Cameristica, Recensioni

Yuja Wang – Berlino Philharmonie 13 Giugno 2016

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Con buona pace del maestro di musica del conservatorio di Genova (che afferma di avere suonato in tutto il mondo – si può essere invitati anche al dopolavoro ferroviario di Garching in Baviera…) che considera Yuja Wang uno scartino e che mi ha infamato su Facebook per avere “osato” accostarle la peraltro bravissima Beatrice Rana, la mini-cinese ha tenuto un concerto memorabile alla Philharmonie di Berlino in cui ha eseguito anche autori che fino ad ora non aveva affrontato e in particolare Beethoven con la sua sonata monumentale op. 106. Yuja Wang fa ormai parte dell’olimpo internazionale pianistico dopo la fortunata sostituzione di Martha Argerich e il favore di Abbado. Dotata di una sorprendente tecnica (sempre al servizio dell’interpretazione, non come certi macellai che infestano il panorama pianistico) ha ormai un repertorio vastissimo e il programma alla Philharmonie ne ha ampliato i confini. Diciamo subito che la “prova” Beethoven è stata superata a pieni voti. Un’interpretazione profonda, magistrale, con tutte le necessarie sfumature nel monumentale adagio e con una esecuzione perfetta della fuga finale che, eseguita quasi al tempo metronomico indicato da Beethoven, è riuscita ciò nondimeno a sottolinearne tutti gli aspetti strutturali con il dovuto risalto dei temi e rendendo appieno le parti più melodiche. Del programma presentato purtroppo qualcosa è stato arbitrario: eseguire due sole delle 4 ballate di Brahms che formano un “corpus” unico del Brahms giovanile è una scelta non felice e riflette una debolezza della Wang che ha registrato nello stesso spirito le variazioni su un tema di Paganini del compositore amburghese nella forma della ormai famosa esecuzione di Michelangeli, un arbitrio che forse poteva essere accettabile negli anni ’30 ma che oggi non trova alcuna giustificazione. Forse una ragione per questa esecuzione parziale sta nel minutaggio ma la scelta non appare comunque giustificata. Esecuzione certamente di altissimo livello specialmente nella prima ballata dove l’atmosfera mistica ha trovato una perfetta scelta di intensità e tocco. Ha completato l’impegnativo programma la Kreisleriana di Schumann, la cui esecuzione – seppure ancora una volta a livelli eccezionali – non è stata contraddistinta da scelte sempre felici. Troppo spesso la ricerca spasmodica di effetti interpretativi legati ad ogni singolo passaggio hanno spezzato il flusso melodico della composizione. Non va comunque dimenticato che il programma presentato è stato finora eseguito poche volte in pubblico e ben sappiamo che ogni programma necessita di rodaggio, come ci insegna Sokolov, che esegue per una stagione intera un solo programma. Come bis la Wang ha eseguito la trascrizione lisztiana di “Gretchen am Spinnrade”, una rivisitazione virtuosistica di temi della Carmen di autore a me ignoto e il valzer in do diesis minore di Chopin, tutti interpretati perfettamente. Grande successo di pubblico che occupava il 65 % del Großer Saal della Philharmonie. Speriamo che Musica Insieme di Bologna inviti la Wang quanto prima per un concerto solistico dopo quello del 2012. Nota di colore: due vestiti nelle due parti del concerto. Il primo lungo da gran sera e il secondo – secondo la tradizione della Wang – con uno spacco alla Belen Rodriguez.


HappyHappy

PS Ricevo da un ANONIMO difensore d’ufficio del teatro comunale di Bologna all’indirizzo 3935451877@tre.it che risulta inesistente un commento irritato e negativo nel quale mi dà dell’incompetente per le mie critiche al teatro, suggerendomi di occuparmi solo di ingegneria. Non pubblico commenti privi di nome e cognome e avrei voluto rispondergli privatamente ma l’indirizzo – come ho detto – è inesistente. Questo è comunque il testo che spero lo raggiunga. In primo luogo sappia che sono diplomato in pianoforte col massimo dei voti prima di essere laureato in ingegneria (a differenza Sua). In secondo luogo pubblico tutti i commenti – anche i più negativi – SOLO se corredati di nome e cognome, come la buona educazione richiede, regola che evidentemente Lei non conosce. Terzo il favore che riscuote il mio blog è certamente indice che quanto scrivo è condiviso.  Naturalmente sarò felice di pubblicare i Suoi commenti se avrà il buon gusto di firmarsi, mettendoci la faccia come faccio io e non nascondendosi dietro l’anonimato. Avendo molte primavere sulle spalle è con grande dispiacere che assisto all’irreversibile degrado del nostro teatro, che ha visto stagioni e gestioni di ben altro livello. Le garantisco comunque che continuerò a scrivere ciò che ritengo giusto (recensioni, NON “presentazioni” asettiche, come fanno certi “critici” garantendosi un costo del biglietto nullo…) pubblicando anche i pareri discordi purché firmati ed educati. Temo che sia Lei a dovere imparare un mestiere oltre che l’educazione. Distinti saluti.

SadSad

Programma
J. BRAHMS: Ballate Op. 10, N. 1&2
R. SCHUMANN: Kreisleriana, Op.16
L.V. BEETHOVEN: Sonata Nr.29 B-Dur, « Hammerklavier»
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Mitsuko Uchida – Ravenna Festival 1 Giugno 2016

 
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Mitsuko Uchida è giustamente da molto tempo ai vertici del pianismo mondiale e il concerto in questione ne è una riprova. Un programma ritagliato sulle caratteristiche principali della pianista giapponese che ha studiato a Vienna e che ora vive in UK: Mozart e Schubert. Il tratto principale di Uchida è certamente una musicalità perfettamente aderente allo stile dei brani eseguiti, un tocco felicissimo e un uso sapiente del pedale. Forse meno valido- oggi –  è l’aspetto tecnico sottolineato da svariati errori nella prima serie di improvvisi di Schubert (D899) e comprovato dai tempi un po’ troppo “cauti” nel secondo e nel quarto improvviso della stessa serie. Bellissimo invece l’incipit del secondo improvviso della seconda serie (D935) con una impostazione interpretativa superba e una sonorità assolutamente perfetta. Bellissima certamente anche l’esecuzione del rondò mozartiano anche se certe libertà ritmiche possono apparire discutibili nel contesto dello stile del compositore salisburghese. Due bis: una celebre sonata di Scarlatti, resa assolutamente senza pedale ma con l’uso continuo di “una corda” (forse per avvicinarsi alle sonorità clavicembalistiche?) e un momento musicale di Schubert. Grande successo di pubblico per l’unica vera manifestazione solistica classica dell’ormai trasformato (in senso peggiorativo) festival ravennate, che costituisce la controprova che anche nell’arte esiste purtroppo un trend populistico.

HappyHappy

 Programma
Wolfgang Amadeus Mozart : Rondò in la minore K511
Franz Schubert:  “Impromptus” Libro I D899, “Impromptus” Libro II D935

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Europa galante – Bologna Festival 31 Maggio 2016

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Della serie “horror” o “non ci facciamo mancare nulla” ci vengono ammannite due non richieste introduzioni “musicologiche” inutili, banali e la prima delle due cosí prolissa che la prima parte del concerto dura solo 25 minuti costringendo la compagine barocca a un “fuori programma” per riportare la durata musicale a un minutaggio decente. Archetti e impugnature di rigorosa impostazione barocca dimenticando che se si volesse tentare di riprodurre un vero contesto barocco bisognerebbe suonare in una piccola sala e non in un auditorium da più di mille posti! Ma illudersi non costa niente. Prima parte Vivaldiana: la musica del prete rosso è sempre gradevole ma durante l’ascolto non potevo dimenticare la caustica affermazione di Stravinskij che Vivaldi aveva composto 400 volte lo stesso concerto! Una esecuzione comunque di buon livello e gradita dal pubblico. Dopo il “fuori programma” di una sonata di Nicolò Corradini viene eseguito “Il combattimento di Tancredi e Clorinda” di Monteverdi accreditato dalla musicologia corrente come primo abbozzo di melodramma. Il programma indica la presenza di  “movimenti scenici” a contorno dell’esecuzione ma si tratta solo dei due protagonisti vocali che si aggirano un po’ spersi per il palcoscenico con un finale in cui il narratore cade volutamente “come corpo morto cade” quale improbabile incarnazione della redenta e defunta Clorinda. Purtroppo l’esecuzione è piagata dall’assenza nel programma di sala del testo che nella dizione imprecisa del tenore narratore risulta totalmente incomprensibile. Una esecuzione quindi complessivamente insufficiente. E con questo concerto si conclude la serie dei “grandi interpreti” 2016 del Bologna Festival con luci ed ombre.  Senza lode e senza infamia.

HappySad

 Programma
Antonio Vivaldi
Sinfonia “Il Coro delle Muse” RV 149
Sinfonia da “La Griselda” RV 718
Sinfonia da “Ercole sul Termodonte” RV 710 (sostituita dal Concerto in sol minore RV 152)
Sonata op.1 n.12 “La follia” RV 63
Claudio Monteverdi
Combattimento di Tancredi e Clorinda
movimenti scenici a cura di Walter Le Moli

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Benjamin Grosvenor- Bologna Festival 25 Maggio 2016

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Apparso out of the blue e senza avere vinto alcun concorso (almeno così dalla sua scarna biografia disponibile in rete) il giovane (24 anni) Benjamin Grosvenor è stato una piacevole sorpresa al Bologna Festival.  Il suo pianismo poggia su una solidissima base tecnica (ne è prova l’esecuzione del Tombeau de Couperin di Ravel e segnatamente della trascendentale Toccata che è certamente assimilabile come difficoltà ai più noti Gaspard de la nuit e  Petrushka di Stravinskji) che però costituisce solo la piattaforma su cui impostare una esecuzione di altissimo livello. Una maturità artistica che nei giovanissimi solo pochi veri artisti sono oggi in grado di esibire a fronte di una massa di atletici muscolari quasi sempre privi di sensibilità musicale. Il programma presentato oltre al già citato Tombeau ha presentato alcuni brani poco eseguiti di Mendelssohn (preludi e fughe)  e  la sonata in sib minore di Chopin. Anche in questo caso è stata la musica a farla da padrone sia nella celebre marcia funebre ma soprattutto nelle sfumature dello scherzo e del primo tempo laddove molto spesso eccessi di velocità virtuosistici offuscano il portato musicale. E financo in Liszt, dove il rischio del funambolismo è costantemente presente, Grosvenor ha saputo tenere una misura encomiabile anche laddove la difficoltà tecnica avrebbe potuto suggerire una diversa impostazione. Naturalmente non sono mancati alcuni aspetti discutibili, ad esempio nel primo brano del Tombeau  ove una impostazione un po’ troppo algida e tecnica ha mancato di mettere in risalto alcune sfumature molto importanti del brano. Ma – sia chiaro – in un contesto assolutamente positivo. Il giovane pianista ha concesso a un pubblico giustamente plaudente (ma purtroppo non osannante come nel caso del macellaio Matsuev…) tre bis assolutamente ignoti al sottoscritto. Food for thought..
 HappyHappy
Programma
Felix Mendelssohn-Bartholdy  Preludio e fuga in mi minore op.35 – Preludio e fuga in fa minore op.35
Fryderyk Chopin  Sonata n.2 in si bemolle minore op.35
Maurice Ravel Le tombeau de Couperin
Franz Liszt Venezia e Napoli  – da Années de pèlerinage, Deuxième année, Italie
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Davide Cabassi – Milano Quartetto 24 Maggio 2016

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Non va per il sottile il giovane Cabassi. Lo si percepisce dalle prime note delle Kinderszenen dove viene totalmente a mancare quell’aura di racconto favolistico che è la cifra della raccolta. Un’impostazione che si perpetua in tutti i brani della raccolta e nel Carnaval. Il pianismo di Cabassi è muscolare con dosi massicce di pedale, un tocco sempre granitico e una ricerca della velocità a scapito dell’interpretazione. Lo si percepisce soprattutto nel Carnaval schumanniano dove nei brani veloci si avventa aggredendoli più che suonandoli, anche in parte temerariamente, perché non sempre sorretto da una tecnica immacolata.  Nella seconda parte vengono eseguiti dei brani interessanti e musicalmente molto piacevoli di N. Castiglioni  (Dulce Refrigerium) che prevedono un breve intervento canoro dell’esecutore. Senza soluzione di continuità (perché?) Cabassi ha poi eseguito i Quadri di Musorgskij che pur dando luogo a risultati migliori rispetto alla prima parte hanno peccato degli stessi difetti. Quello che manca al pianista milanese è quell’opera di raffinamento stilistico che contraddistingue un interprete di valore da un interprete con solide basi tecniche ma carente di valori musicali in senso stretto. E non pare a chi scrive che questa faticosa catarsi sia alle viste. Come primo  bis un virtuosistico Scarlatti con note ripetute.  Il secondo e ultimo bis si è basato su una rivisitazione di “over the rainbow” che scatena un “bravo” a scena aperta (quasi una sorta di grido liberatorio) da parte di un pellegrino del pubblico che chiaramente digiuno di musica  finalmente ha riconosciuto un brano. Senza commenti.
 Sad
Programma
R. Schumann  Kinderszenen op. 15
R. Schumann  Carnaval op. 9
N. Castiglioni  Dulce Refrigerium
M. Musorgskij Quadri di un”esposizione
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Le concert des nations – Bologna Festival 19 Maggio 2016

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Lo dico forte e chiaro e senza pudori: la fine del concerto è arrivata come una liberazione. Ho sofferto l’intero concerto vicino a un energumeno seduto scompostamente e praticamente in simbiosi con un mozzicone di sigaretta l’Offerta Musicale di Bach è risultata un tormento che ancora una volta un ineffabile Jordi Savall ci ha inferto. La raccolta di brani Bachiani (al pari dell’Arte della Fuga) è musica estremamente rarefatta nella sua algida geometria e richiede, per essere apprezzata, un contesto raccolto, un’esecuzione rigorosamente cameristica. Savall invece, come purtroppo è solito fare,  si disinteressa del risultato convinto che il solo suo nome sia sufficiente a garantire un successo immeritato. Sia ben chiaro: nessun demerito individuale per gli strumentisti ma un’esecuzione complessivamente piatta e monotona e – in sostanza – estremamente noiosa. Sarebbe ora che qualcuno affermasse forte e chiaro che il re è nudo e che il Bologna Festival smettesse una volta per tutte di includere Savall nei suoi programmi. Con buona pace di chi si esalta anche in questo contesto come all’ascolto del canto gregoriano convinto di fare sfoggio di grande competenza musicale. Se non temessi l’ira funesta degli organizzatori mi lancerei nella famosa esclamazione di Fantozzi durante la proiezione della Corazzata Potemkin. Amen.

SadSad

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Lorenzo Bagnati – Talenti Bologna Festival 12 Maggio 2016

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Il concerto comincia in perfetto orario e senza l’abominato pistolotto iniziale. Ben fatto, finalmente! Il giovane Bagnati (17 anni) è promettente: ha una buona tecnica, senso della musica interpretata e indubbia musicalità. La prima parte del concerto (Liszt e Ravel) è certamente la migliore mentre più carente è stata la seconda (Skryabin e Chopin) e segnatamente la sonata op. 58 di Chopin dove nel terzo tempo è mancata la poesia del canto e nell’ultimo tempo il desiderio di impressionare il pubblico ha travolto letteralmente il significato musicale della composizione. Bagnati è molto giovane e avrà certamente modo di maturare sotto ogni profilo perché la stoffa non manca: ha solo bisogno di essere ancora guidato evitando quella china – in cui molti giovani cadono – costituita da  un troppo facile successo iniziale che non lascia spazio alla maturazione. Un bis.

Happy

Programma
Franz Liszt  Vallée d’Obermann da Années de pèlerinage, Première Année, Suisse – L es jeux d’eau de la Villa d’Este da Années de pèlerinage, Troisième Année
Maurice Ravel Jeux d’eau
Alexander Skrjabin  Sonata n.9 op.68
Fryderyk Chopin Sonata n.3 in si minore op.58

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Quatuor Hermés – Talenti Bologna Festival 28 Aprile 2016

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È stato un piacere ascoltare il concerto di questo giovane quartetto che ha già in repertorio composizioni poco eseguite ma meritevoli di ascolto. È il caso Èduard Lalo e Gabriel Faurè, esponenti della generazione di compositori francesi a cavallo della fine del XIX secolo che hanno improntato con le loro opere quella feconda stagione culturale. Mentre il brano di Lalo subisce ancora fortemente l’impronta beethoveniana ma senza venirne troppo condizionato, più innovativo è il quartetto di Faurè con quell’assolo iniziale di viola così inconsueto nella letteratura quartettistica.  Fra i due brani francesi un interessante tempo di quartetto a sé stante del giovane Webern che mostra tutto l’influsso che Brahms ebbe sul compositore austriaco per lo meno nelle sue prime opere. Il Quator Hermés ha certamente favorevolmente impressionato il non folto pubblico con un’esecuzione stilisticamente impeccabile, un affiatamento degli strumentisti di notevole impatto e al contempo con una freschezza di impostazione che raramente si incontra nelle giovani compagini. Un concerto che certamente ha meritato di essere incluso nella rassegna dei “Talenti” del Bologna Festival.
PS Non possiamo che rallegrarci che il Bologna Festival abbia rinunciato alle noiose e inutili introduzioni iniziali…

HappyHappy

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Grigory Lipmanovič Sokolov – Bologna Festival 19 Aprile 2016

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Involuzione e manierismo: sono questi i due vocaboli che costantemente mi sono circolati in testa durante il concerto del pianista russo. Rispetto alle ultime esecuzioni cui avevo assistito alcuni dei caratteri distintivi che seppur al limite dello stile potevano risultare accettabili in una visione esecutiva molto slava (nel senso migliore della parola) si sono ritrovati nel concerto di ieri sera esasperati oltre misura snaturando molti dei brani in programma. Al manierismo di Sokolov eravamo già stati abituati in un concerto di alcuni anni fa che vedeva nella prima parte brani di Rameau. Là predominavano trilli e gruppetti fino a diventare la cifra portante dell’interpretazione; qui vi è stato un totale stravolgimento dei tempi, allargati senza motivo alcuno. Ne ha fatto le spese in prima battuta la fantasia di Schumann e in particolare il secondo movimento (Durchaus energisch) che di energico non aveva nulla rilassando oltre misura il tempo puntato (così caratteristico delle composizioni schumanniane!) persino nel finale brillante e virtuosistico trasformato in una massa sonora informe. E lo stesso dicasi del primo movimento (Mässig) dove il secondo tema (Im Legendton) ha perso l’aura di mistero risultando in un “lento” senza capo né coda. Inutile dire che lo stesso è accaduto nel finale della fantasia (Langsam getragen) anche se in questo caso l’espressività ha in parte giustificato il tempo scelto. Tutto quanto detto può applicarsi alla sonata in sib di Chopin e in particolare all’ultimo tempo dove un uso quasi nullo del pedale (possibile in una esecuzione esemplare) non ha trovato alcuna corrispondenza in un’impostazione scialba e metronomicamente persino noiosa. Senza lode e senza infamia gli altri brani (Arabeske op. 18 di Schumann e due notturni di Chopin) dove ancora una volta il manierismo l’ha fatta da padrone. A tutto questo va aggiunta una fallosità significativa (addirittura due salti consecutivi identici hanno portato a una nota sporca!). Come bis gli amati Momenti Musicali di Schubert. La serata poi è stata infestata dal solito pubblico modaiolo e ignorante del Bologna Festival che ha ripetutamente applaudito fuori tempo, indipendentemente dalla qualità di quanto ascoltato, quasi in preda a un prurito irrefrenabile da sedare con il battimani (o forse nella speranza di arrivare quanto prima all’intervallo, dove esercitare il proprio ruolo di PR…), il che ha obbligato Sokolov a eseguire secondo e terzo tempo della fantasia (e analogamente per la sonata di Chopin) praticamente senza interruzione. Che pena questa ignoranza unita alla spocchia di cercare di millantare una inesistente competenza con l’applauso in tempo reale!

SadSad

Programma
Robert Schumann
Arabeske in do maggiore op.18
Fantasia in do maggiore op.17
Fryderyk Chopin
Notturno in si maggiore op.32 n.1
Notturno in la bemolle maggiore op.32 n.2
Sonata n.2 in si bemolle minore op.35
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András Schiff – Quartetto Milano 13 Aprile 2016

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I tre autori di riferimento per András Schiff (o Sir András Schiff come indicato nei cartelloni) sono certamente Bach, Beethoven e Schubert (anche se non mancano concerti che includono brani di Chopin, Schumann etc.). Il programma in questione (una vera e propria maratona bachiana – 135 mins di musica più 15 minuti di intervallo e il tema delle Goldberg come bis) rientra nel novero dei suoi autori preferiti essendo poi Bach l’autore che a detta del pianista ungherese egli esegue quotidianamente insieme… alle scale (meditate, giovani leoni, meditate…).  Il Bach di Schiff è quello che maggiormente si avvicina a quello cembalistico, data la quasi assoluta assenza di pedale e una dinamica contenuta che però non corrisponde in alcun caso a una esecuzione monotona. Una scelta difficilissima ma che Schiff rende alla perfezione essendo in grado, pur nell’assenza di grandi variazioni di suono, di inserire quelle sfumature che valorizzano appieno il tessuto musicale. Una grandissima interpretazione di un artista raffinato, dotato di una maturità stilistica difficilmente reperibile nel panorama degli interpreti internazionali.  Interessante il fatto che sul palcoscenico vi erano due Steinway (uno più nuovo e più brillante e uno di alcuni anni con un suono più ovattato – a differenza di molti altri casi nei quali oltre a uno Steinway  c’era un Bösendorfer) selezionati dal pianista ungherese in base alle caratteristiche della partita eseguita. Un successo calorosissimo del foltissimo pubblico.
PS Partendo da Bologna si sta diffondendo un virus pericolossisimo , la “pistolettite” ovvero la moda del pistolotto introduttivo. Purtroppo anche al Quartetto è invalsa l’abitudine di una introduzione musicologica che per il momento è in forma lieve (5 minuti a differenza dei 15-20 minuti sbrodolati a Bologna) e – devo ammettere – di ottima qualità. Speriamo bene….

HappyHappyHappy

 Programma
J.S. Bach ‐ Sei Partite BWV 825 – 830
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Krystian Zimerman – Quartetto Milano 9 Aprile 2016

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Zimerman è certamente un pianista che si inscrive nel novero dei grandi classici contemporanei ma con un occhio rivolto a un recente passato, ai grandi maestri dell’interpretazione che – purtroppo – lasciano spesso il posto a energumeni della tastiera o più semplicemente a funamboli che fanno della tecnica il loro principale e spesso unico pregio. Zimerman è invece pianista che nulla concede al glamour con la sua maniacale cura nel preparare personalmente il suo pianoforte che trasporta in furgone da lui guidato, con un’impostazione classica, stilisticamente rigorosa, curata in ogni dettaglio e sottolineata persino dalla scelta di indossare il frack, costume ormai desueto nelle sale da concerto. Il programma eseguito è lo stesso già eseguito a Bologna e Imola nel Giugno 2015 senza neppure le variazioni giovanili presenti nelle due date dello scorso anno. Ripetere all’infinito lo stesso programma era tipica prerogativa di Sokolov ma evidentemente ha fatto scuola! Per carità: esecuzione eccezionale, raffinata dalle mille ripetizioni ma come sempre un po’ ripetitiva mentre una maggiore varietà sarebbe molto gradita (v. il caso Argerich). Il giudizio rimane lo stesso già espresso precedentemente (http://wp.me/p5m12m-tT) e quindi non lo ripeto, l’unica differenza essendo tempi discutibilmente più stretti nei primi tempi delle due sonate e tre bis lirici di Szimanowksy. Grandissimo (e meritato) successo di pubblico.

HappyHappy

Programma
F. Schubert‐ Sonata in la maggiore op. post. D 959; Sonata in si bemolle maggiore op. post. D 960
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Cameristica, Recensioni

Trio Ars et Labor – Musica Insieme Ateneo 5 Aprile 2016

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La serietà di un concerto si misura fin dall’inizio da come l’organizzazione “tiene” la sala. Nel caso in questione viene fatta entrare durante l’esecuzione del trio Brahmsiano una torma rumorosa di ragazzotti, totalmente ignari del galateo richiesto da un concerto, cosa che alla fine del brano suscita lo sdegno ad alta voce, giustificatissimo, di una spettatrice. Chi arriva in ritardo sta fuori fino alla fine del brano in esecuzione e basta, anche perché trattandosi di giovani spettatori la cosa ha un valore didattico. Essendo poi stato costretto ad emigrare dal mio posto al centro della platea all’ultima fila della sala a causa di una giovin signora evidentemente reduce da una lunga corsa ho poi potuto verificare come la stessa torma fosse totalmente disinteressata al concerto dedicandosi per la maggior parte del tempo a compulsare il telefonino. E a questo punto sale ovviamente l’interrogativo: perché vengono al concerto se poi se ne disinteressano disturbando con la luce del maledetto dispositivo gli spettatori interessati al concerto stesso? Non imporre un costo seppure modesto toglie un filtro che mai come in questo caso sarebbe indispensabile: il buonismo a tutti i costi è sempre foriero di disastri. Prima del concerto ha luogo la solita introduzione affidata – come sempre – a uno studente ma mai come in questo caso palesemente mal scopiazzata da qualche articolo: da quando mai uno studente è in grado autonomamente di attribuire – ad esempio – l’aggettivo “pulviscolare” all’ultimo tempo del trio di Ravel? Anche il trio Brahmsiano non comincia affatto bene. A parte la discutibilissima scelta di eseguire la versione giovanile – decisamente meno bella – del compositore amburghese (una sorta di archeologia musicale priva di logica se non allo scopo di impressionare cheap il pubblico) l’attacco del bellissimo, nobile primo tempo (identico a quello della versione finale) è lento e scialbo. Una lentezza che affliggerà anche il secondo tempo del trio di Ravel e che fa sospettare una tecnica insufficiente della pianista che raramente dosa la propria sonorità con ovvi risultati. Le esecuzioni del trio (tutto al femminile) sono sfilacciate, ogni strumento pare andare per proprio conto e non sono rare le imperfezioni, segnatamente quelle del pianoforte e del violino. Un’analisi ulteriore puntuale delle due esecuzioni non sarebbe giustificata. Diciamo in sintesi che si è trattata di una serata da non ricordare e che il nome del trio andrebbe modificato in poco Ars e molto Labor ancora da svolgere.  (Scrivo mentre ascolto il trio di Brahms suonato da Stern, Casals e Istomin: non sembra neppure lo stesso brano! E confesso: come vorrei saper suonare il violoncello!).

SadSad

Programma
Johannes Brahms Trio op. 8 (prima versione)
Maurice Ravel Trio in La minore-maggiore
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Cameristica, Recensioni

Beatrice Rana – Musica Insieme 4 Aprile 2016

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Avevamo sentito e recensito la giovane Beatrice Rana (oggi ventitreenne) 3 anni fa nel corso della rassegna “pianofortissimo” curata da A.Spano, subito dopo avere vinto il secondo premio al concorso Van Cliburn, ricevendone un’ottima impressione (http://wp.me/p5m12m-1E). Il concerto di ieri sera è riuscito a farci scordare rapidamente la pedante, prolissa, autocompiaciuta e apparentemente ineludibile introduzione “musicologica” (un vero “flagello di Dio” in questo caso, brandito dall’associato universitario Beghelli, che ancora una volta si conferma al gradino più basso della scala – di per sè già bassa –  dei cosiddetti relatori) dando luogo a una performance di assoluto rilievo. Sorretta da una tecnica di primissimo ordine, senza macchia, brillante e sgranata ma anche capace di pianissimi eterei e da un tocco dai molti colori, Beatrice Rana non è più una grande speranza del giovane pianismo italiano ma una certezza consolidata di valore internazionale in grado di spaziare alla pari dei grandi maestri su tutto il vasto repertorio della tastiera. Stilisticamente ineccepibile la Rana ha la capacità di estrarre dal piano tutte le armonie più profonde senza tralasciare l’aspetto virtuosistico che raramente appare fine a sé stesso. Un esempio per tutti: la perfetta resa di “pour le piano” di Debussy, un brano complesso e non frequentemente proposto. Una volta lodata incondizionatamente si può poi discutere su alcune scelte interpretative e segnatamente – ad esempio – l’eccesso di coloritura nell’ultimo tempo della sonata op. 35 di Chopin, dove il minaccioso magma sonoro è tale se è risolto con una sonorità quasi uniforme che naturalmente non vuole assolutamente dire monotonia. Anche i tempi staccati in alcune parti (ad esempio nella fuga iniziale e nel finale della partita bachiana) sono risultati eccessivi venendo a coprire la bellezza musicale sottesa. Ma sono eccessi perdonabili certamente dovuti al combinato disposto della giovane età e della facilità di mano della giovane concertista che ha tutto il tempo per imparare a tenere a freno la propria esuberanza. Grande e meritato successo di pubblico e un solo bis bachiano: forse una giovane pianista potrebbe essere un po’ più generosa!

HappyHappyHappy

Programma:
Johann Sebastian Bach Partita n. 2 in do minore BWV 826
Claude Debussy Pour le Piano
Fryderyk Chopin Sonata in si bemolle minore op. 35
Maurice Ravel  La valse
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Sebastian di Bin – Conoscere la musica 31 Marzo 2016

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Preceduto da una introduzione innecessaria, prolissa (20 minuti!) e scontata,  (il solito pistolotto “pistolettato dal relatore, prezzemolo con cui vengono conditi tutti i concerti bolognesi di livello medio basso)  il concerto vero e proprio inizia 30 minuti dopo l’orario previsto: una ingiustificata punizione per colpe non commesse dagli spettatori. Il pianismo di di Bin conosce alti e bassi. Si inizia con un’ottima esecuzione di tre momenti musicali di Rachmaninonv mentre i seguenti tre studi di Chopin op. 25 (soprattutto il n. 11 e il n. 12) appaiono troppo orientati a sottolineare le capacità tecniche dell’esecutore più che gli aspetti musicali (che ci sono, e come!) dei brani. Nel secondo tempo un’esecuzione corretta della fantasia di Skrjabin mentre il brano di Čajkovskij (Dumka) è risultato purtroppo uno studiolo tecnico privo di significato tralasciando di valorizzare le componenti musicali così caratteristiche del compositore russo. Il concerto è terminato con il secondo scherzo di Chopin (lo stesso autore nella prima e seconda parte per strizzare l’occhio al pubblico…) piagato – purtroppo – da due fallacci tecnici coperti con mestiere dal pianista: un’esecuzione certamente non memorabile. Come bis uno studio trascendentale di Liszt (eseguito con qualche incertezza) e un orrendo brano melodico-jazzistico del pianista che naturalmente ha solleticato i gusti più retrivi di un pubblico certamente non sofisticato che applaude acriticamente (con le solite risibili mani alzate)  i brani che conosce (vedi lo scherzo chopiniano). Il pianismo di di Bin conosce dei buoni momenti lirici (in particolare nei momenti musicali di Rachmaninov e nell’inizio del trio – per così dire – dello scherzo di Chopin) ma spesso si rifugia in effettacci che nulla aggiungono (anzi tolgono) a quanto eseguito. Un concerto “very average “.
PS Ma quando questi self appointed musicologi capiranno che tutte le tonalità minori (e rispettivamente tutte quelle maggiori), per strumenti con accordatura temperata (tutti oggi!), sono uguali nel senso che gli intervalli che determinano l’armonia e lo svolgimento di un brano musicale sono i medesimi nelle varie tonalità?  Povero Werkmeister con i suoi semitoni a distanza fissa di  radice dodicesima di 2 !!!

Happy

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Miriam Prandi – Talenti Bologna Festival 30 Marzo 2016

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Ci vuole un bel coraggio e una grande fiducia in sé stessi per condurre un concerto per violoncello solo all’età di 25 anni e con un programma certamente non facile per il pubblico. Ma la giovane artista ha portato a termine il compito con successo coronandolo con un bis di autore a me ignoto ma bellissimo che prevede che la voce della strumentista accompagni il suono del violoncello. Un programma – dicevo – non facile con una prima parte “moderna” e una seconda più tradizionale. La sonata di Ligeti – raramente eseguita – è un capolavoro sotto ogni aspetto e altrettanto si può dire della sonata di Hindemith. Sono due brani della (purtroppo) piuttosto rarefatta letteratura violoncellistica che meriterebbero di certo una più frequente esecuzione e che la Prandi (che vanta già un curriculum di primo ordine) ha saputo rendere alla perfezione sia dal punto di vista tecnico che da quello musicale. Forse meno brillante è stata l’esecuzione della terza suite bachiana dove un eccesso di velocità (segnatamente nel preludio, nella seconda bourrée e soprattutto nella giga finale) ha parzialmente oscurato l’aspetto più strettamente musicale a favore di un’interpretazione un po’ troppo virtuosistica. Un tipico peccato di gioventù che però può essere perdonato a una giovane artista per la quale il giudizio complessivo non può che essere più che positivo.
HappyHappy
Programma
György Ligeti  Sonata per violoncello solo
Paul Hindemith Sonata per violoncello op.25 n.3
Johann Sebastian Bach Suite n.3 in do maggiore BWV 1009
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Zagnoni Cameristi teatro Manzoni – 21 Marzo 2016

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Datemi un paio di  brandeburghesi e vi solleverò l’entusiasmo del pubblico…. Se poi si aggiunge la suite bachiana n. 2 allora per il pubblico di bocca buona il successo può diventare strepitoso. Sia chiaro l’esecuzione di Zagnoni (una vecchia gloria bolognese) e del complesso di musica da camera è stato più che dignitoso, puntando soprattutto (almeno nel secondo brandeburghese eseguito) sulla dinamica più che sull’interpretazione. Purtroppo il terreno è scivoloso ma soprattutto sovraffollato da migliaia di altre compagini che impongono confronti anche impietosi. Quale sia la cifra interpretativa giusta dei brani eseguiti è oggetto di un dibattito che non ha la possibilità di essere risolto. Strumenti filologici o moderni, quale organico, interpretazione barocca o moderna etc… Quindi è necessario in casi come questo evitare di porsi troppi problemi e accettare senza eccessivi sofismi quanto ammannito. Un concerto tutto sommato gradevole, che non pretendeva troppo, che certamente strizzava l’occhio a un pubblico soddisfatto a priori dal nome “brandeburghese” e ben felice di applaudire una compagine che giocava in casa. Tre bis indovina di chi? J.S.Bach…  Bene così….

Happy

PROGRAMMA
Johann Sebastian Bach
Concerto Brandeburghese n°5 in Re maggiore BWV 1050
           Concerto Brandeburghese n° 3 in Sol maggiore BWV 1048
          Suite per Orchestra n° 2 in Si minore BWV 1067
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Mancini Puccia – Goethe Zentrum Bologna 13 Marzo 2016

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Eravamo andati a sentire un concerto di violoncello e pianoforte: abbiamo assistito a un concerto di pianoforte con flebile, quasi impercettibile accompagnamento di violoncello. Tenere aperto il coperchio del piano a coda in un concerto con violoncello con l’acustica del Goethe è criminale e denuncia una totale incapacità della pianista a valutare le sonorità in gioco. Soprattutto se la tentazione è quella di suonare sempre con un volume medio-alto eccessivo, con un risultato facilmente prevedibile.  Si comincia male: l’incipit della sonata di Brahms è troppo veloce togliendo quell’aura di mistero che lo caratterizza e gli accordi di accompagnamento del piano sono fin dal principio di sonorità eccessiva. Proseguendo nell’esecuzione il piano incrementa costantemente il suo volume financo quando si tratta di puro e ripetitivo accompagnamento (persino nel caso delle ottave spezzate della nota di si nella fuga dell’ultimo tempo, ad esempio) sommergendo e annullando il suono del violoncello. Tecnicamente poi l’esecuzione delle due strumentiste non è certo impeccabile: difetti di intonazione del violoncello ed errori patenti del piano (clamoroso quello della mano sinistra nella riesposizione del tema nel tempo finale della sonata). Nella seconda parte (che ammicca al pubblico con l’esecuzione di due brani di stampo argentino di più facile ascolto) … la musica non cambia, soprattutto nel brano di Piazzolla dove il piano straripa permettendo di ascoltare il suono del violoncello solo quando (finalmente e saltuariamente!) tace. L’unico brano risultato sufficiente è stata la bellissima melodia di Bloch. Come bis una trascrizione di “Träume” dai Wesendonck Lieder di R. Wagner purtroppo inficiata dai problemi suesposti. Per una volta la sala del Goethe ha tutti i posti occupati ma da un pubblico totalmente ignaro del galateo che è richiesto in una sala da concerto. Persone che si alzano e si muovono in sala durante l’esecuzione, persone che entrano in ritardo a piacere (e questo è inaccettabile: chi arriva in ritardo aspetta fuori fino al termine del brano in esecuzione e la volta successiva impara ad arrivare in orario, come educazione richiede: una sala da concerto non è un bar!) e addirittura un bambino che saltella disturbando il pubblico senza adeguato intervento del genitore. Mancava solo un cane che abbaiasse ma in compenso ci ha pensato una signora di stazza enorme seduta sul retro della sala che seduta su una poltrona cigolante si è dimenata per tutto il concerto aggiungendo allo straripante pianoforte uno sgradito accompagnamento non previsto dai compositori.

SadSadSad

Programma
J. Brahms (1833.1897) Sonata in mi minore op. 38
J. Bragato (1915) Graciela y Buenos Aires
E. Bloch (1880-1959) From Jewish Life n.1 “Prayer” (1924)
A. Piazzolla (1921-1992) Le grand tango
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Ceccanti Fossi – Musica Insieme Ateneo 10 Marzo 2016

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Un programma molto interessante con le due sonate brahmsiane per violoncello e pianoforte così distanti nel tempo e nello stile. La sonata op. 35 è opera giovanile ma già già caratterizzata da tutti gli stilemi del compositore amburghese con una fuga finale travolgente mentre l’op. 99 è sonata contigua all’ultima sinfonia (la quarta) e sulla soglia dell’ultimo Brahms del quale si coglie l’impostazione soprattutto dell’ultimo tempo. Due capolavori assoluti della letteratura violoncellistica, il secondo dei quali pone problematiche tecniche non indifferenti agli esecutori e segnatamente al violoncellista. L’esecuzione del duo Ceccanti Fossi è stata di buona ma non eccelsa qualità con alcuni scompensi di sonorità fra piano e violoncello (soprattutto nell’ultimo tempo dell’op. 35), alcune incertezze di intonazione dello strumento ad arco e alcune imprecisioni del pianoforte. Di difficile valutazione il breve brano di Peter Maxwell-Davies: se non per i suoi aspetti folkloristici.

Happy

Programma:
Johannes Brahms:  Sonata in mi minore op. 38, Sonata in fa maggiore op. 99
Peter Maxwell-Davies: Dances from The Two Fiddlers (trascrizione per violoncello e pianoforte di Vittorio Ceccanti)
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Murray Perahia – Quartetto Milano 8 Marzo 2016

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Murray Perahia è un ospite praticamente fisso del Quartetto (fin dal 1968) e ha ormai raggiungo la venerabile età di 68 anni. Questo non ha tolto nulla all’entusiasmo con il quale il pianista statunitense affronta le partiture che esegue, con tutti i pregi e i difetti che questo approccio comporta. Nella prima parte del concerto abbiamo molto apprezzato la misura con la quale sono stati eseguiti i brani di Mozart e soprattutto le composizioni brahmsiane, incise nel passato con un eccesso di velocità che l’ultimo Brahms certamente non richiede. Un Brahms intimista e riflessivo come il testo musicale richiede. Un plauso quindi alla misura ritrovata che poteva essere ascritta all’incidenza del trascorrere del tempo e quindi a una sorta di maturazione interpretativa. Purtroppo il demone che da sempre affligge il pianismo di Perahia è riaffiorato in modo perentorio e per molti aspetti devastante nell’esecuzione della monumentale sonata beethoveniana op. 106. Qui i tempi staccati nel primo e secondo tempo ma soprattutto nell’ultimo, nella fuga finale, sono risultati semplicemente non sostenibili, con il risultato da un lato di una molteplicità di errori tecnici solo in parte coperti dal grande mestiere del pianista e dall’altro in un completo stravolgimento del pensiero musicale del compositore di Bonn. E’ noto che i tempi metronimici indicati da Beethoven (si veda in materia le interessanti considerazioni contenute nel libretto di sala) non sono compatibili con un’esecuzione musicalmente di qualità portando – se rispettati per quanto possibile – a un magma musicale informe e privo di significato. Perahia sembra avere ingerito e digerito un metronomo e anche il Perahia degli anni migliori (e 68 anni pesano!) non avrebbe potuto reggere il ritmo impresso. E purtroppo il rendersi conto del tempo che passa è il sintomo della grandezza di un artista (si pensi al caso di Radu Lupu o di Brendel) mentre il Perahia attuale ricorda l’ultimo Arrau che alla stessa età pretendeva di suonare Après une lecture de Dante di Liszt con risultati a dir poco disastrosi. Certamente un risultato che non corona degnamente una carriera così significativa e in qualche modo lo stesso artista deve essersene accorto non avendo concesso alcun bis al termine del concerto. Una esecuzione semplicemente da dimenticare.

SadHappySad

PS Prima del concerto un relatore prende possesso del palco. Un timore mi agghiaccia le membra: il virus di Musica Insieme di Bologna ha colpito anche il Quartetto? No: le poche parole sono state spese non per un commento musicologico (affidato sapientemente e intelligentemente al programma di sala che viene letto contrariamente a quanto da alcuni affermato) ma per una presentazione dell’artista e della sua carriera al Quartetto. Breve, interessante e piacevole.
Programma
W.A. Mozart ‐ Rondò in la minore K 511
W.A. Mozart ‐ Sonata in la minore K 310
J. Brahms ‐ Ballata in sol minore op. 118 n. 3
J. Brahms ‐ Intermezzo in do maggiore op. 119 n. 3
J. Brahms ‐ Intermezzo in mi minore op. 119 n. 2
J. Brahms ‐ Intermezzo in la maggiore op. 118 n. 2
J. Brahms ‐ Capriccio in re minore op. 116 n. 1
L. van Beethoven ‐ Sonata n. 29 in si bemolle maggiore op. 106 “Hammerklavier”
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Gabetta Chamayou – Musica Insieme Bologna 7 Marzo 2016

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Sol Gabetta (in questo caso coadiuvata da un superlativo Chamayou) è ormai entrata del Gotha del violoncellismo mondiale e per molti aspetti a ragione. Ottimo suono, tecnica eccellente, vasto repertorio e certamente grande miglioramento (leggasi maturazione) rispetto alla prima esibizione nella nostra regione risalente a 5 anni fa Imola. Il suo approccio alla musica potrebbe essere assimilato a quello di una cantante lirica e in quesa ottica ha dato il meglio di sé nei primi due brani del concerto e in particolare – come prevedibile – nella bellissima e celebre sonata di Mendelssohn. Ma il suo lirismo è anche il suo limite: non ha nelle sue corde (o ha in misura decisamenente minore) il côté drammatico e ciò è risultato evidente nell’esecuzione della sonata op.65 di Chopin (che il compositore di Żelazowa Wola non ha eseguito integralmente – come ultimo suo concerto –  limitandosi a causa della malattia al primo movimento, fatto non  chiarito dal solito impreciso relatore iniziale) dove la sua interpretazione – seppure tecnicamente perfetta – è apparsa un po’ troppo “leggera” (mi si perdoni il termine musicalmente impreciso ma che riassume appieno il mio pensiero) soprattutto a fronte dell’ottima, musicalmente ineccepibile esecuzione pianistica. Per apprezzare il limite dell’esecuzione della Gabetta si potrebbe suggerire di ascoltare l’esecuzione ormai classica del duo Maisky-Argerich. Perché poi gli esecutori si siano presi la libertà di cassare arbitrariamente il ritornello previsto nel primo tempo è di difficile comprensione. Il concerto è terminato con l’ineffabile Grand duo de concert su temi di Robert le Diable di Meyerbeer del compositore polacco (una composizione d’occasione da lasciare  nel dimenticatoio della storia musicale senza rimpianti) che potrebbe essere definito come un brano pianistico con accompagnamento (poco) di violoncello, tanto impervio tecnicamente per il pianoforte quanto musicalmente povero per entrambi gli strumentisti, che ha messo ancora in luce le qualità di Chamayou. Come bis il secondo tempo della sonata di Rachmaninov per violoncello e pianoforte (una scelta assai discutibile). Buon successo di pubblico (ma non travolgente come nel caso del macellaio Matsuev, cosa che ancora una volta dimostra  la sostanziale e trista  incompetenza del pubblico di MI).
HappySadHappy

Programma:
Ludwig van Beethoven :Sette Variazioni in mi bemolle maggiore sopra il tema «Bei Männern, welche Liebe fühlen» WoO 46
Felix Mendelssohn: Sonata in re maggiore op. 58
Fryderyk Chopin :Sonata in sol minore op. 65,   Grand duo de concert su temi di Robert le Diable di Meyerbeer in mi-la maggiore (in collaborazione con Auguste Franchomme)
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Vignudelli Buselmeier Manicardi – Goethe Zentrum 6 Marzo 2016

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Un concerto di qualità con due soprani dalle caratteristiche differenti (più lirico Alexandra Buselmeier e più drammatico Barbara Vignudelli) ottimamente accompagnate dalla pianista Giulia Manicardi. Un programma  di qualità comprendente due compositori fra loro quasi contemporanei, Johannes Brahms e Max Reger (di cui ricorrre quest’anno il centenario della morte) che ha incluso anche brani assai poco praticati nel campo dei Lieder: i duetti. Le due voci si sono alternate in funzione della tipologia dei brani eseguiti e si sono fuse nei duetti nei quali hanno sempre trovato il giusto equilibrio. Anche l’accompagnamento pianistico ha trovato la cifra giusta sia per l’impiego (finalmente!) di un pianoforte di qualità, sia per la scelta di tenere chiuso il coperchio, accorgimento quanto mai necessario data l’acustica non certo perfetta della sala. Un solo appunto alle due cantanti: è ormai prassi consolidata (e assai apprezzabile) quella di accompagnare il canto con una gestualità che completi l’esecuzione. Una esecuzione statuaria toglie non poco all’esecuzione e le due interpreti dovrebbero – a giudizio di chi scrive – prendere esempio da alcuni interpreti che hanno grande successo presso il pubblico come Angelika Kirchschlager, Michael Schade etc. senza nulla togliere alle loro qualità vocali. Un solo rimpianto: lo scarsissimo pubblico. Ma questo è un problema ormai molte volte affrontato…

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Cameristica, Recensioni

Catherine Vickers – Bologna Concerti della Soffitta 1 Marzo 2016

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Praticamente scomparsa – o forse mai comparsa! – dalla scena italiana (almeno a mia conoscenza) dopo avere vinto il Busoni nel 1979 e nel 1981 il terzo premio al concorso di Sydney, Catherine Vickers si presenta come grande esperta di musica contemporanea e propone un brano di Huber (del gruppo di Darmstadt) a lei dedicato che dovrebbe esplorare il suono del pianoforte dopo il rilascio del martelletto. Brano di difficile interpretazione che alterna fortissimi (forse per analizzare gli effetti successivi alla percussione) con pianissimi rarefatti e lunghi silenzi e che probabilmente richiederebbe al sottoscritto, per una valutazione razionale, una competenza che dichiara candidamente di non avere. Il concerto si apre con i bellissimi Drei Klavierstücke D 946 di Franz Schubert, uno degli ultimi brani del compositore viennese. Una composizione che richiederebbe quella sensibilità sfumata ma non evanescente che induce molti pianisti (ad esempio Paul Badura Skoda e Andras Schiff) a scegliere per l’esecuzione pianoforti dal suono più morbido come il Bösendorfer rispetto alla brillantezza di uno Steinway. Il pianismo della Vickers è invece tendenzialmente roccioso e se ne ha subito una diretta impressione all’apertura del primo brano, nella quale un eccesso di sonorità stona decisamente con il carattere della composizione. Il concerto si chiude con una tarda composizione pianistica di un Debussy già provato dalla malattia e dal clima della prima guerra mondiale: i due quaderni di 12 studi per il pianoforte, un omaggio agli studi di Chopin ma ben lontani musicalmente dal compositore polacco. Qui la poetica di Debussy si fa più rarefatta, più asciutta e sfiora spesso un’impostazione didascalica che fa rimpiangere i grandi affreschi impressionistici del compositore francese. Si percepisce una sorta di aridità compositiva e un esaurimento dell’inventiva mascherati naturalmente sotto una grande capacità di utilizzo dello strumento ma con risultati inferiori a quelli della grande maturità. Per questo motivo è richiesto all’esecutore uno sforzo ulteriore sia tecnico che interpretativo per fare emergere la musicalità che è in questo caso di natura carsica. Non è il caso della Vickers che ancora una volta affronta in modo scolastico, ruvido e – purtroppo – con significative carenze tecniche (particolarmente evidenti nel quinto studio del primo libro dedicato alle ottave) l’impervia partitura. Un’esecuzione di certo non memorabile.

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PS Dimenticavo di segnalare che il brano di Huber massacra di fatto il pianoforte la cui accordatura avrebbe subito dopo l’esecuzione  la necessità di essere rivista. Ne ha fatto ulteriormente le spese Debussy.
Programma
Franz Schubert (1797-1828)
Drei Klavierstücke D 946 (1828)
n. 1 Allegro assai – n. 2 Allegretto – n. 3 Allegro
Nicolaus A. Huber (*1939)
Disappearances (1995)

Claude Debussy (1862-1918)
Douze Études pour le piano (1915)
Livre I: Pour les «cinq doigts» d’après M. Czerny – Pour les tierces
Pour les quartes – Pour les sixtes – Pour les octaves – Pour les huit doigts
Livre II: Pour les degrés chromatiques – Pour les agréments – Pour les notes répétées  – Pour les sonorités opposées – Pour les arpèges composés – Pour les accords
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Denis Matsuev – Musica Insieme 22 Febbraio 2016

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Più Russia di così: russo il pianista, russi i compositori… Appena il ragazzone di Irkutsk mette le mani sul pianoforte si capisce subito che non ci si trova davanti a un esecutore dotato di “esprit de finesse”: si è in presenza di un thrilling di cui si sa fin dall’inizio chi è l’assassino (il piano è la vittima). Il nostro non esegue ma aggredisce il pianoforte come fosse un nemico da abbattere. Appartiene alla stessa categoria di Kathia Buniatishvili con l’aggravante della mascolinità che ne aumenta la potenza fisica: si potrebbe affermare che si tratta di un energumeno che ricorda – musicalmente – Donald Trump. Fin dal brano di Čajkovskij fa subito capire che il suo pianismo è puramente quantitativo e non qualitativo. La cosa si concretizza ulteriormente nei “Quadri di una esposizione” di Musorgskij: con una battutaccia si potrebbe affermare  che purtroppo sotto le sue mani si trasformano in… “Croste di una esposizione”. Matsuev concepisce solo sonorità che vanno dal mf allo sff e aborre i piani come fossero un virus contro il quale è stato vaccinato senza ricadute. Basta ascoltare la seconda esposizione della promenade per capire che l’intero impianto sarà privo di qualunque sfumatura. Il mercato di Limoges, ad esempio, è trasformato nella peggiore Vucciria palermitana. E’ tutto forte, e per una volta si può affermare che è tutto, semplicemente tutto, pestato (un termine che non uso quasi mai, ma quando ce vo’ ce vo’). Ha un bel da fare l’accordatore durante l’intervallo a rabberciare il piano che ha gravemente sofferto sotto i colpi impietosi del pianista russo. La seconda parte è tutta dedicata a Rachmaninov: il pianismo non cambia anche se qualche sprazzo lirico si intravede, ma sempre frettolosamente abbandonato per le sezioni più congeniali all’esecutore (in inglese si potrebbe usare il termine executioner…). Matsuev sarebbe anche dotato di una buona tecnica ma la ricerca spasmodica dell’effettaccio e della velocità ad ogni costo ricorda la micina frettolosa che fa i gattini ciechi. Ne è un esempio il pasticciaccio combinato nell’ultimo brano dei “quadri” di Musorgskij: “La grande porta di Kiev”. Lo confesso: non ho avuto la pazienza di ascoltare i bis: ne avevo semplicemente abbastanza. Nella sua biografia si legge che terrebbe 160 concerti all’anno (ma nei mesi di Febbraio, Marzo e Aprile del 2016 – dal suo sito – i concerti menzionati sono solo 6…..) : potrebbe anche essere perché questo proverebbe che certamente non ha il tempo per studiare e approfondire, e ne avrebbe tanto, ma tanto bisogno…. Come abbia vinto il Čajkovskij nel 1998 è per me un mistero ma il pianismo è come il vino: alcuni vini migliorano con l’invecchiamento e altri no. Matsuev ricade nella seconda categoria. Naturalmente il pubblico bolognese ha applaudito, ma questo non vuol dire assolutamente nulla (o forse molto, purtroppo…)

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Programma
Pëtr Il’ič Čajkovskij  Dumka op. 59
Modest Musorgskij  Quadri di un’esposizione
Sergej Rachmaninov  Étude-tableaux op. 39 n. 2 – n. 6, Preludio in sol minore op. 23. n. 5 , Preludio in sol diesis minore op. 32 n. 12,  Sonata in si bemolle minore op. 36 (seconda versione)
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Pires Grigoryan – Quartetto Milano 16 Febbraio 2016

Non profit bannerNon profit bannerSclerosiEvviva: ora abbiamo anche il concert-sharing, dove due interpreti suonano brani in comune e separatamente! Quale sia la ratio non è dato sapere e certamente lo spezzettamento non giova alla qualità del concerto, soprattutto se i valori in campo sono molto diversi. Inoltre le due interpreti siedono alternativamente a un tavolino per assistere alle reciproche esecuzioni solistiche, quasi a mo’ di giuria individuale. Una scelta veramente difficile da interpretare e giustificare che – credo – costituisca un “unicum” che peraltro si può solo sperare non si ripeta. Il programma eseguito comprendeva di Schubert l’Allegro D947 e la Fantasia D940 (entrambi a 4 mani) e le due sonate op. 101 e 111 eseguite rispettivamente dalla Grigoryan e dalla Pires. Mentre il primo brano a 4 mani (con la Grigoryan nella parte principale) è brano di poco spessore, molto più significativa è la Fantasia(con la Pires nella parte principale). Qui l’esecuzione è stata eccellente, mettendo in risalto (senza gli eccessi ritmici che purtroppo molto spesso si ascoltano) tutte le sfumature schubertiane fino alla grandiosa fuga finale nella quale il grande impianto musicale ha trovato tutto il suo valore. Una esecuzione giustamente applaudita dal pubblico. Discorso differente per le due sonate Beethoveniane. L’esecuzione dell’op, 101 da parte della Grigoryan è risultata scolastica e piatta, a cominciare dai tempi staccati troppo veloci. Questo ha gravemente inficiato – ad esempio – la grandiosa frase musicale che apre il primo tempo (ripresa poi nel corso della sonata) indicato da Beethoven come Etwas lebhaft, und mit der innigsten Empfindung (poco veloce e con il più intimo sentimento) anche il secondo tempo Lebhaft. Marschmäßig (vivace alla marcia). Discorso analogo per la fuga finale eseguita come uno studio a tempo metronimico. La Grigoryan è dotata di una buona tecnica ma quanto a musicalità ha molto da imparare in tutti i sensi, anche se si considera che è giovane ma non giovanissima e che vi sono fior di interpreti più giovani ma estremamente più maturi. Si può solo sperare che la Pires le metta “il sale sulla coda”. Eccellente invece l’esecuzione della sonata op. 111 di Beethoven da parte della Pires che specialmente nella Arietta e nelle relative variazioni ha trovato l’esatto equilibrio ritmico e interpretativo. Una esecuzione matura ed estremamente equilibrata che posta a confronto con quella della Grigoryan ha ulteriormente sottolineato i limiti di quest’ultima. Curiosa ma anche magistrale l’esecuzione dell’ultimo trillo che per una esecuzione letterale richiede una estensione della mano che la Pires non possiede e che nondimeno l’artista portoghese è riuscita a non fare notare. Un solo, minimo, bis composto di due parti suonate alternativamente e – ohimè – a me sconosciuto. Buon successo di pubblico.

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Annalisa Londero – Circolo della musica Bologna 13 Febbraio 2016

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Il concerto inizia alle 21.15 in orario, ma troppo tardi ormai anche per gli standard italiani (dove ormai è consolidato l’orario fra le 20 e – raramente – le 21). La pianista presenta un programma tutto romantico: sonata D894 di Schubert, IV ballata di Chopin e Davidsbündlertänze di Schumann. Purtroppo si comincia male: l’esecutrice tenta di introdurre i brani ma parlare in pubblico (un’arte e anche un mestiere, sia ben chiaro) soprattutto dovendo essere concisi è difficile e ci si chiede a cosa possa servire indicare che il pezzo eseguito è bello, che si compone di n parti, che è stato composto nell’anno… Se proprio si vuole introdurre sarebbe necessario non elencare quello che gli ascoltatori possono capire da soli ma indicare il contesto artistico del tempo, il raffronto con compositori coevi, il trend culturale allora in atto etc. Un esempio delle informazioni confusamente raccolte: secondo la pianista Clara Wieck non apprezzò le Davidsbündlertänze perché troppo simili al Carnival: peccato che le Davidsbündlertänze siano op. 6 e il Carnival op. 9. Che fosse una preveggente? Vorrei segnalare che questo blog ha condotto un sondaggio presso il pubblico con 200 voti espressi riguardo al gradimento delle introduzioni che ha visto quasi l’80% essere contrario.  Ma veniamo al concerto. La pianista ha una buona tecnica (non immacolata come dimostrato ad esempio dalla scala cromatica finale di seste dello studio chopiniano op. 25 eseguito come bis) e certamente non manca di esperienza. Certamente di buona esecuzione i primi tre tempi della sonata schubertiana, nei quali l’esecutrice è stata in grado di controllare la sonorità di una gran coda in un ambiente di certo non strutturato all’uopo, mentre certamente meno apprezzabile è stata la resa dell’ultimo, infido tempo, con quel secondo tema apparentemente così corrivo che richiede grande sensibilità musicale per non renderlo banale, così come molto più significanti andrebbero resi quelle triplette di terze che l’accompagnano. Quanto alla IV ballata non sono mancati momenti di vera liricità ma perché rallentare la non facile riesposizione del tema iniziale con il controcanto salvo poi accelerare esageratamente quando la partitura si semplifica? E nel finale infuocato una riduzione dell’uso del pedale avrebbe permesso un migliore ascolto della partitura.  Non è invece stata all’altezza l’esecuzione delle Davidsbündlertänze, Qui tutti i brani di Florestano sono stati eseguiti con acribia da studio tecnico, con un volume sempre eccessivo perdendo per strada quel tormento interiore che la partitura schumanniana esprime. Il sapere dosare la sonorità della propria esecuzione in funzione dell’ambiente in cui si suona è parte integrante della sensibilità musicale di un’artista e in questo caso è semplicemente mancata.

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Cheng Guang- S.Cristina 10 Febbraio 2016

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Una rondine non fa primavera…. ma il concerto è iniziato senza la solita ridicola introduzione ed esattamente in orario. Mi piacerebbe molto sperare che questo sia anche frutto del sondaggio effettuato da questo blog fra gli ascoltatori che hanno a larghissima maggioranza espresso il loro non gradimento della introduzione ma aspettiamo i prossimi concerti. Tutto non è ancora perfetto: infatti i soliti ritardatari che contavano su un inizio ritardato hanno continuato ad entrare nonostante nel programma fosse indicato che l’accesso in sala era impedito a concerto iniziato. Ma chi ben comincia… Veniamo al concerto: un nuovo giovane cinese della fucina imolese certamente dotato di talento. L’esecuzione della VI partita bachiana è stata certamente di qualità, specialmente considerando che sono state evitati i tipici eccessi ritmici nella fuga della toccata iniziale e soprattutto grazie a una interpretazione della allemanda con tempi rilassati che hanno permesso una larga espressività. Non tutta l’esecuzione è stata inappuntabile (alcune concessioni stilistiche romanticheggianti e un uso generoso del pedale sono discutibili) ma il risultato complessivo è da valutarsi positivamente.  Forse un po’ meno brillante è risultata l’esecuzione della sonata chopiniana, un po’ per alcuni errori tecnici evitabili riducendo la foga, un po’ per una esecuzione non perfetta del difficilissimo ultimo tempo. Non è comunque mancata l’espressività e il giovane esecutore ha ampi margini di miglioramento. Un solo bis: il famoso momento musicale di Rachmaninoff.
Happy
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Katia e Marielle Labeque – Musica Insieme 8 Febbraio 2016

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Da quasi 40 anni la premiata “ditta” Katia e Marielle Labeque è al vertice mondiale nel campo del duo pianistico. Eredi di grandi interpreti del passato (ricordiamo qui il grande duo Aloys e Alfons Kontarsky – per citarne uno) si sono sempre caratterizzate per interpretazioni di grande qualità sconfinando – quanto al repertorio – anche in ambiti non strettamente classici, quali il jazz e financo il rock, mantenendo sempre, però, un approccio stilisticamente inappuntabile. Trascinate dalla verve di Katia (certamente l’elemento tecnicamente e musicalmente più dotato e incisivo) hanno dato luogo a un concerto godibilissimo incentrato nella prima parte su una trascrizione da loro elaborata per due pianoforti de “Le sacre du printemps”  di Stravinskj e nella seconda su un florilegio di brevi brani di minore spessore inclusivi di Schumann, Strauss, Brahms e Dvorak. Una seconda parte che certamente ha strizzato l’occhio alla sensibilità più corriva del pubblico che peraltro ha dimostrato di apprezzare molto anche il non facile brano di Stravinskj.  Una parte del successo delle due sorelle, al di là della loro indubitabile bravura, è anche l’entusiasmo profuso nelle esecuzioni, l’atteggiamento antidivistico che si è concretizzato anche in un colloquio “familiare” con il pubblico (cosa che ha risparmiato la deprecata introduzione), in un atteggiamento quasi adolescenziale nel ringraziare il pubblico (v. le mani dietro di Katia – come è uso anche di Canino) e in un abbigliamento da brave sorelline che si tengono per mano. Ma sia chiaro: “tout se tient” e i due bis concessi (le pirotecniche variazioni di Lutoslavsky sul classico tema di Paganini, che tanto ricordano proprio il capriccio violinistico e un brano minimalista di Philip Glass) hanno coronato un’ottima esecuzione.

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Ran Feng – Musica Insieme Ateneo 28 Gennaio 2016

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Dotata di grande musicalità e di senso dello stile, i difetti della pianista cinese sono di fatto … i suoi pregi. Non ci troviamo – finalmente! – davanti alla solita macchina da guerra tutta muscoli e niente cervello bensì siamo in presenza di una pianista che antepone l’aspetto interpretativo a quello funambolico (rischio drammatico che si corre eseguendo Liszt) anche a motivo del fatto che pur dotata di buona tecnica è obbligata comunque a non esagerare nell’aspetto più spettacolare, permettendosi quindi di concentrare la propria attenzione sul significato della musica che sta eseguendo.  Ne è la prova l’esecuzione di una sonata mozartiana moderata nei toni e nei tempi, con pochissimo pedale in perfetto stile del compositore austriaco e una interpretazione della complessa sonata di Liszt nella quale vengono messi in risalto più gli aspetti musicali che i passaggi di bravura (che ci sono e che sono risolti senza esagerare con un perfetto controllo della tastiera). Insomma non siamo di fronte al solito sfoggio di ottave a velocità supersonica bensì a una esecuzione matura e ragionata. Forse un po’ meno valida è stata l’esecuzione dello studio di esecuzione trascendentale “Harmonies du soir” del compositore ungherese dove le imperfezioni tecniche sono risaltate un po’ troppo. Comunque una giovane molto promettente che vorremmo potere risentire in un programma che comprendesse un panorama più vasto di compositori. Un solo bis. E la solita introduzione…

HappyHappy

PS La sala è stata infestata da imbecilli con il telefonino acceso. Ma se uno è interessato al telefonino perché viene in sala a disturbare il prossimo? Quando viene chiesto di spegnere il telefonino bisognerebbe precisare che questo indica che deve essere SPENTO, display incluso! Alla Philharmonie di Berlino e alla South Bank di Londra lo spettatore è invitato a uscire. Meditare, cari provincialotti bolognesi….
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Belcea, Lederlin, Lifits – Musica Insieme 25 Gennaio 2016

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Veramente un bel concerto! Pur essendo io contrario ai concerti “a geometria variabile”, ovvero con formazioni che cambiano nel corso della esibizione, debbo riconoscere ai tre artisti una capacità di affiatamento che raramente capita di incontrare. A partire dalla statuaria violinista Corina Belcea, che dà il nome al trio, dotata di bellissimo suono e di tecnica raffinata. Ma lo stesso non può che dirsi del violoncellista Antoine Lederlin e soprattutto del pianista Michail Lifits. Un programma variegato che, a ritroso nel tempo, ha presentato nell’ordine Kodaly (duo per violino e violoncello – di fatto una sonata in tre tempi), la giovanile sonata di Strauss per violino e pianoforte per terminare con il monumentale trio op. 97 di Beethoven, l”Arciduca”, certamente il clou della serata. Interessante Kodaly e altrettanto dicasi di uno Strauss giovanile, ancora non fatalmente wagneriano, fortemente influenzato dalla poetica brahmsiana. Quanto al trio beethoveniano ci troviamo in presenza di una composizione al limite del secondo periodo del compositore tedesco (da un punto di vista pianistico la cosiddetta “terza fase” inizia con l’op. 101) in cui la forma ancora largamente classica nella struttura interna dei tempi si scontra con una inversione del tempo cantabile con lo scherzo (cosa che ritroveremo nell’op.106 e nell’op. 110) e con un allargamento dello sviluppo con forti licenze – nel primo tempo –  rispetto alla classica impostazione della forma sonata. Un plauso incondizionato alla formazione che ha saputo rendere perfettamente gli stili delle tre composizioni concedendo un unico bis al termine di un concerto veramente impegnativo. Unica pecca la introduzione “musicologica” nella quale M.Beghelli ha confermato di essere il peggior relatore di MI, prolisso, aneddotico e con tanto di foglietto degli appunti come uno scolaretto impreparato per una conversazione da 12 minuti!
PS Questo post è dedicato a R.C. e G.E. secondo cui redigo solo recensioni negative…

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Mikhail Pletnev – Società del Quartetto Milano 12 Gennaio 2016

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Il poliedrico pianista russo (che negli ultimi anni aveva un po’ abbandonato la tastiera per la bacchetta e anche per la composizione) ha eseguito un programma un po’ fuori dall’ordinario come contenuti, come ordine cronologico e come durata (quasi 100 minuti di musica con un lungo intervallo): un preludio e fuga di Bach trascritto da Liszt, due brani di Grieg (la sonata op. 7 e la ballata op.24) e a conclusione tre sonate di Mozart (K 311, K 457, K 533). Come unico bis il Liebestraum di Liszt. I due brani di Grieg sono stati ripescati dal dimenticatoio della storia musicale ma meritano di ritornarci al più presto. La sonata è opera giovanile del compositore norvegese e oltre ad essere sconclusionata nella forma ha un approccio tardoromantico assolutamente fuori dal contesto culturale contemporaneo. Forse un po’ più interessante è la ballata ma ci troviamo comunque in una zona che poco ha dire all’ascoltatore. Ovviamente agli antipodi la valutazione per i brani di Bach-Liszt e Mozart. Pletnev è interprete raffinato che nulla concede all’esibizionismo pur rimanendo in un alveo interpretativo di impostazione slava. Il suo Mozart è stilisticamente e tecnicamente perfetto e permette all’ascoltatore di cogliere tutte le sfumature che sono spesso trascurate da altri interpreti ad esempio sottolineando le pause del dettato musicale. Atteggiamento interpretativo diverso rispetto a quello di Schiff ascoltato la sera prima ma ugualmente rigoroso. Qui abbiamo un tocco di maggiore pathos seppure misurato nell’ambito di un perfetto rigore stilistico.  Forse il limite di Pletnev è la pressoché totale assenza di comunicativa verso il pubblico che però non ha mancato di tributargli applausi scroscianti.
http://www.quartettomilano.it/it/02322/324/mikhail-pletnev.html#sthash.mmcYbIwA.dpuf
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PS  Vorrei ringraziare tutti coloro che inseriscono commenti  ai posts utilizzando l’opzione “Lascia un commento”  (o “commenti” se ne sono già stati inseriti) prevista nella sezione sinistra (o prima del testo per schermi ridotti come i tablets) dei posts stessi affinchè tutti possano leggerli.  Il dibattito è sempre interessante per tutti…..grazie (è gradito lasciare nome e cognome)!!
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