbiamo bisogno per convincere un pubblico non avvertito che il Lied è genere musicale sopraffino.

HappyHappyHappy

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Operistica, Recensioni

Othello – La Scala 4 Luglio 2015

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Da molto tempo non assistevo a un coro di “buh” (meritati) di questa portata in un teatro d’opera italiano (e un plauso alla Scala dove i buh non sono trattenuti come invece nel teatro bolognese regolarmente imbottito di claque). Una vera tempesta che ha coinvolto direttore d’orchestra e regista “in primis” ma che ha quasi travolto anche il cast vocale. Questa opera “seria” di Rossini è uno dei suoi vertici musicali (se si prescinde dal libretto) che non viene rappresentata frequentemente. Opera vocalmente impegnativa alla portata comunque (teoricamente) del cast selezionato.
Othello 1
Il libretto assolutamente risibile nella sua pochezza e illogicità deriva vagamente dalla tragedia Shakespeariana. Cassio diviene Rodrigo (perché?), una parte significativa l’ha il padre di Desdemona Elmiro, mentre Jago non assume quel ruolo fondamentale che ha nella tragedia del Bardo. L’adesione solo molto parziale di un libretto al testo originale è ormai fatto accettato senza problemi (si pensi alle opere verdiane da  Shakepeare  quali Macbeth o Falstaff) ma nel caso in questione tutto è stravolto a partire dalla figura di Desdemona che risulta una ragazzotta spaesata che non capisce cosa stia succedendo muovendosi come un’oca giuliva (e la regia ci mette del suo in aggiunta al libretto). Il fatidico fazzoletto si trasforma in un biglietto d’amore indirizzato da Desdemona a Othello ma da questi interpretato come indirizzato a Rodrigo (tradimento e vendetta!). Giustamente Byron si scandalizzò di fronte all’opera. Bene o male (assai più male che bene) si tratta comunque della vicenda del moro e della sua gelosia. La direzione di Muhai Tang si rivela assolutamente non all’altezza fin dall’ouverture: fiacca, strascicata e priva del vigore che la partitura richiederebbe e prosegue piatta per tutta l’opera senza alcun momento di riscatto. Pessima quanto mai la regia. Si inizia con una Desdemona che fa una sorta di passerella durante l’ouverture agghindata con un trionfo di piume (che cascano) in una mise ottocentesca improbabile che porterà fino all’ultimo atto, nel quale invece indossa una veste da camera identica a quella di Othello (si sono accordati almeno per uno stesso stilista…). Il trionfo di Othello nel primo atto è un banchetto di nobili ottocenteschi con tanto di tuba, il vecchio doge esibisce un parkinson da ricovero e a un certo punto dell’atto si presentano due comparse con irroratori automatici stile vigna che bagnano il palcoscenico (umidificazione d’antan data la calura milanese?). Jago e Rodrigo, durante la tragedia, pur impegnati nel complotto, se la spassano comunque con cortigiane in calore. Si potrebbe continuare ma il peggio viene ammannito nel terzo atto dove viene portata sul proscenio un’ingombrante gondola (cui manca però il rostro di prua)  intorno alla quale ruotano i due protagonisti che salgono sull’imbarcazione solo per l’accoltellamento dell’improbabile Desdemona. Mentre nessuno capisce perchè Othello poi decida di pugnalarsi  (tutto avviene in un millisecondo) i tendaggi che fanno da contorno alla scena cadono lasciando il posto a un successivo tendagggio sul quale è stampata una visione sfocata di Broadway. Dovrebbe essere un coup de théâtre finale? Se sì, fallisce miseramente come peraltro l’intera regia. Tutti i personaggi si muovono nel corso dell’opera in modo scoordinato e in particolare Desdemona che risulta una sciocchina che non sa mai che pesci pigliare. Insomma un disastro che irrita a tal punto gli spettatori da farli esplodere alla fine in un liberatorio buh corale ben meritato. Dal  punto di vista vocale il migliore è certamente Rodrigo (Juan Diego Flórez  – con prolungati e meritati applausi al termine dell”opera)  e ottima è anche l’ancella Emilia (Annalisa Stroppa). Gregory Kunde (Othello) e Desdemona (Olga Peretyatko) non sono certamente dei protagonisti indimenticabili forse impacciati dalla regia dilettantesca. Fin dalla prima aria Kunde appare non a suo agio nella parte. Anche nella “canzone del salice” (dove l’arpa di accompagnamento è spinta in palcoscenico su un carrello con tanto di intoppo del carrello stesso) la Peretyatko  non raggiunge livelli di eccellenza pur mantenendosi a un livello accettabile. Jago (Edgardo Rocha) è insignificante mancandogli – anche per colpa del libretto – quell’accento malefico che contraddistingue il personaggio.  Nella norma Elmiro Barberico (Edgardo Rocha). A conti fatti una serata da dimenticare assolutamente non all’altezza della tradizione scaligera.
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Operistica, Recensioni

Il Luglio musicale a Bologna – 30 Giugno 2015

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E’ particolarmente triste osservare il “cartellone” musicale bolognese di Luglio dopo il bagno di spettacoli berlinesi (alcuni dei quali molto discutibili). Semplicemente nulla. C’è l’EXPO? E chi se ne importa? Milano ha uno spettacolo al giorno? E allora? I turisti vengono a Bologna? Peggio per loro che saranno comunque in grado di confrontare l’offerta di Firenze, Venezia etc. per non parlare dei luoghi esteri.  Che cosa può fare chi ama la musica? O andare a uno dei tristissimi e velleitari spettacolini populistici a uso dei turisti a Ravenna (che trasformazione negativa sotto l’organizzazione Mazzavillani!) oppure sottostare ai costi ingiustificatamente elevati del “festival” di Varignana nel quale il clou sarebbe la cena con gli artisti, uno specchietto per allodole che la dice lunga sulla serietà dell’operazione che né più né meno è uno spottone per il resort.  (Forse parteciperò a una serata, perchè si scrive solo di quanto si è visto e ascoltato, a differenza dei presupposti “critici” che infestano i giornali italiani. Che tristezza il confronto con i giornali anche locali tedeschi- a Berlino il Berliner Zeitung oppure Tagespiel – che per ogni manifestazione di qualche rilevanza non mancano di pubblicare il relativo non condizionato Besprechung).  Poi il nulla. Il teatro comunale di Bologna non ha nulla da dire? E in Settembre? Filarmonica (e quindi orchestra del teatro – il solito problema non affrontato e quindi irrisolto) in Giappone? Il silenzio è calato (ovviamente) sulla vicenda. Quieta non movere oppure Quietare..sopire.. del conte zio di Manzoniana memoria. Ovviamente, quindi, Kurvenal va in quiescenza forzata nella speranza che improvvisamente qualche manifestazione imprevista appaia all’orizzonte. Unica mia ipotesi per il momento: Otello…. ma alla Scala! Poi in Agosto Bayreuth con Tristan und Isolde.   Meditate gente, meditate….e ai miei lettori (incredibilmente anche russi, tedeschi, spagnoli, argentini, francesi, giapponesi, slovacchi …) non abbandonate Kurvenal!

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Operistica, Recensioni

Ariadne auf Naxos – Berlino Staatsoper 25 Giugno 2015

Non profit bannerNon profit bannerQuesta opera leggera di Strauss è un vero gioiellino grazie al libretto di von Hofmannstahl e alla musica piena di ironia di Strauss. Purtroppo molte delle sue opere non vengono mai rappresentate in Italia (ad esclusione di Salome o Elettra e a Bologna Capriccio negli anni ’90.). Non ricordo una messa in scena di Ariadne auf Naxos. Il libretto è pieno di umorismo anche se velato da una leggera malinconia. La storia si può riassumere nella stralunata richiesta di un signore del XVIII secolo nel prologo che chiede di rappresentare contemporaneamente nel suo castello la novità di un giovine compositore di un’opera seria e una pantomima della commedia dell’arte. La cosa naturalmente manda alla disperazione il compositore ma grazie al fascino della primadonna della commedia Zerbinetta, di cui il compositore si innamora, la cosa si risolve in una rappresentazione (l’unico atto) nella quale Arianna abbandonata da Teseo dapprima intende suicidarsi ma poi all’arrivo di Bacco che lei scambia prima per Teseo, poi per Mercurio e infine per Ade decide che la vita è assai più bella innamorandosi di Bacco e dotando la storia di un happy end nel quale Zerbinetta può affermare che ogni nuovo amante sembra sempre all’inizio un dio! Una messa in scena strepitosa con personaggi vestiti in modo moderno ma tutta soffusa da un’aura di melanconia che riproduce perfettamente lo spirito mitteleuropeo che l’accoppiata Strauss-von Hoffmanstahl richiede. Il regista (Hans Neuenfels) ha saputo usare una perfetta misura nell’affrontare lo spettacolo che ha ricevuto giustamente un prolungato applauso di oltre 10 minuti. Assolutamente strepitose le prestazioni vocali (a fronte di una partitura veramente difficile) delle due soprano Camilla Nylund (Ariadne) che ha saputo infondere al personaggio sofferenza e consolazione e Brenda Rae (Zerbinetta) dotata di una presenza scenica e di uno spirito pieno di umorismo che hanno ricevuto giustificati e numerosi applausi a scena aperta. Uno spettacolo indimenticabile.

HappyHappyHappy

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