Category Archives: Operistica
Don Pasquale – La Scala 3 Aprile 2018
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Diciamo subito che..
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Orfeo e Euridice – Teatro alla Scala 17 Marzo 2018
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Sicuramente uno spettacolo all‘altezza della Scala ma che lascia qualche perplessità.
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Dialogues des carmélites- Bologna Teatro Comunale 11 Marzo 2018
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Dialogues des Carmélites è un’opera del tutto particolare nel panorama musicale del secondo dopoguerra. Basata sul testo di G.Bernanos (e ovviamente adattata come libretto dal compositore F. Poulenc) è lontana nel suo sviluppo armonico dalle avanguardie musicali del tempo Continua a leggere
Die Fledermaus – La Scala 11 Febbraio 2018
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Non sono mai stato un amante dell’operetta ma ci sono almeno due eccezioni: Le contes de Hoffman” e “Die Fledermaus”. E bene ha fatto la Scala a riproporre per la prima volta (a Vienna viene riproposta ogni fine d’anno) l’operetta di Johann Strauss che sarebbe godibile sotto ogni profilo. Sarebbe…
se il regista non avesse trasformato un’operetta “fin de siècle” in una rappresentazione da baraccone, una sorta di avanspettacolo kitsch di periferia che la Scala di certo non merita. C’è tutto il repertorio più scadente da parte del regista che ammicca alla sala stile Schikaneder da circo: totale trasformazione del testo con inserzioni fuori luogo, balletti dei protagonisti (ad esempio nel primo atto), balletti in generale (il corpo di ballo è l’unico che si salva), il principe che diventa principessa, arie d’opera seria, esibizione di acrobati, battute di qualità infima e addirittura uno show di Paolo Rossi che con l’operetta c’entra come i cavoli a merenda. Fare una recensione seria di fronte a questo spettacolo sarebbe come sparare sulla croce rossa: praticamente non c’è nulla che si salvi. Solo Adele – die Zofe – (Daniela Fally) offre una prestazione di valore con una spiritosa presenza scenica e una bella voce.”Il resto è noia….“. Pubblico ovviamente soddisfatto (!!!!!) ohimé.
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Cast
Direttore |
Cornelius Meister |
Regia |
Cornelius Obonya |
Co-regista |
Carolin Pienkos |
Scene e costumi |
Heike Scheele |
Luci |
Friedrich Rom |
Coreografia |
Heinz Spoerli |
Video |
Alexander Scherpink |
Eisenstein |
Peter Sonn |
Rosalinde |
Eva Mei |
Dr. Falke |
Markus Werba |
Frank |
Michael Kraus |
Adele |
Daniela Fally |
Princesse Orlofskaya |
Elena Maximova |
Alfred |
Giorgio Berrugi |
Dr. Blind |
Kresimir Spicer |
Frosch |
Paolo Rossi |
CAST CORPO DI BALLO |
|
---|---|
Una donna |
Marta Romagna |
Un uomo |
Massimo Garon |
Tre uomini czarda |
Federico Fresi, Maurizio Licitra, Salvatore Perdichizzi |
Coppia Solista |
Beatrice Carbone, Massimo Garon |
E il Corpo di Ballo del Teatro alla Scala |
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La Bohème – Teatro comunale Bologna 19 Gennaio 2018
Con il ritorno alla regia di Graham Vick al comunale di Bologna (dopo il Guillaume Tell del 2014) si apre la stagione operistica del teatro mai come quest’anno immerso in un contesto cittadino da brivido. Ma qualcuno ha perso la tramontana quando ha deciso di massacrare la bella piazza con dei containers da porto commerciale? Roba da fare rimpiangere il degrado umano del luogo. Come sempre è possibile che una mente deteriorata possa escogitare soluzione peggiori della situazione da sanare. E che la stessa mente sia – audite audite – nominato assessore alla cultura!!!! A quando il foyer del teatro sarà trasformato in un supermarket per spettatori in ritardo per la spesa? Qualcuno potrebbe spiegare quali sono le credenziali culturali del nuovo assessore? E’ terribile che gli assessori siano piazzati come al gioco delle tre carte, solo per “opportunità” politiche e mai per specifiche competenze in materia. I containers dovrebbero essere motivo sufficiente per squalificare il responsabile all’assessorato alla cultura. Evviva il Cencelli! E sorprendere talvolta il pubblico con un nome fuori dalla solita, insopportabile “politica” dotato di credenziali inattaccabili e magari disponibile all’incarico gratuitamente? In fondo Merola non ha neppure problemi di rielezione…. Never never land.
Ma veniamo all’opera. Diciamo subito che si tratta di una buona notizia (finalmente!). La regia di Wick ambienta la vicenda in un contesto moderno senza però nessun riferimento specifico (se si esclude l’inizio del terzo quadro con alcuni elementi di dubbio gusto, peraltro poco in risalto). L’ambiente è quello di quattro squattrinati artisti che vivono le loro ristrettezze in modo goliardico, pronti a far baldoria ad ogni occasione. Mimì non ha nulla della povera e sofferente fioraia ma ha un bel portamento (in pantaloni) supportato da una non comune prestanza fisica.
E lo stesso dicasi di Musetta che il regista al termine dell’opera presenta insieme a Mimì un po’ come una ragazza di vita ma dotata di un grande cuore. Del tutto godibile la scena da Momus e molto bella la scena alla barriera la cui atmosfera tetra riflette perfettamente lo svolgimento dell’azione.
Il finale vede Mimì vestita in minigonna rossa con lustrini, come reduce da un festino (che quindi allude a una sua vita sregolata) che però viene a morire nelle braccia di Rodolfo. (E qui andrebbe sottolineata l’imprecisione del recensore della Repubblica che afferma che Mimì muore sola. Non vero: muore fra le braccia di Rodolfo e solo dopo i quattro amiconi se ne vanno. La gattina frettolosa – di redazione – fa i gattini ciechi…) . Ma lo spettacolo funziona e come! e dopo tante ignobili regie “creative” si assiste a uno spettacolo che pur non rinunciando a innovazioni (evitando quindi i soliti comignoli di prammatica) mantiene il senso del testo e produce uno spaccato di vita quasi studentesca nella quale l’indigenza economica fa da contraltare alla vitalità della giovinezza. Una regia del tutto godibile che denuncia la mano di un regista “vero” e non di un qualche parvenu arrembante che per far notizia massacra le opere come purtroppo sempre più siamo costretti a sopportare.
Quanto alla parte musicale si può solo applaudire l’intero cast a partire del direttore Mariotti che pur nel suo stile vigoroso trova gli accenti giusti nella parti più intimistiche trascinando l’orchestra in una delle sue migliori prestazioni degli ultimi tempi. Superlativa la prova di Mariangela Sicilia nella parte di Mimì: il finale del terzo atto è semplicemente da manuale. Un plauso incondizionato a una voce che eccelle sia nei toni drammatici che in quelli più lirici. Ottimo, anche se un gradino sotto, il Rodolfo di Francesco Demuro che talvolta sforza un poco e ottimo sotto ogni profilo (vocale e teatrale) il Marcello di Nicola Alaimo. Brava Hasmik Torosyan come Musetta, spiritosa e brillante come la parte richiede. E buona anche la prestazione di Evgeny Stavinsky come Colline anche se ovviamente confinata alla famosa e non facile aria della zimarra. Nella norma tutti gli altri interpreti. In sintesi finalmente un spettacolo degno di un’inaugurazione di stagione e – speriamo – indicativo di una nuova aria nel teatro, dopo il cambio per troppo tempo procrastinato di un sovrintendente solo da dimenticare.
A margine: continua la bizzarria del libretto su smartphone. Sembra proprio una malattia priva di possibili vaccini.
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Mimì |
Mariangela Sicilia
|
Musetta |
Hasmik Torosyan |
Rodolfo |
Francesco Demuro |
Marcello |
Nicola Alaimo |
Schaunard |
Andrea Vincenzo Bonsignore |
Colline |
Evgeny Stavinsky |
Benoit/Alcindoro |
Bruno Lazzaretti |
Parpignol |
Guang Hu (Scuola dell’Opera) |
Un venditore |
Coro |
Orchestra, Coro, Coro di voci bianche e tecnici del Teatro Comunale
Direttore |
Michele Mariotti |
Regia |
Graham Vick |
Scene e costumi |
Richard Hudson |
Luci |
Giuseppe di Iorio |
Assistente alla regia |
Lorenzo Nencini |
Assistente alle scene |
Justin Arienti |
Assistente ai costumi |
Elena Cicorella |
Maestro del Coro di voci bianche |
Alhambra Superchi |
Maestro del Coro |
Andrea Faidutti |
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Don Giovanni – Staatsoper Berlin 13 Gennaio 2018
M


Leggete anche il blog bertoldoblog.wordpress.com
Provate a immaginare un bosco che costituisce l’unico scenario, che dovrebbe essere nel tempo il palazzo di Don Giovanni, il cimitero con la statua del commendatore, la finestra che si apre alla serenata di Don Giovanni travestito da Leporello, la sala da pranzo di Don Giovanni etc.etc. Sarebbe necessario avere un dispositivo di “augmented reality” o una immaginazione stellare per orientarsi in questo ridicolo caos. Aggiungiamo che Donna Elvira emerge da una fermata d’autobus con tettoia e sedili miracolosamente piazzata nella foresta (succede spesso, vero?) stropicciandosi i piedi doloranti (?), che Donna Anna e Don Ottavio arrivano su un’auto con fanali accesi che sputa fumo in mezzo alla foresta (normale, no?) e con Don Giovanni che brandisce una chiave inglese a mo’ di meccanico per l’auto. Poi Don Giovanni si esibisce come go-go girl durante la festa. E per finire abbiamo una Donna Anna che nella prima scena salta addosso a Don Giovanni infoiata (e sarà così per tutta l’opera) – nuovo eh! – costumi moderni tristissimi, una Donna Elvira sdraiata che – sempre alla fermata – mette le gambe al collo di Leporello-Don Giovanni e avete solo un 10% della sciagurata e noiosa regia dell’opera. Ovviamente Zerlina ci sta con Don Giovanni come assatanata. Il commendatore nella grande scena della dannazione spala terra come un becchino e la famosa cena è un picnic. Scena finale dell’opera semplicemente tagliata concludendosi l’opera con la discesa agli inferi di Don Giovanni. Regista creativo? No, dilettante teatrale convinto di fare colpo con mezzucci da panem et circenses. Una messa in scena che sarebbe andata bene alla Komische Oper di alcuni anni fa quando la rozzezza la faceva da padrone. Uno spettacolo indegno della grande tradizione della Staatsoper e certamente pessimo foriero della nuova gestione che solletica la parte più retriva e rozza degli spettatori: insomma avanspettacolo da periferia. E la parte musicale non è certamente meglio. Una direzione scioccamente e noiosamente lenta, una Donna Elvira assolutamente non all’altezza della parte e un Don Ottavio che nella sua seconda aria tira una stecca da brivido. Appena sufficienti Don Giovanni e Leporello (obbligato dalla regia a un comportamento scioccamente istrionico). Buona la prestazione di Donna Anna e ottima quella di Zerlina (Anna Prohaska – l’unica vera professionista) che non si capisce come possa essere finita in una produzione di second’ordine (e che viene obbligata dal regista a cantare l’aria del balsamo guardandosi sempre intorno come se temesse qualcosa). Successo da parte di un pubblico da circo che non ha mai visto un Don Giovanni di buona qualità e che viene anche ingannato dalle traduzioni imprecise che nascondono i particolari che sottolinerebbero le assurdità della regia. Spettacolo inqualificabile.
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