Cameristica, Recensioni

Andras Schiff – Serate musicali Milano 11 Gennaio 2016

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Il concerto inizia teoricamente alle 21. Alle 20.30 mi reco al conservatorio per scambiare la mia prenotazione (pagata) con il biglietto (cosa già di per sé ridicola). Trovo due code ciascuna di un centinaio di persone che hanno il mio stesso problema e che procedono a una lentezza biblica a causa di una disorganizzazione epocale. Risultato: il concerto comincia con oltre 30 minuti di ritardo dopo ripetute proteste del pubblico e con gli ultimi spettatori in coda fatti entrare senza controllo. Una vergogna assoluta. E non si capisce per quale motivo la prenotazione pagata recante il numero del posto e il codice a barre identificativo non possa essere il biglietto come avviene in tutti i paesi civili. Niente da fare: medioevo. Che dire di A.Schiff (che a causa del clima instaurato in Ungheria da Orbàn non suona più nel suo paese di origine)? Potrebbe essere il vero erede di A. Brendel ma forse gli manca quel tocco di aristocratica statura (non fisica!) del pianista austriaco naturalizzato inglese. Intelligente non solo nell’esecuzione ma anche nella scelta accuratissima dei programmi (meditate, meditate giovani leoni che eseguite scervellati programmi pot-pourri solo per puro esibizionismo!) ha una visione apollinea del pianoforte che rifugge da ogni esibizionismo evitando, schivando (se così si può dire) gli ostacoli tecnici che tanti affrontano come una belva da domare. Il programma della serata comprendeva la sonata K. 570 di Mozart, la sonata op. 110 di Beethoven, la sonata Hob XVI.51 di Haydn e la sonata D 959 di Schubert. Si tratta del secondo concerto dedicato dal pianista ungherese alle ultime sonate dei grandi compositori. Per Haydn e Beethoven Schiff ha utilizzato uno Steinway (Fabbrini) mentre per gli altri due compositori il più morbido Bösendorfer. Come è suo costume da lungo tempo non c’è stato alcun intervallo e come bis il pianista ungherese (che passa parecchio tempo in Toscana come un tempo fece Kempff a Positano) ha eseguito un improvviso di Schubert e il primo tempo della sonata “facile” di Mozart. Grandi esecuzioni nelle quali però non sono mancati alcuni aspetti manieristici innecessari. Nel primo tempo della sonata Beethoveniana, i gruppi di 4 biscrome dopo l’introduzione sono stati eseguiti con un accento marcato sulla prima nota di ogni gruppo che certamente non è indicato dal compositore di Bonn e che sono risultati musicalmente molto discutibili. L’adagio della stessa sonata è stato affrontato a un tempo eccessivo che ha tolto parecchio alla profonda mestizia del brano e la ripresa della fuga dopo il tema eseguito per moto contrario è stato affrontato a una lentezza esasperante salvo poi dare luogo a una accelerazione furiosa che francamente poco ha a che vedere con una fuga. Nel bis Mozartiano poi durante l’esecuzione del ritornello del primo tema ha introdotto abbellimenti che hanno lasciato il pubblico di stucco. Un grande successo comunque turbato solo al termine da un pubblico indisciplinato che, vista anche l’ora tarda dovuta alla disorganizzazione del management, ha iniziato a lasciare la sala al termine della sonata Schubertiana.
Al posto del pistolotto introduttivo: http://www.seratemusicali.it/files/Libretto-11.01.2016.pdf  (Gott sei Dank)

HappyHappy

 

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Cameristica, Recensioni

Giuseppe Andaloro – S.Cristina 15 Dicembre 2015

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La “manifestazione” inizia con buoni 7 minuti di ritardo (alla faccia degli spettatori che educatamente sono arrivati in orario!) e per 15 minuti viene ammannito il solito pistolotto inutile, noioso, autoreferenziale, prolisso da parte di un compiaciuto relatore che evidentemente non ha il polso dell’uditorio che manifesta ben evidenti segni di insofferenza. (Forse gli servirebbe un corso universitario a 300 studenti per capire di cosa parlo: se l’uditorio si annoia sono grossi guai e mal ne incoglie a chi non comprende immediatamente la situazione!). Ma qualcuno riesce a immaginarsi una cosa simile al quartetto di Milano, alla salle Pleyel di Parigi, al Musikverein di Vienna, alla Wigmore hall di Londra o alla Philharmonie di Berlino? Solo nella provinciale Bologna i poveri spettatori subiscono regolarmente una sorta di punizione preliminare per colpe che non hanno commesso. Il programma presentato dall’esecutore è un pot-pourri quale non si vedeva da tempo, una sequenza di brani fra loro del tutto scorrelati che forse poteva essere accettabile agli inizi del ‘900 ma che oggi fa rabbrividire, Si passa da Frescobaldi direttamente a Chopin, poi a Brahms per ritornare al ‘600 con Merula e Trabaci per compiere poi un salto nella fine dell’800 con Skrjabin per ritornare (questa poi!) di nuovo a Chopin!!! Con tanti saluti a 50 anni di programmi intelligenti e ben costruiti filologicamente. Il pianismo di Andaloro può essere assimilato a quello di chefs di seconda categoria che con la panna cercano di nascondere la scarsa qualità dei loro piatti. Qui il legante è il pedale ammannito a dosi massicce insieme ai ff che dominano tutte le esecuzioni (a S.Cristina, con quel riverbero pazzesco!) unitamente a una ricerca spasmodica della velocità a tutto scapito della musicalità. E naturalmente ne scapita anche la precisione: ad esempio nel primo scherzo di Chopin su otto ripetizioni della progressione che lo caratterizza ben cinque sono terminate con una nota falsa superiore! A che scopo? E che dire dello scherzo Brahmsiano dove è risultata del tutto assente quella vena di atmosfera magica, ammiccante e allusiva (la stessa della quasi coeva terza ballata) che lo contraddistingue? Naturalmente il “vers la flamme” di Skrjabin (un brano che sta vivendo un revival che andrebbe analizzato) ha subito lo stesso trattamento. Forse il brano riuscito meno peggio è stato la quarta ballata di Chopin nella quale però il drammatico finale ha perso tutto il suo significato musicale sommerso da una gragnuola di suoni eseguiti a tutto gas senza alcun tentativo di interpretazione. Non so nulla dei bis: sono uscito prima della loro esecuzione. Qualcuno si immagina perché?
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Cameristica, Recensioni, Sinfonica

Akademie für alte Musik Berlin – Musica Insieme 14 Dicembre 2015

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Finalmente un’orchestra da camera barocca capace di rigore filologico senza ridicoli atteggiamenti talebani (quali ad esempio – in certi casi – ridicoli travestimenti d’antan). Il complesso è assai noto nei circoli culturali del settore e ha offerto un concerto di alta qualità imperniato su un ventaglio di autori, da Biber a Corelli passando per Telemann Vivaldi, Locatelli e il meno noto (ma ugualmente valido) Pez. Rigore stilistico, affiatamento, calibrazione del suono (addirittura spostando in un caso i flauti nel retropalco per evitare sonorità eccessive e prevalenti) e tecnica esecutiva di altissima qualità sono i suoi indiscutibili meriti. Fra gli strumentisti da citare le bravissime Anna Fusek (flauto) e Xenia Löffler (oboe e flauto dolce) che hanno saputo destreggiarsi magistralmente con gli strumenti barocchi (quelli – per intenderci – privi delle chiavi meccaniche oggi in uso). Un concerto di grande livello, applaudito calorosamente dal pubblico e concluso (come poteva essere diversamente?) con un tempo del IV concerto brandeburghese che ha naturalmente suscitato l’entusiasmo degli spettatori. Interessanti ma discutibili le tesi di Fabrizio Festa nella breve conversazione che ha preceduto il concerto. Illudersi di impostare una sensibilità di fruizione dei brani corrispondente ai tempi in cui furono composti sperando di scrollarsi di dosso la nostra storia per ricostruire la sensibilità e l’ambiente esecutivo del tempo (i brani eseguiti non erano certo previsti per un uditorio di 1.200 persone!) è operazione utopica e anche ingiusta.  Non siamo forse anche oggi, con la nostra sensibilità moderna, in grado di capire e godere della musica del passato (cosa che naturalmente vale anche per i romantici, i post- romantici etc.)? Comunque un bel regalo di Natale da parte di Musica Insieme.
 HappyHappy
PS Qualcuno mi ha accusato di scrivere solo posts negativi (per lo meno nella maggioranza dei casi). Ne ho riletti alcuni dei più recenti e le cose stanno diversamente: non so se sia un merito o un demerito ma questa è la realtà.

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Quartetto Noûs – Bologna Festival 2 Dicembre 2015

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Il concerto finale del giovane quartetto, assai promettente, che ha ricevuto i migliori giudizi nella rassegna dei “talenti” del Bologna Festival. Il concerto prevedeva il quartetto op. 18 n.6 di Beethoven e il quartetto op. 51 di Dvořák. La giovane compagine si caratterizza per un suono limpido e un grande affiatamento oltre che per individualità tecniche di eccellente livello. L’esecuzione del brano beethoveniano ha messo in luce tutte le caratteristiche dell’opera giovanile del compositore di Bonn, risultando particolarmente convincente nella lunga introduzione cantabile del quarto tempo ove è richiesta sensibilità stilistica e un suono lieve e terso. Ma l’intera esecuzione del quartetto è risultata convincente e premiata dal pubblico con un lungo applauso. Forse meno centrata è invece risultata l’esecuzione del brano del compositore ceko dove le accentuate caratteristiche popolari non hanno avuto il risalto necessario. Una esecuzione insomma troppo “classica” mentre la tipologia del brano richiede al contrario una maggiore spontaneità e vivacità. Interessante – e forse giustificata – la inconsueta disposizione degli archi con i due violini alle estremità e il violoncello a fianco del primo violino. Va anche sottolineato che l’acustica assai difficoltosa dell’oratorio di S. Filippo Neri non punisce le formazioni cameristiche come è invece il caso del pianoforte. Interessante l’analisi dei punteggi ricevuti dai vari esecutori nel corso dei concerti dei “talenti”. Con una partecipazione media al voto di molte decine di spettatori (e quindi un campione significativo) la media dei voti è stata sempre superiore all’8 su una scala di 10 mentre a mio giudizio in alcuni casi si è sfiorata l’insufficienza (si vedano i miei posts in materia). Il che conferma la mia opinione che il pubblico premia molto più la musica degli esecutori.

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Steinbacher Festival Strings Lucerne – Musica Insieme Bologna 30 Novembre 2015

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Comincio con un “mea culpa”: confesso infatti di non avere ricordato che la violinista di origine tedesca Arabella Steinbacher aveva già suonato a Bologna alcuni anni fa e non ricordare un’artista di così elevato talento è grave. La Steinbacher ha eseguito sul suo Stradivari due concerti di Mozart in modo semplicemente perfetto: suono limpido, intonazione perfetta, tecnica esecutiva sopraffina e stile mozartiano senza una sbavatura. Una performance memorabile coronata dall’esecuzione virtuosistica – come bis – di una sonata per violino solo di Eugène Ysaÿe che ha strappato l’applauso (questa volta pienamente giustificato) di tutto il pubblico. Bisogna sperare che venga reinvitata quanto prima per un concerto solistico. Come corollario possiamo anche dire che una volta tanto abbiamo visto una solista vestita con grande eleganza, osando addirittura il colore viola che notoriamente è ostracizzato dagli artisti per motivi scaramantici e la cui scelta conferma l’assoluta sicurezza esecutiva della Steinbacher. La performance è stata coadiuvata da un’ottima orchestra da camera che ha eseguito i brani di Grieg e la sinfonia di Mozart con rigore stilistico e piena rispondenza con i periodi di composizione. Da sottolineare la prova dei fiati (e in particolare dei corni) dimostrando che anche con strumenti infidi è possibile evitare incertezze di intonazione. Un concerto veramente di ottima qualità.

HappyHappyHappy

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Doskočilová Fenyešová Boschi Pisani – Goethe Zentrum Bologna 28 Novembre 2015

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Un concerto “sui generis”: una prima parte pianistico-liederistica con brani di Respighi e Janáček e una seconda parte con un pochissimo eseguito trio di Mendelssohn per piano, clarinetto e fagotto. La scelta degli autori è quantomeno curiosa non esistendo fra loro alcuna correlazione e mai come in questo caso un concerto “a geometria variabile”. Partiamo dalla liederistica. La mezzosoprano Andrea Doskočilová ha veramente una bella voce e canta con grande proprietà la arie popolari di Janáček. Quanto ai Lieder (arie) di Respighi (poco eseguite – a ragione…) la valutazione è di una buona professionalità. Il pianismo di Monika Fenyešová è invece troppo muscolare e tradisce i brani di Janáček che furono fra i cavalli di battaglia del compianto pianista ceko Rudolf Firkusny. Nella sua interpretazione manca quell’aura onirica e vagamente magica che caratterizza la partitura. Quanto al trio di Mendelssohn si può solo parlare di una buona esecuzione di un brano chiaramente d’occasione e troppo breve per permettere una valutazione degli interpreti. Un concerto interessante, in ogni modo, e a tratti di buona qualità. Da sottolineare positivamente le presentazioni dei brani da parte di Laura Ballerini: per una volta precise e interessanti. 

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Cianchi Bosacchi – Goethe Zentrum Bologna 22 Novembre 2015

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Da tempo non assistevamo a un così bel concerto liederistico. Un programma tutt’altro che facile e per molti versi coraggioso  sia per gli interpreti che per il pubblico: Webern, Wolf e Berg.  Il soprano Maria Simona Cianchi è dotata di una bellissima voce in tutti i registri, calda e piena di tutti gli armonici sia negli acuti che non sono mai strappati ma sempre arrotondati e tenuti sotto perfetto controllo sia nel registro basso che così spesso risulta afono per le soprano anche nelle impervie armonie di Wolf e Berg. A ciò si aggiunga una perfetta aderenza interpretativa all’armonia dei brani eseguiti e – cosa non sempre verificata – al significato dei testi eseguiti. L’unico elemento leggermente negativo è la pronuncia tedesca, non sempre perfetta, un limite che nulla toglie alla soprano Cianchi. Una cantante di Lieder comunque che possiamo soltanto augurarci di risentire quanto prima anche in un contesto di pubblico più vasto e di maggiore soddisfazione (purtroppo i presenti erano meno di 20,,,). Ma un’esecuzione liederistica può essere di qualità solo se accompagnata da un pianismo consapevole delle problematiche di canto e piano ovvero alla ricerca della loro perfetta fusione. E’ questo il caso di Anna Bosacchi che oltre a una esecuzione immacolata (anche in brani tecnicamente impegnativi come la coda finale di “Er ist es” di H. Wolf) ha anche saputo tenere sempre la giusta sonorità, mai coprendo il canto e sottolineando i percorsi armonici anche di Lieder di non facile interpretazione come quelli di Webern. Un bellissimo, raffinato concerto, quindi, coronato da un Lied di Wolf e dal successo incondizionato e meritato, tributato dal pubblico.

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Li Janáček – Musica Insieme 16 Novembre 2015

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Un concerto a due facce: una prima parte di solo quartetto e una seconda parte con il quintetto op. 34 di Brahms. Nella parte puramente quartettistica è certamente risultata migliore l’interpretazione del quartetto  di Janáček mentre quella del quartetto delle arpe di Beethoven (op. 74) è risultata priva di nerbo e sostanzialmente esangue. Un bellissimo suono, solisti che si trovano a occhi chiusi  ma nei quartetti beethoveniani oltre alla componente apollinea esiste anche quella vitale vitale e drammatica (a titolo di paragone si ricordi che il quartetto è stato composto più o meno nello stesso periodo della sonata op. 81 “Les adieux”). Quindi una esecuzione – parafrasando una nota canzone – “bella ma senz’anima“. Diverso è il giudizio per il quartetto n.1 di Janáček (“La sonata a Kreutzer” che nulla ha a che vedere con la celebre sonata per violino e pianoforte di Beethoven). Qui la componente ceca ha trovato la sua espressione migliore e l’esecuzione è risultata vibrante e ha messo in luce tutte quelle caratteristiche che fanno del compositore (purtroppo non spesso eseguito in Italia) un grande rappresentante della musica mitteleuropea del primo ‘900.
Il quintetto brahmsiano è sostanzialmente un brano pianistico con il supporto degli archi, come peraltro comprovato dalla sua genesi per due pianoforti. Il pianismo di Ang Li è sempre granitico e sorretto da un’ottima tecnica ma è assolutamente carente sul piano del canto. La pianista cinese ha trascinato il quartetto Janáček in tempi sempre vorticosi che sono perfetti per il 3° e 4° tempo ma assolutamente innecessari e controproducenti nel secondo tempo dove il tema di terze perde tutto il suo fascino cantabile riducendosi a un esercizio meccanico. Ovviamente il finale travolgente del quintetto ha scatenato l’entusiasmo del pubblico che ha applaudito lungamente (come sempre più la musica che gli interpreti… Il pubblico ha la memoria corta e valuta solo le ultime battute di un’esecuzione. Da notare il solito ridicolo, penoso esercizio ginnico di chi applaude alzando le mani al cielo per distinguere il proprio gradimento da quello della massa… ).
Sono sempre stato contrario alle “introduzioni” che precedono i concerti ma avevo salvato quelle di M. Chiara Mazzi. Quella di ieri sera però conteneva un notevole errore storico. Asserire che i cambiamenti apportati da Beethoven alla struttura del quartetto corrispondono alle “rivoluzioni” sociali allora in atto è antistorico. La vita di Beethoven (un libertario individualista, un ribelle ma in nessun modo un rivoluzionario) si svolge nel segno delle controrivoluzioni e delle restaurazioni, quella napoleonica prima e quella del congresso di Vienna poi. Le prime rivoluzioni (dopo quella francese del 1789 tradita da Napoleone) si hanno negli anni’30 dell’800 in Francia, quando Beethoven è morto da quasi 10 anni. A meno che non si voglia considerare la restaurazione (la controrivoluzione) napoleonica una rivoluzione ma questo è semplicemente storicamente sbagliato.

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Martirosyan Mezzini – Sala Mozart 5 Novembre 2015

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Ricomincia  la stagione di “Conoscere la musica”: debbo solo alla cortesia del presidente Francesco Vella l’essere stato avvertito, poiché nessun messaggio e-mail in proposito mi è stato inviato e mi viene il sospetto di un tentativo di ostracismo “per per que’ pochi postucci di dozzina”  (G.Giusti..) nei quali mi sono permesso di criticare alcuni degli esecutori presentati. Purtroppo ho l’abitudine di dire le cose con molta franchezza (e se mi è permesso a ragion veduta), anche quelle che altri dicono sottovoce per non farsi sentire, magari scrivendomi di essere d’accordo ma senza avere il coraggio di inserire un commento con nome e cognome (v. sasso e mano..). Tornando al concerto in questione si è trattato di un’esecuzione interessante anche se “a geometria variabile” (ovvero con canto accompagnato inframmezzato da brani pianistici solistici) che ho già avuto modo più volte di stigmatizzare in quanto impedisce per certi aspetti di valutare appieno i due esecutori. Ciò detto possiamo dire che la soprano Elizaveta Martirosyan ha certamente delle potenzialità ma avrebbe bisogno di un maggiore controllo della propria vocalità in quanto laddove il volume aumenta in modo eccessivo la voce diventa aspra, talvolta stridula, mentre quando mantiene la mezza voce o il mezzoforte esprime il meglio di sé. E’ stato il caso – ad esempio – del brano di Poulenc eseguito magistralmente mentre all’estremo opposto si è collocata l’aria del “Turco in Italia” di Rossini e certamente è mancato quel tocco di ironia e leggerezza nell’aria di Oscar del “Ballo in maschera”. C’è certamente un costante tentativo di lasciare libero sfogo alla voce mentre un rigido controllo sarebbe nel caso in questione doveroso. Assai apprezzabile l’arte scenica (quanto spesso abbiamo assistito a concerti vocali con cantanti rigidamente impalati!), talvolta quasi eccessiva, che ha trovato un ottimo esempio nell’aria Donizettiana eseguita come bis “ ’na casa in miezzo ‘o mare” eseguita come vera e propria sciantosa. Un’esecuzione quindi in chiaroscuro e l’augurio di un migliore uso del propri mezzi. Un plauso incondizionato alla pianista Nicoletta Mezzini, molto sicura nella sua esecuzione, sempre pronta ad assecondare il canto e con un’ottima esecuzione della Ciaccona di Händel. Buona anche l’esecuzione del “Preludio” della “Suite Bergamasque” di Debussy, seppure a un volume spesso eccessivo. Bisognerebbe capire perché con tanti brani individuali si scelga un brano di una raccolta…

HappySad

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Arkadij Volodos – Musica Insieme Teatro Manzoni 26 Ottobre 2015

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Volodos ha ripetuto il concerto di Berlino da me recensito in Giugno Arkadij Volodos  – Berlino Konzerthaus 16 Giugno 2015, sostituendo per Brahms le variazioni op. 18b e gli otto Klavierstücke op. 76, una serie che comprende fra l’altro 4 capricci tecnicamente trascendentali. Valgono tutte le considerazioni del post di cui sopra che evito di ripetere. Un grande pianista dotato di una “mano” strepitosa (parafrasando una nota frase pubblicitaria “con quella mano può fare ciò che vuole”) che non è mai virtuosistica e fine a sé stessa ma è sempre al servizio dell’interpretazione. Una musicalità raffinatissima. Quattro bis fra i quali un brano poco eseguito di Mompou, una Malagueña virtuosistica di Lecuona e un intermezzo di Brahms. Un grande concerto.

HappyHappyHappy

Qui come a Berlino un giustificato successo strepitoso di pubblico. L’unica vera differenza con il concerto di Berlino è che là – come in tutte le sale serie – non viene inferta al pubblico la punizione dell’introduzione “musicologica”, mai come in questa occasione inutile, improvvisata, priva di reali contenuti e con un errore grossolano che non commetterebbe neppure uno studente di storia della musica del conservatorio. Affermare con bella sicurezza che Brahms a partire dall’opera 76 ha composto solo capricci e intermezzi vuol dire non ricordare o ancor peggio non conoscere le due importanti rapsodie op. 79. Una “introduzione” un tanto al kilo ammannita in modo saccente a un pubblico che si considera ignorante e che invece tale non è…

SadSad 

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Salvi Orlandi – Goethe Zentrum Bologna 24 Ottobre 2015

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Un concerto iniziato male e finito peggio. Si comincia dal programma di sala: nell’elenco dei Lieder schubertiani NON è indicato Erlkönig; i testi sono presi dal sito web della Liederistca paro paro cosicché vengono copiati anche i riferimenti alle note a piè di pagina del sito che però (ovviamente) non sono presenti. Ricordo che la cosa è particolarmente pericolosa in quanto vi è un copyright sui testi del sito (e azioni legali in corso). I testi vengono letti con voce monotona e biascicata (inintelligibile in fondo alla sala) da una improvvisata “attrice” che probabilmente non distingue fra “La vispa teresa” e la povera Greta Goethiana. Recitare una poesia non significa leggerla (addirittura incespicando) ma dando una intonazione e una coloratura al testo, inserendo le pause e dando l’impressione della consapevolezza di quanto letto. Amen. Il concerto inizia e si nota subito che la soprano ha poca dimestichezza con la lingua tedesca: le Umlaut spariscono e del testo si perde una larga parte. Il piano suona sempre dannatamente forte coprendo la soprano che naturalmente deve sforzare per farsi sentire (ma possibile che non si faccia una prova e non si tenga chiuso il coperchio diminuendo l’intensità del suono? Non siamo mica alla Carnegie Hall!). La soprano ci dà del suo: tutti i toni sono sempre drammatici e sforzati persino in un Lied delicato con Scheeglöckchen di Schumann, i colori risultano per lo più assenti e gli acuti spesso di intonazione incerta. Purtroppo non è neppure assistita da una bella voce e sarebbero necessari molta tecnica e molto esercizio per arrotondare e addolcire il canto. Non risulta accettabile neppure l’Erlkönig per quanto sia drammatico con il piano che tuona impietosamente. La “lettura” dei testi si arresta fortunatamente quando vengono eseguiti i Lieder di Marx: un compositore interessante che non rinuncia ad ammiccare in certi passaggi al café chantant. Nei quattro Lieder vengono coinvolti in sequenza violino, violoncello e flauto: esecuzioni pulite ma ovviamente non giudicabili. Il concerto finalmente termina e come bis…. viene ripetuto il Lied “Gretchen am Spinnrade!! Della serie “errare umanum est…”. Un pomeriggio da dimenticare.
SadSadSad
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Cameristica

Grigorij Sokolov – Imola 23 Ottobre 2015

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Diciamolo subito: Grigorij Lipmanovič Sokolov appartiene alla schiera dei grandi pianisti moderni. Dopo avere vinto a 16 anni, nel 1966, il concorso Čajkovskij (allora presidente della giuria era il grande Emil Gilels) ha iniziato una strepitosa carriera che l’ha portato ad essere acclamato in tutto il mondo. Carattere non facile (detesta, ad esempio, le incisioni) il suo repertorio spazia dal barocco al tardo romanticismo. Il  concerto eseguito a Imola prevedeva di Schubert la sonata in la minore op. 143 e i momenti musicali op.94, e di Chopin due notturni e la sonata op. 35. Sokolov è un maestro insuperato nella calibrazione del fraseggio e dell’intensità sonora conferita ad ogni nota e questo è magnificamente risaltato nell’esecuzione delle composizioni Schubertiane, nelle quali anche l’uso di tempi rilassati gli ha permesso di estrarre dalla partitura tutte le sfumature più recondite (si pensi ad esempio agli arpeggi per moto contrario perfettamente sfumati dell’ultimo tempo della sonata, l’Allegro vivace a canone). La scelta dei tempi poi, sempre nell’ultimo tempo della sonata, ha evitato quell’ effetto di rallentamento che si ascolta alla fine in tante interpretazioni a causa di una sequenza di ottave ineseguibili alla velocità iniziale adottata da tanti pianisti. Un plauso quindi incondizionato. La stessa valutazione per i due notturni chopiniani mentre qualche riserva può essere avanzata per la sonata dello stesso compositore. Qui la scelta dinamica (specialmente nel primo tempo e nello scherzo) ha ridotto l’impatto eroico e drammatico dei due brani e – cosa quasi incredibile per Sokolov – non sono mancate le note false. Perfetta invece l’esecuzione della Marche funèbre e il finale misterioso.  Come sempre Sokolov è stato generoso con i bis: 5 brani Chopiniani (4 mazurche e il celebre preludio in lab maggiore) seguiti da un brano inconsueto del protoromantico Griboyedov (brano a me ignoto: grazie a D.Mirri e A.Spano per l’informazione in materia). Sokolov per ogni stagione esegue costantemente lo stesso programma, il che lo porta al termine della stessa a un estremo grado di raffinamento: nel caso specifico il programma eseguito è quello di inizio stagione il che dà ragione di alcuni aspetti che certamente migliorerà nel corso dell’anno. Grande successo di pubblico il che sottolinea ancora una volta come risulti incomprensibile a tutto il pubblico imolese (e non) la conclusione prematura dei concerti del Circolo della Musica. Interpreto certamente l’opinione della stragrande maggioranza degli spettatori (sottolineatami anche ripetutamente da più persone durante l’intervallo) affermando che è assolutamente indispensabile che l’esperienza non abbia termine.
PS può essere che questo sia l’ultimo post del blog: da uno sfegatato ammiratore del pianista russo sono stato minacciato di punizione corporale nel caso mi permettessi di eccepire anche minimamente sull’esecuzione….. Si potrebbe commutare la pena in un commento anche velenoso sul blog…Happy.?
HappyHappy
PPS La palma della maleducazione in sala spetta allo spettatore dell’ultima fila del primo settore che ha quasi costantemente tenuto acceso il proprio cellulare disturbando con la sua luce gli altri spettatori. La domanda che ognuno si pone è: ma che ci viene a fare in teatro se poi non segue il concerto e perchè non tiene conto degli altri? Non fare agli altri…

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Cameristica, Operistica

King Arthur – Musica Insieme 18 Ottobre 2015


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Le opere di Purcell si prestano a ricostruzioni (o meglio traslazioni) moderne: ne è prova il King Arthur rappresentato dal Motus Ensemble per Musica Insieme. Luca Scarlini ha estratto dalla versione originale (di notevole lunghezza) dei brani ricostruendo (non in ordine) la vicenda e trasportandola in un ambiente senza tempo. Il risultato è controverso, forse anche per la limitata dimensione del palcoscenico che ha costretto a comprimere la scenografia riducendone l’effetto grafico. Della “vicenda” (ammesso che di questo si possa parlare nella ricostruzione) il pubblico non ha certamente potuto avere consapevolezza per l’assenza di sopratitoli, l’assenza di illuminazione in sala che ha precluso la possibilità di leggere il libretto e anche per la ellitticità del messaggio. La “semiopera” (come viene indicata ma si tratta di una tipologia di singspiel con parti recitate e parti cantate) basa una larga parte della sua scenografia su un ossessivo uso di una videocamera retrò (per chi ha qualche anno sulle spalle i filmini in formato “8”) con riferimenti parlati (più o meno allusivi) alla vicenda, inframmezzata da alcune arie prese dalla versione originale di Purcell. Il risultato è piuttosto ripetitivo e certamente non eguaglia neppure lontanamente il risultato di un’operazione simile alla Staatsoper di Berlino, dove fu rappresentata nel 2008 una versione assolutamente strepitosa del “Dido and Aeneas” del compositore inglese (ripresa peraltro quest’anno). Come nel caso dell’opera di Berlino viene anche utilizzato al termine un giocoliere, forse per alludere alla non serietà della vicenda rappresentata (oppure solo come semplice stratagemma scenografico). Più che la drammaturgia (sostanzialmente piuttosto velleitaria) sono risultate di qualità le parti musicali e in particolare va sottolineata la prova del soprano Elena Bernardi dotata di voce limpidissima, ben coadiuvata dal secondo soprano Yuliya Poleshchuk, mentre il complesso musicale barocco ha svolto con diligenza il proprio non insormontabile compito. Nella assoluta norma il controtenore Carlo Vistoli. Lunghi applausi da parte del pubblico.

HappySad

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Cameristica

Macbeth – Teatro comunale 6 Ottobre 2015

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Il Macbeth verdiano è stato ripreso con la stessa regia di Bob Wilson di due anni fa e con la stessa scenografia: luci fredde sui volti dei protagonisti, gestualità con movimenti a scatto da teatro “No” giapponese, isolamento fisico dei vari personaggi, coro in controluce.  Effetto straniante per sottolineare una tragedia fosca nei quali ciascuno dei protagonisti vive un proprio, individuale dramma accomunati però da un tragico destino. Naturalmente ci riferiamo per l’intreccio al dramma shakespeariano non certo all’incredibile libretto di Francesco Maria Piave che impedirebbe a chiunque non conoscesse l’opera del bardo di comprendere cosa accada in palcoscenico. Certamente Macbeth (tradotto – orrore – come Macbetto!!) è dal punto di vista del libretto l’opera peggiore di Verdi sorretta però da una musica in molti tratti eccezionale (si pensi solo all’ultima aria di Lady Macbeth). Il cast è di buona qualità: in particolare è risultato vocalmente e scenicamente convincente il Macbeth di Dario Solari; controverso è invece il giudizio su Amarilli Nizza (Lady Macbeth) inizialmente non troppo a suo agio nel ruolo, con evidenti forzature che si sono via via ridotte fino a scomparire nel corso dell’opera. Magistrale l’interpretazione della sua ultima aria. Quanto agli altri interpreti si possono definire nella norma. In generale il cast non ha suscitato nel pubblico particolari entusiasmi se si eccettuano i risibili e patetici interventi della claque (versione moderna dei clientes con la sportula). Molto positiva la direzione di Roberto Abbado che ha saputo dare il giusto tono e la corretta impostazione drammatica all’orchestra. Un successo non clamoroso
PS Nunc est bibendum. Nunc pede libero pulsanda tellus! Il rockettaro è stato cacciato; finalmente ci siamo liberati di un personaggio che con la cultura con la “c” maiuscola (e in particolare la musica) non ha avuto nulla a che vedere, occupato com’era a tingersi i capelli e a dimostrare quanto “alternativo” fosse. Adesso si respira!

Happy

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Cameristica

Brueggergosman Zeyen – Imola 18 Ottobre 2015

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Si è tenuto ieri sera il primo dei quattro concerti della sessantesima stagione del Circolo della Musica di Imola che purtroppo, salvo cambiamenti non annunciati, chiude con questi concerti la sua attività. Una fine inaspettata e che dovrebbe essere riconsiderata alla luce dell’importanza culturale che il Circolo ha avuto in tutti questi anni. Come indicato nella introduzione tenuta da M. Montanari la soprano canadese Measha Brueggergosman (un cognome nato dalla fusione del suo originario e di quello del marito) è riuscita a risalire fino ai suoi antenati del 1.700 che erano schiavi riusciti a fuggire in Canada dove si sono poi stabiliti. Di questa sua origine la Brueggergrosman è certamente fiera come testimoniato anche dal suo abbigliamento (mutato nell’intervallo) che in entrambi i casi ha previsto i piedi scalzi.  Ma tralasciando queste note di “folklore” il concerto è certamente stato di ottima qualità e ha previsto quattro Lieder di Schubert, tre Lieder giovanili d Berg, i Wesendonck Lieder di Wagner, Shéhérazade di Ravel, le chansons di Bilitis di Debussy e infine le cinque canzoni “negre” di Montsalvatge. La Brueggergosman è dotata di voce possente più da mezzosoprano che da soprano (anche se ha un ottimo registro acuto) ed esprime il meglio di sé nei toni drammatici (ad esempio Berg e Wagner) mentre meno riuscite sono state le delicate espressioni schubertiane che richiedono sfumature liriche non del tutto adatte alla sua voce. Molto buone in ogni caso sono state le esecuzioni di Ravel e particolarmente congeniale alla cantante sono stati i Lieder di Montsalvatge. Una (mezzo)soprano non ancora molto noto in Italia anche se ha al suo attivo parecchi album discografici che abbracciano un repertorio vasto, dal sinfonico al cameristico. Un’artista molto estroversa che possiamo solo sperare di riascoltare più spesso nel repertorio operistico anche in Italia (dove peraltro ha recentemente cantato nel Mahagonny). L’accompagnamento di Zeyen è stato di buona, non eccelsa, qualità: sono mancati sovente quei “piani” così importanti in campo liederistico come, ad esempio, nel primo dei Wesendonck (”Der Engel”). Un pianismo un po’ troppo muscolare per la liederistica che forse richiederebbe una maggiore flessibilità. Un bis e un ottimo successo del non folto pubblico (ma si sa, il Lied non gode di grande popolarità nel paese del “belcanto”).

HappyHappy

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Cameristica

Carbonare Pappano – Teatro Manzoni 7 Ottobre 2015

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Est, est, est!  Un plauso incondizionato al Bologna Festival che ha avuto il coraggio di proporre un concerto cameristico nel senso stretto della parola, ovvero un duo clarinetto e pianoforte, nell’ambito della sua rassegna maggiore. E il pubblico ha risposto riempiendo la sala e tributando ai due artisti un applauso prolungato facilitato anche dai due bis nei quali il clarinetto ha eseguito brani moderni (uno di Miles Davis) di facile “digestione”. Un programma di tutto rispetto: le due sonate tarde brahmsiane op. 120 (eseguite spesso con la viola al posto del clarinetto) e sei brani schumanniani (3 Fantasiestücke op. 73 e le tre romanze op. 94, originariamente composte per oboe). Il clou della serata è stato certamente incentrato sulle due sonate di Brahms, opere della assoluta maturità compositiva nelle quali si percepisce una sorta di commiato dell’autore, una visione pacificata del mondo acquisita tramite la saggezza derivante dall’età.  E il clarinetto ha saputo renderle alla perfezione, permettendo all’uditorio di apprezzarne tutte le sfumature e ben assecondato dal pianismo di Pappano. A proposito di quest’ultimo si può affermare che è certamente un grande musicista e direttore ma non un pianista dello stesso livello. Le imperfezioni sono state molteplici confermando il fatto che Brahms non solo è compositore musicalmente complesso ma anche tecnicamente impervio. E il piano, come ogni altro strumento, non perdona e richiede un costante esercizio che certamente Pappano non è in grado di sostenere, data la sua intensa attività come direttore. La cosa mi ricorda un concerto di trenta anni fa (quando ancora il Bologna Festival si chiamava “I grandi interpreti”) nel quale Georg Szolti si esibì come pianista in un concerto di Mozart con risultati molto discutibili (c0munque assai peggiori di quelli di Pappano). Tornando alla questione concerti cameristici bisogna solo sperare che questo concerto faccia da apripista a una maggiore articolazione dell’offerta musicale bolognese, anche considerando che il Bologna Festival proseguirà su questa strada (un plauso a Messinis) proponendo tre concerti di Ian Bostridge impegnato nei tre grandi cicli liederistici di Schubert.  Possiamo (forse) sperare che i fin troppo cauti organizzatori bolognesi capiscano che il pubblico è più che pronto ad accettare concerti cameristici più variegati come avviene in tutte le sale europee, anche se le resistenze ci sono e non piccole. Sed gutta cavat lapidem…

HappyHappy

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Cameristica

Chopin e Skrjabin – Torino 8-22 Settembre 2015

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Questa è una delle manifestazioni meritorie del MiTo, il festival della musica condiviso fra Milano e Torino: al 90% i concerti sono gli stessi e spaziano dalla classica, al jazz, alla sinfonica etc. Concerti di alto e medio livello, a prezzi popolari, alcuni trasmessi in streaming su Internet, con molto spazio lasciato ai giovani, nel caso in questione giovani allievi dell’accademia di Imola. Questi concerti durano 45-60 minuti (la metà di un normale concerto a parte quello della Chistiakova che è durato il doppio) e permettono di avvicinare giovani promesse a un pubblico maturo e competente. Inutile dire che a Bologna non viene neppure ipotizzato qualcosa di simile (in fondo un Mi-To-Bo, almeno per alcune delle sue serie sarebbe ben possibile, anche se si pensa che il tutto avviene in Settembre quando il numero di concerti locali non è certo stratosferico. Inoltre questi concerti si tengono il pomeriggio, non interferendo con alcuna altra manifestazione…). Ovviamente non intendo recensire singolarmente su un post ciascun concerto ma dare un giudizio a tutti gli interpreti in un solo post. Si inizia con Marie Kiyone (che per due volte – 2010 e 2015 -ha fallito la partecipazione al concorso Chopin) impegnata nella sonata n.1 e in 5 preludi di Skrjabin, seguiti da un preludio, da un improvviso e dalla barcarola di Chopin. Bravina, molto “pulita” ma piuttosto scolastica e metronimica, senza particolare personalità. André Gallo, impegnato in un programma principalmente indirizzato alle mazurche dei due compositori, è certamente dotato di grande musicalità e ottima tecnica e ha offerto un’ottima prestazione per le composizioni di Skrjabin ma non coglie lo spirito intimo chopiniano delle mazurke adottando tempi troppo strascicati alla ricerca di significanza di ogni nota e perdendo quindi di vista il significato complessivo struggente e sfumato delle composizioni. Molto migliore l’esecuzione dei tre notturni del compositore polacco anche se non si sottrae troppo, troppo spesso al vizietto della mancata sincronia delle due mani. Che cosa c’entri poi un bis di Debussy in questo contesto è tutto da scoprire…. Pietro Beltrami interpreta i 24 preludi di Skrjabin e la sua polacca op. 21 seguito dalla polacca op. 44 di Chopin. Abbastanza bene Skrjabin anche se carente un po’ dello spirito onirico che informa tutte le sue composizioni. Molto meno bene Chopin, con una esecuzione della polacca che all’inizio manca totalmente di quel senso di mistero così importante per definirne lo spirito e che in tutto lo svolgimento non ne coglie il significato profondo. Da sottolineare una tecnica non sempre molto pulita, tutt’altro che immacolata. Molto meglio Giuseppe Albanese il cui programma comprende invece una maggioranza di brani chopiniani fra cui la celebra polacca-fantasia e la fantasia op. 49 in aggiunta a due notturni mentre meno impegnativo è il programma di Skrjabin (Poème-nocturne op. 61. Notturno per la mano sinistra e fantasia in si minore op. 28). Dotato di solida tecnica rende con molto stile i brani eseguiti sottolineando con accuratezza le differenze fra i due autori. Forse in certi casi esagera un po’ con l’enfasi ma è un giovane assai promettente. Un programma molto vasto esegue Alessandro Tardino con una serie di mazurche chopiniane e di Skjabin fra loro inframmezzate (interessante) seguite da 18 preludi di Skrjabin e due brani di effetto: Grande polonaise brillante in mi bemolle maggiore op. 22 di Chopin e, come chiusa, l’onirico Vers la flamme op. 72 di Skrjabin. Pianismo solido, ottima tecnica interpreta mirabilmente Skrjabin. In Chopin esagera talvolta con l’enfasi non cogliendo appieno le sfumature della mazurke non trovando il giusto equilibrio fra enfasi romantica e carattere intimistico delle composizioni. Quanto al cinese Cheng Guang che ha eseguito Skrjabin Sonata Fantaisie n. 2 in sol diesis minore op. 19, Sonata n. 4 in fa diesis maggiore op. 30, Chopin Sonate Fantaisie n. 2 in sol diesis minore op. 19, Polonaise-Fantaisie in la bemolle maggiore op. 61, Ballata n. 1 in sol minore op. 23 non posso dire nulla perché non ho fatto in tempo ad ascoltarlo! Sicuramente di un buon palmo su tutti gli altri la russa Galina Chistiakova che ha presentato un vasto programma (Chopin tre mazurke, un notturno, due studi e il quarto scherzo e di Skrjabin i 12 studi op. 8 e una sonata). Dotata di grande maturità artistica e di una solidissima tecnica è certamente in grado di aspirare a un premio al prossimo concorso Chopin cui parteciperà il prossimo Novembre. Brava, incondizionatamente e con grande, meritato successo di pubblico. Per concludere: il ciclo è sicuramente interessante ma gli nuoce la ripetitività di molti brani (ad esempio in due giorni consecutivi due volte la polacca-fantasia). Un ciclo come questo dovrebbe offrire la panoramica più vasta sulla produzione dei due compositori altrimenti diventa una accozzaglia di programmi non coordinati. E la cosa, essendo gli esecutori giovani, non dovrebbe certo costituire un problema…
 HappyHappy
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Faust – Melnikov -Komsi – S.Domenico 15-16 Settembre 2015

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Recensisco in unico post due dei tre concerti tenuti da Isabelle Faust per il Bologna Festival con il fortepianista Alexander Melnikov e il soprano Anu Komsi, non essendomi possibile assistere al concerto del 20 (sarò a Milano per la prima de “L’elisir d’amore” alla Scala). Purtroppo il Bologna Festival pare innamorarsi di alcuni interpreti o formazioni cameristiche anche minori che vengono riproposti quasi ogni stagione indipendentemente dal loro valore. Certamente la Faust è una grande violinista ma sarebbe certamente più interessante avere un panorama di esecutori più vasto e quindi meno ripetitivo. Le ragioni di queste scelte appaiono piuttosto oscure e comunque assai discutibili. Il primo dei due concerti si apre con una gestione inaccettabile degli ingressi che obbliga gli ignari spettatori a una interminabile coda all’esterno della chiesa (e se pioveva?) e con un inizio del concerto con quasi mezzora in ritardo. La sala è gremita all’inverosimile, con un caldo insopportabile e con qualche dubbio sulla sicurezza in termini di sfollamento in caso di incidente (prudentemente mi siedo in fondo – come sempre – vicino all’uscita). Si inizia con una, per fortuna breve, introduzione condotta con voce flebile inaudibile in fondo alla sala nonostante l’uso del microfono. L’acustica della sala non è pessima: è semplicemente inesistente (ma chi è l’anima bella che ha avuto la brillante idea di organizzare un concerto in una biblioteca quadrata ben ad altro adibita – ad esempio a convegni e seminari)? Il concerto si sviluppa con l’esecuzione di brani minori di Haydn, Mozart e Beethoven eseguiti con impugnatura barocca (ma non l’archetto!) dalla Faust fasciata in abito arcobaleno e un fortepiano dalla voce flebile che inevitabilmente si scorda durante l’esecuzione obbligando l’esecutore a interventi di accordatura. Sull’assurdità di presunte esecuzioni “filologiche” ho già avuto modo di esprimere tutta la mia contrarietà a partire dal fatto che i brani eseguiti erano stati previsti dagli autori per una piccola sala (“musica da camera”) con un pubblico ristretto e non per una sala con piû di trecento spettatori (i posti sono in realtà 400 come mi fa notare A.Spano)! La durata del concerto (con sollievo del pubblico peraltro osannante – si gioca in casa di fatto – per la conclusione della sauna) è stata di soli 64 (al posto dei canonici 90) minuti con un bis di 5 minuti. Una buona esecuzione ma, dato il repertorio, non poteva essere diversamente. Insomma un concerto ben lontano dall’essere memorabile e sulla cui organizzazione, al di là del plauso dovuto alla buona volontà dei sostenitori privati, sarebbe bene riflettere attentamente. Molto più interessante il concerto successivo con la soprano Anu Komsi. Il brano eseguito è il bellissimo “Kafka Fragmente” op. 24 di György Kurtág, una composizione certamente non di facile digestione ma interpretato in modo magistrale dalle due artiste e che richiede tecniche violinistiche e canore di grande qualità. Forse per il richiamo legato al nome della Faust (beniamina bolognese) la sala (sempre la stessa dall’acustica infame) è piena per ¾, certamente un grande successo per un concerto che in altri tempi avrebbe visto un vuoto pneumatico e che ha invece riscosso un meritato, prolungato applauso. La soprano ha saputo destreggiarsi con bravura in una partitura impervia, per la quale peraltro ha dimostrato tutta la sua esperienza in tema di musica contemporanea. Purtroppo il testo stampato fornito agli spettatori conteneva molti errori di tedesco e alcune traduzioni discutibili. Eppure non sarebbe difficile produrre testi corretti e soprattutto rivisti da esperti.…

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Comunale e sponsorizzazioni – 11 Settembre 2015

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Di certo non sono mai stato tenero nei confronti della gestione del teatro comunale di Bologna (Ronchi, Sani e consiglio di indirizzo) ma andando sul sito del teatro sono rimasto allibito dai valori del sostegno dato al teatro da istituzioni e imprese cittadine (sempre che il sito sia aggiornato .. la questione sito è un altro argomento dolente… per capire come sia fatto un sito serio si guardi quello della Scala!). Le cifre sono presto riassunte: contributi previsti 3.000.000€, ricevuti123.000€ ovvero meno del 5% !!!!  Forse nel computo sono rimasti esclusi i contributi alla realizzazione di singole opere (ma le cifre difficilmente potrebbero cambiare di ordine di grandezza)? Ora i casi sono due o il management è in mano a incompetenti incapaci di formulare previsioni realistiche oppure la ricca e opulenta Bologna promette e non mantiene e quindi dovrebbe vergognarsi. Queste cifre sono incredibili: come si fa a mettere in previsione una cifra così sballata? Una previsione seria dovrebbe riflettere i valori che ragionevolmente potrebbero/dovrebbero essere raggiunti, altrimenti si è in presenza del solito specchietto delle allodole. Naturalmente del problema non si trova praticamente traccia sui giornali (chissà perché…). Va comunque detto che una città come Bologna dovrebbe vergognarsi di investire così poco nel suo teatro ricordando che begli spettacoli vogliono dire indotto e che non esistono solo i “concerti” rock (un nome che forse evoca uno dei personaggi coinvolti…): Bologna ha una tradizione (purtroppo tradita) di altissimo valore, se solo si pensa che al comunale si è avuta la prima italiana del Tristano di Wagner! Senza dimenticare i generosi vantaggi fiscali legati alle sponsorizzazioni. Da piangere!

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Cameristica, Recensioni

Dindo Cattarossi- Cortina 12 Agosto 2015

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Nel desolante panorama del moribondo festival Ciani di Cortina una figura almeno ha tenuto un concerto degno di questo nome: Enrico Dindo accompagnato da Monica Cattarossi. Il festival Ciani, iniziato circa dieci anni orsono, dopo un inizio di grande qualità con nomi prestigiosi (e auditorium pieno con caccia accanita ai biglietti!) è andato via via scadendo con un pubblico sempre meno numeroso fino alla miseria di questo anno il cui tema è il musical americano con figure di secondo piano. Colpa di una gestione disastrosa, incapace di informare adeguatamente il pubblico, di gestire in modo dignitoso una mailing list, di pubblicizzare il festival. Ci si è invece concentrati su una modestissima “accademia” di giovani musicisti che partecipano a una scuola estiva con risultati francamente non esaltanti. Il festival ha seguito la parabola discendente del suo organizzatore Jeffrey Swann passato dalla meritata vittoria alla prima edizione del concorso Ciani di Milano (circa 20 anni fa) a un tramonto prematuro confermato dalle poche e scadenti esibizioni recenti. Dindo appartiene al Gotha dei violoncellisti mondiali dopo la sua vittoria nel 1997 al concorso Rostropovich di Parigi e l’apprezzamento senza di riserve del grande maestro russo. Il programma eseguito – Robert Schumann Adagio e allegro op.70, Fantasiestücke, e 5 Stücke in Volkton, Claude Debussy sonata e Frank Bridge sonata con un bis Raveliano-  ne ha messo in mostra ancora una volta la tecnica sopraffina e il fraseggio ampio ed espressivo, sempre rispettoso dello stile dei compositori. Adeguato l’accompagnamento di Monica Cattarossi non adeguatamente supportata da uno Stainway 3/4 di coda che ha visto tempi migliori. Un caloroso successo del non folto pubblico (un centinaio massimo di persone, alcune dileguatisi dopo il primo tempo). Purtroppo il concerto non è stato neppure tenuto nell’auditorium dei concerti di Cortina ma nell’inadeguata acusticamente sala Dolomia dell’albergo Savoia il che la dice lunga sull’organizzazione. A parte Dindo l’Agosto culturale di Cortina prosegue la sua lenta ma inarrestabile agonia.

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Cameristica, Recensioni

Jacky Terrasson – Bologna 1 Luglio 2015

Non profit bannerNon profit bannerEccomi in terreno “nemico” con un pianista jazz, genere musicale da me quasi mai frequentato e di cui capisco assai poco (ma certamente detesto i pianisti “contaminati” come Bollani che solleticano la vanità del pubblico incompetente facendoli ritenere esperti anche se di musica capiscono poco o niente). Forse non dovrei neppure recensire per onestà intellettuale un “concerto” come questo. Quindi posso solo dire che Terrasson è dotato di solido impianto tecnico derivante da studi classici e che esegue la sua musica con maestria… jazzistica. Il suo è un jazz “melodico” (ammenda per l’uso improprio dell’aggettivo) che certamente risente degli studi classici. L’esecuzione ha però tutti gli stilemi tipici del jazz a partire dall’indicazione del piano come artefice principale dell’esecuzione, a finire con le espressioni del volto che in un pianista “classico” stigmatizzerei ma che in questo caso guardo con timoroso rispetto.  Una serata abbastanza piacevole anche se per la mia sensibilità e preparazione avrei preferito un pianista più adatto ai miei gusti.

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Pape Barenboim – Berlino Staatsoper 21 Giugno 2015

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Una coppia collaudata che si trova ad occhi chiusi in un programma di certo non entusiasmante. Non per gli interpreti (entrambi eccezionali e con Barenboim che nel pomeriggio aveva già diretto un concerto!!!) ma per il programma di una tristezza infinita. I Lieder di Beethoven (von Christian Fürchtegott) di Dvořák (Biblische Lieder) e di Musorgskij (Lieder und Tänze des Todes) sono quanto di più deprimente sia possibile concepire per i testi (con musica corrispndente). Solo i 3 Lieder di Quilter (da Shakespeare) erano un po’ meno deprimenti anche se tutti trattavano di amori infelici, di morte per amore etc. Poco quindi da dire sul programma e due interpreti perfetti applauditi dalla sala della Staatsoper gremita in tutti i posti. Ogni confronto con l’Italietta del melodramma è inutile: di Cultura con la C maiuscola, signori, si tratta a fronte di ignoranza e provincialismo!  Grande concerto con programma insopportabile!

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Arkadij Volodos – Berlino Konzerthaus 16 Giugno 2015

Non profit bannerNon profit bannerIniziato con puntualità svizzera alle 20 in punto (lasciando fuori i ritardatari – meditate gente, meditate!) Arkadij Volodos (artist in residence 2014-2015 alla Konzerthaus di Berlino) ha dato l’ultimo concerto della serie con un programma che comprendeva il tema e variazioni di Brahms trascritte dall’autore dal secondo tempo del sestetto op. 18, i sei Klavierstücke op. 118 dello stesso autore e la sonata D960 di Schubert, più tre bis (Bach, Mompou e De Falla). Volodos è un pianista che ammiro moltissimo. Dotato di una tecnica strepitosa riesce sempre a incanalarla in un alveo artistico premiando spesso più che gli “effetti speciali” l’espressione e il sentimento senza mai scadere in un romanticismo di maniera e rispettando appieno lo stile dei compositori i cui brani esegue. Un grandissimo che forse non ha ancora ricevuto (almeno in Italia) il consenso che merita e che riascolteremo con piacere nel 2016 a Musica Insieme. Brahms (specialmente dall’op. 116 all’op. 119, le ultime composizioni dopo che aveva ripetutamente annunciato di volere abbandonare la composizione) richiede un profondissimo equilibrio, spesso violato da eccessive velocità (Perahia) o da libertà esecutive (Ciccolini) che non rendono la profonda inquietudine del vecchio compositore e la sua maturità nel racchiudere in brevi brani tutto il suo mondo artistico e umano. Un discorso analogo vale per la sonata di Schubert, composta nell’anno della sua morte. In entrambi i casi Volodos ha reso con perfetta maturità ed equilibrio il significato profondo dei brani eseguiti. Solo nel bis di De Falla ha dato sfogo al suo virtuosismo provocando una vera ovazione del pubblico accorso in massa al concerto nella sala da 1412 posti.

HappyHappy

PS Chi tocca il blog muore... Può sembrare incredibile nel 2015 ma il solo ammettere di leggere il blog o peggio ancora di essere amico del sottoscritto è considerato in certi ambienti come una colpa, cosicché prima che il gallo canti…
PPS Per chi conosce il tedesco (e sia interessato) consiglio di leggere la recensione (perchè in Germania ancora si fanno!!) del concerto di Volodos  apparsa  oggi sul berlinese Berliner Zeitung a pag. 25 del Feuilleton (le 6 pagine culturali che quotidianamente appaiono in tutti i giornali tedeschi)  dal titolo “Nelle sue dita il respiro e il mondo”. Usa esattamente gli stessi concetti del mio post. Non credo che abbia comunque copiato…
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Murray Perahia – Bologna 10 Giugno (e Milano quartetto 26 Maggio) 2015

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Murray Perahia è una vecchia conoscenza del pubblico bolognese e milanese e in generale del panorama pianistico internazionale, che per motivi che non riesco facilmente a spiegarmi, collego costantemente al violinista Joshua Bell, forse per un approccio “americano” all’interpretazione (senza con questo volere nulla togliere alle loro esecuzioni) e che dopo l’incidente che alcuni anni fa minacciò di arrestarne la carriera ha raggiunto oggi nuovamente una perfetta maturità artistica ed esecutiva.
PerahiaIl programma (a Bologna come a Milano) è consistito in una suite francese di Bach, una sonata e un andante con variazioni di Haydn, il “chiaro di luna” di Beethoven, il preludio corale e fuga di Franck e lo scherzo n.1 di Chopin. I bis: un notturno intimista di Chopin, un brillante Pantasiestuck di Schumann e (solo a Bologna) il primo studio dell’op.25 di Chopin. Un programma di ampio respiro che Perahia ha eseguito quasi ovunque in modo impeccabile a partire dalla suite Bachiana in un perfetto stile pressoché senza pedale ad arrivare alle due composizioni di Haydn. Difficile da comprendere il rilievo sollevato dal Corriere musicale che contrappone il Bach di Sokolov a quello  “datato” di Perahia (e quello di Schiff – ospite regolare del Quartetto – e quello della Hewitt  dove li mettiamo allora?). A chi scrive sembrano tutti direi perfetti, senza sbavature stilistiche, suono cristallino, un pedale quasi inesistente e tempi staccati senza eccessi. Analogamente perfetta, senza sbavature anche l’esecuzione della celebre sonata beethoveniana con una misurata ma intensa espressività nel primo tempo (così tecnicamente semplice quanto interpretativamente arduo) e ovviamente lo scherzo chopiniano. E’ con piacere che si torna ad ascoltare la bellissima composizione di Franck (e speriamo di riascoltare presto anche il Preludio, Aria e Finale) che ingiustamente è scomparsa dai programmi dei grandi interpreti (purtroppo anche la musica ha le sue mode. Si pensi alla “resurrezione” nel caso di Schumann degli Album Blätter e delle Waldscenen – c’è la “c” al posto della “z” nell’Urtext – e al persistente oblio delle novellette per fare un esempio). Un brano fra i favoriti di Perahia che però ha avuto una riuscita differente a Milano e a Bologna (dimostrando – se mai ce ne fosse bisogno – che i pianisti non sono macchine). Mentre a Milano il preludio e il corale sono stati resi con perfetto equilibrio, in accordo con lo stile classico-romantico dei brani, a Bologna sono stati staccati tempi eccessivi con alcuni errori innecessari (uno molto evidente) a totale detrimento della riuscita complessiva. In entrambe le esecuzioni poi la fuga finale (e in particolare il finale dopo la ripresa del tema del preludio) ha avuto uno sviluppo farraginoso e l’eccessiva velocità ha tolto molto alla grandiosità dell’architettura del brano. A parte questo caso nei due concerti in questione Perahia ha evitato quegli eccessi dei tempi esecutivi che in altri casi hanno parzialmente inficiato le sue esecuzioni. Un pubblico straripante  nella sala del conservatorio di Milano (oltre 1200 posti) e consistente al teatro Manzoni di Bologna (dall’acustica molto peggiore)  che hanno giustamente tributato all’artista una standing ovation.

Stending OvationHappyHappy

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Alessandro Marchetti – Bologna S. Filippo Neri 6 Giugno 2015

Non profit bannerNon profit bannerUn giovanissimo (17 anni) che si presenta con un programma impegnativo (variazioni su un tema di Corelli di Rachmaninov, un preludio e fuga di Šostakovič e gli studi sinfonici di Schumann nella versione 1837, la stessa incisa da Pollini). Certamente un potenziale talento, con un’ottima tecnica e un approccio stilistico di buona qualità che ha avuto il suo momento migliore nel brano di Rachmaninov. La fuga di Šostakovič ha risentito di un eccesso di sonorità purtroppo amplificato dalla pessima acustica dell’oratorio dei Filippini. Buona (ma non eccezionale) l’interpretazione del brano schumanniano: qui l’ancora incompiuto processo di maturazione ha mostrato i suoi limiti soprattutto ricordando che il nome di “studi” in questo caso  poco ha a che fare con un’impostazione virtuosistica. L’ansia di mostrare le proprie capacità tecniche ha avuto in alcuni momenti il sopravvento impedendo alla musica di “respirare”, un fatto fondamentale per esprimere compiutamente il significato musicale di un brano. Questo è risultato evidente – ad esempio – nella seconda variazione dove le note puntate (così importanti in Schumann) non sono risultate tutte della stessa qualità e incisività. Nella terza variazione (studio) la mano destra è mancata in alcuni passaggi. La settima variazione è stata eseguita senza respiro e analogo rilievo può essere addotto per il finale della composizione. Insomma un giovane molto promettente per il quale possiamo solo auspicare che dedichi tutto il tempo necessario a una maturazione ancora in via di sviluppo senza cedere alle lusinghe di scritture che corrono il rischio di avere una negativa incidenza per il suo futuro pianistico. Un giovane che vorremmo riascoltare fra qualche tempo nell’auspicio che i comprensibili  limiti attuali siano ampiamente superati. Un bis di Skrjabin.
 Happy
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Krystian Zimerman – Bologna 2 Giugno (e Imola Circolo della Musica 22 Maggio) 2015

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E’ con grande piacere che abbiamo potuto finalmente riascoltare un grande artista (vincitore dello Chopin 1975) purtroppo affetto da gravi problemi di salute che l’hanno costretto quest’anno alla cancellazione di molti concerti. Ho atteso il concerto di Bologna, dopo quello di Imola (con lo stesso programma) prima di scrivere una recensione.
Zimerman
E certamente non sono mancati elementi di differenza: mentre nel concerto di Imola i brani venivano eseguiti solo per la seconda volta in pubblico (con musica sul leggio peraltro presente anche a Bologna) nel concerto bolognese si è potuto notare quell’affinamento che solo l’esperienza di concerti ripetuti può garantire. Zimerman (che suona solo sul suo pianoforte che viaggia insieme a lui su un apposito van, come facevano Michelangeli , Bolet etc.)  è uno di quei pianisti che eccellono in tutto il repertorio che eseguono e che spazia dal ‘700 al ‘900 non trascurando compositori meno noti della sua patria di origine (i.e. LutosławskiBacewicz etc.).  Nei concerti in questione ha eseguito un programma interamente schubertiano: oltre alle brevi e giovanili 7 variazioni in sol maggiore, la sonata n. 20 in la maggiore D959 del 1828 e la sonata n. 21 in si bemolle maggiore D960 entrambe del 1828 (anno della sua morte). Due grandi, ultimi capolavori del compositore viennese. La sua letteratura, la cui rinascita concertistica si deve in larga misura ad Artur Schnabel,  è oggi elemento normalmente presente nei concerti sia solistici che sinfonici, ma  l’apparente semplicità delle melodie (come avviene anche nel caso di Mozart) nasconde spesso grandi insidie interpretative per trovare il giusto corso fra rigore stilistico (non infrequentemente trascurato da molti esecutori) ed espressività. Le interpretazioni di Zimerman sono state di grande spessore in piena sintonia con il dettato schubertiano con un particolare plauso ai due adagi nei quali tutta la bellezza dell’ordito musicale è stato fatto risaltare con un sapiente dosaggio dei colori pianistici. I due primi tempi delle sonate hanno un po’ sofferto di tempi eccessivi che – almeno nella parte di sviluppo della forma sonata – hanno sottratto alcune sfumature all’espressività. Ma si tratta di un piccolo, trascurabile neo nell’insieme di una grande prestazione. Non apprezzabile (anche se parzialmente comprensibile)  il rifiuto di un bis al termine del concerto: il pubblico pagante ha i suoi diritti ma “noblesse oblige”…….
 HappyHappy
PS Purtroppo ancora una volta era presente in sala una non piccola folla di “pellegrini” (eufemismo…) che a causa di una evidente orticaria alle mani ha sentito il bisogno di applaudire alla fine del primo tempo della prima sonata. Che dire: una riprova dell’ignoranza abissale in fatto di musica che decenni di assenza di educazione musicale “seria” nelle scuole ha provocato?
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Francesco Libetta – Bologna Conoscere la musica sala Mozart Filarmonica 9 Aprile 2015

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A causa di “hacking”  probabilmente da parte di supporter di Libetta mi vedo costretto a ripubblicare il post che è stato cancellato. Inutile affannarsi a ricancellarlo: lo ripubblico.
Concerto difficile da recensire questo di Francesco Libetta che nel suo sito non può citare alcun premio vinto, accampa un repertorio che neppure il grande Daniel potrebbe vantare (farebbe più presto a indicare tutta la letteratura pianistica!) ma cita entusiastici commenti di autorevoli critici (anche se le fonti andrebbero sempre indicate…).  Un concerto molto discontinuo tutto incentrato sul repertorio classico-romantico (Beethoven, Liszt e Chopin), che richiede una disamina puntuale. Tralasciando le giovanili variazioni Beethoveniane sull’aria “nel cor più non mi sento” di Paisiello la cui semplicità non permette un giudizio, si passa alla trascrizione di Liszt di temi di Mercadante. Qui i tempi staccati sono risultati insufficienti, limite insopportabilmente accentuato nei 5 brani di Chopin (les trois  valses  brillantes op. 34, il notturno op. 27 n.1 e lo scherzo op 39). Di brillante i tre walzer non hanno avuto proprio nulla, strascicati con tempi esasperatamente allargati (si pensi ad esempio al primo walzer, opera per sua natura proprio “brillante”) che hanno reso addirittura  il secondo valzer una sorta di nenia interminabile e lamentosa togliendole quel senso di malinconia e tristezza che nulla concede alle sbavature. Per non dire delle “varianti” inserite arbitrariamente (una reminiscenza probabilmente  di Godowsky che se proprio voluta doveva per lo meno essere segnalata). Giudizio analogo (tempi e varianti) per il notturno e lo scherzo (dove i drammatici passaggi di ottave più ardui sono stati resi con una flemma che lascia sospettare una incertezza tecnica). Insomma uno Chopin svenato e svenevole che farebbe pensare a un compositore fiaccato dalla tubercolosi e non allo spirito indomito del compositore polacco (a riprova si pensi al vigore delle sue ultime composizioni, ad esempio alla sonata per pianoforte op. 58 o alla sonata per violoncello e piano op.65 e al suo turbolento rapporto con George Sand).  Anche il lisztiano Mephisto-Walzer ha sofferto delle stesse incertezze. Forse l’esecuzione relativamente migliore è stata quella dell’op. 109 di Beethoven (anch’essa piagata purtroppo da lentezze eccessive nel primo tempo) e segnatamente le variazioni dell’ultimo tempo dove l’esposizione del tema – ad esempio –  è stata di eccellente qualità. Il pianismo di Libetta non si colloca certo ai vertici internazionali ma, pur con gli eccessi già citati (cui aggiungere che per Libetta non esistono mf, che ogni f è trasformato in un sff spesso rischioso per il sistema acustico degli spettatori e che è sua costante scorretta prassi lo squilibrio temporale delle due mani) rientra in un onesto professionismo di medio livello che ha certamente un suo pubblico (non certo quello delle grandi sale da concerto) e una sua ragion d’essere. Due bis, di cui uno veramente virtuosistico (ma se dispone di questa tecnica perché non l’applica dove necessaria?) di autori al sottoscritto ignoti. Inutile rimarcare che l’educazione di un esecutore dovrebbe imporgli di annunciare i brani eseguiti evitando di trasformarli in una sorta di indovinello, a meno che non si tratti di pezzi stranoti. La solita – imposta – introduzione “musicologica” che però, purtroppo, sfuma quasi sempre in una sorta di aneddotica storico-musicale senza entrare nel significato dei brani risultando pertanto di totale inutilità, al di là della buona volontà del relatore. Inizio ancora una volta in ritardo: l’orario d’inizio è simile ai semafori di Napoli che, come mi disse una volta un taxista, è  solo  ‘no suggerimiento. Successo presso il non folto pubblico.
 SadSadSad
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Ars Trio di Roma – Bologna S.Filippo Neri 25 Maggio 2015

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Nelle formazioni cameristiche il trio con pianoforte riveste una grande importanza come esempio di perfetta fusione fra i tre strumenti principe della musica da camera (e non solo).  In questa ottica l’Ars trio di Roma ha fornito una eccellente prestazione con l’esecuzione di tre composizioni, due “classici” (“L’Arciduca” di Beethoven e il trio di Mendelssohn op. 49) e l’interessante “trio in tre movimenti” di Mauricio Kagel. Cominciando da quest’ultimo si può affermare che è un intreccio di stili nel quale si ritrovano gli approcci di Cage (le corde del piano pizzicate a mano), impostazioni melodiche (nel primo tempo) e inflessioni    legate alla locazione geografica del compositore. Una composizione che non manca di sezioni di grande qualità ma che soffre di una eccessiva lunghezza. Gli altri due trii eseguiti (e segnatamente quello di Mendelssohn) sono, come quasi sempre accade, una sorta di concerti per piano con accompagnamrnto di archi. In quello appena citato è spiccato l’ottimo pianismo di Laura Pietrocini che ha trascinato il trio in un crescendo travolgente culminato in un finale virtuosistico che ha giustamente suscitato l’entusiasmo del pubblico in sala. Forse meno brillante è stata l’esecuzione del trio beethoveniano con tempi eccessivamente rilassati che pur permettendo forse una maggiore espressività hanno però sfilacciato l’ordito complessivo della composizione. Un meritato successo.

 HappyHappy

PS Nel clima censorio musicale della provincia bolognese, con il “pactum sceleris” fra istituzioni musicali e giornali per abolire l’odiata e temuta recensione, la modestissima flebile voce libera e indipendente di Kurvenal (moderno Bérenger musicale in sedicesimo – Ionescu – che tenta di resistere al dilagante rinocerontismo) con il suo modesto successo è indigesta. Naturalmente il dissenso su quanto riportato sul blog non solo è lecito ma addirittura – se fondato – necessario essendo il dibattito stimolato e ricercato (ma questo comporterebbe l’ammissione di leggere il blog, colpa sufficiente per essere oggetto di ostracismo, come nei regimi totalitari…). Invece nella cultura imperante del “dietrismo” tutto italiano le uniche domande che ci si pone sono “quale è il suo fine nascosto” oppure “di quali agganci gode” oppure “chi c’è dietro“. Lor signori (“vostre eccellenze che mi stanno in cagnesco”) si tranquillizzino: dietro al sottoscritto ci sono solo io che non fruisco (e mai vorrei fruire) di abbonamenti gratuiti (in questa ottica ci piacerebbe sapere se i membri del consiglio di indirizzo si pagano, come dovrebbero, i propri abbonamenti) o di altri favori, che diplomato in pianoforte a Bologna a pieni voti sono appassionato di musica classica e operistica, che non ho inconfessabili scopi nascosti, che devolvo una non indifferente parte del mio stipendio all’acquisto dei biglietti a prezzo pieno e che dedico una parte del mio tempo al blog per recensire spettacoli cui ho assistito….  Senza sconti per nessuno, però.
 Sad
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Cameristica, Recensioni

Thiemann Rambaldi – Goethe Zentrum 24 Maggio 2015

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Un concerto interessante di due giovani concertisti: il violoncllista Felix-Eugen Thiemann e la pianista Francesca Rambaldi impegnati in un concerto di ampio respiro, con una sonata di Beethoven, un brano di Schumann, la sonata di Debussy e la suite di De Falla.  Certamente un duo affiatato ed esuberante con una qualità del violoncellista che promette un grande futuro mentre più discutibile è il valore del pianismo della Rambaldi.  Il limite di Thiemann è forse proprio l’eccesso di confidenza nei propri mezzi che lo porta talvolta, nei passaggi più impegnativi (ad esempio in Schumann), a errori che potrebbe facilmente evitare. Ha un bel suono pieno che però talvolta non riesce a modulare per i piani dando luogo a una esecuzione molto muscolare che meriterebbe invece una maggiore articolazione espressiva. Un discorso simile vale per la pianista che non ha  brillato nelle sue esecuzioni e che ha molto spesso ha coperto con una eccessiva sonorità il suono del violoncello (segnatamente all’inizio della sonata di Debussy che fra i brani eseguiti è stato quello di minore qualità). Cionondimeno il concerto è stato godibile e molto apprezzato dal  pubblico purtroppo non folto, anche per l’assenza di qualunque informazione sui quotidiani locali. Non solo assenza di recensioni ma addirittura assenza delle informazioni. Si impone quindi per i validi concerti del Goethe Zentrum (l’unica istituzione a Bologna che organizzi ancora concerti di Lieder!) una maggiore penetrazione capillare eventualmente attraverso accordi con le istituzioni principali. Due consigli per il futuro di questi concerti: rinunciare assolutamente alle presentazioni da parte degli esecutori dei brani eseguiti che sono inutili e spesso  noiose e dilettantistiche (il pubblico poi non è sprovveduto!) e tenere socchiuso il coperchio del pianoforte, data l’ acustica non perfetta della sala.

Happy

PS A margine di questa breve recensione debbo segnalare come l’atteggiamento del mitteleuropeo Goethe Zentrum differisca dal provincialismo di altre istituzioni bolognesi. Mentre una recensione negativa (e ne ho redatte!) di un suo concerto viene accettata serenamente nel rispetto della libertà di opinione e comunque con atteggiamento di gratitudicne per la partecipazione,  una critica negativa di uno spettacolo del teatro comunale è sentita dal management come un delitto di lesa maestà. Ogni commento è superfluo.
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Cameristica, Recensioni

Gloria Campaner – Bologna S. Filippo Neri 13 Maggio 2015

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Gloria Campaner è una pianista certamente dotata musicalmente, fornita di una eccellente tecnica che trova i suoi accenti migliori nei brani a forte componente virtuosistica (nel caso specifico i Morçeaux de fantasie op.3 di Rachmaninov e i due brani di Skrjabin, lo Studio in do minore op.2 n1. e il poema di ispirazione apocalittica Vers la flamme op. 72) nei quali ha saputo fare rivivere lo spirito così diverso e contrastante dei due compositori russi con tutti gli accenti drammatici e lirici che essi comportano.  Un discorso diverso vale invece per Schumann dei quali ha eseguito le  Humoreske op. 20  e le Kinderszenen op. 15. Qui, soprattutto nelle Kinderszenen, l’eccessivo sforzo interpretativo ha stravolto, negli episodi cantabili, lo stile musicale schumanniano. Interpretare” non significa sostituirsi allo spirito del compositore, strascicando oltre misura i tempi, forzando armonie non specificamente indicate, utilizzando artifici quali la disincronia delle mani etc.: l’alone favolistico e onirico che pervade le Kinderszenen non può essere considerato un alibi per qualunque libertà. Un brano musicale può essere assimilato a una carreggiata larga da percorrere (lo stile), ma entro la quale è necessario mantenersi. L’esecutore ha la possibilità di definire il corso all’interno che ritiene migliore (e in questo si misura la qualità dell’esecuzione) ma non ha il diritto di debordare, come invece la Campaner ha fatto. Non è assolutamente necessario che ad ogni nota debba esser data una specifica, determinata espressione spezzando di fatto il filo logico del brano ma la musica deve poter correre, naturalmente guidata e indirizzata dalla sensibilità dell’esecutore. Come sempre vi sono grandi e famose esecuzioni delle Kinderszenen da analizzare (e qui citerei la magistrale e stilisticamente inappuntabile interpretazione della grande Marta), non ovviamente da copiare ma da considerare come spunto da cui prendere esempio. Migliore è stata comunque l’esecuzione dell’altro ciclo schumanniano, le Humoreske, brano non spesso frequentato, che non ha sofferto degli stessi eccessi delle Kinderszenen e che ha in buona (non perfetta…) misura rispettato il dettato del compositore di Zwickau.  Il giudizio sulla Campaner è quindi parzialmente positivo nella speranza che la maturazione porti a risultati che sono certamente alla sua portata ma che richiedono un approfondimento dello spirito e un rispetto dello stile delle composizioni eseguite. Di certo vi sono esempi di pianisti più giovani (ad esempio Lisiecki o Blechacz) che tale maturazione hanno già portato a termine e il confronto, al momento, è sfavorevole alla Campaner. Due bis e ottimo successo di pubblico. Due clamorosi strafalcioni nel programma di sala: Curiose Keschichte (senza senso) al posto di Curiose Geschichte “storia curiosa” ma soprattutto la traduzione di  Bittendes Kind che significa “bambino che chiede” e non “bambino che prega” (che sarebbe Betendes Kind)….Ma per fortuna in questa serie ci è almeno risparmiata l’ “introduzione musicologica”  permettendo un inizio quasi puntuale e una conclusione in orari accettabili secondo gli standard europei.

Happy

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