Cameristica, Recensioni

Aaron Pilsan- Bologna Pianofortissimo 29 Giugno 2017

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Continua la sfilata di giovani “promesse” a pianofortissimo. Questa è la volta del ventiduenne pianista austriaco Aaron Pilsan al suo debutto in Italia. Un programma che presenta un autore inconsueto per il piano, Enescu, più noto fra i violinisti. Un brano oggettivamente non esaltante che fa parte di quella schiera di composizioni che oggi si estraggono come fanno i prestigiatori con i  conigli dal cilindro per variare il repertorio con esiti non sempre convincenti. Il pianismo di Pilsan è di buona qualità e supportato da una buona tecnica ma specialmente in Bach piuttosto scolastico a metà strada fra una visione filologica e una più moderna. Ampio uso del pedale ma poi una uniformità di sonorità che vorrebbe ricordare quella del clavicembalo: insomma una esecuzione piuttosto priva di personalità. Tralasciando il brano di Enescu eseguito in modo diligente un migliore risultato si è avuto con Schubert. Qui Pilsan ha dimostrato una certa maturità interpretativa che fa ben sperare ma che è lungi dall’essere giunta a compimento. Ma la giovane età permette di ben sperare se avrà l’umiltà di studiare senza farsi fagocitare dallo star system spcializzato in “usa e getta”. Tre bis: l ‘”arabesque” di Schumann e gli studi di Chopin 1 e 12 dell’op. 25.
A Berlino nessuno in sala si permette di accendere il telefonino durante le esecuzioni anche perché viene preventivamente redarguito in materia. Possibile che non si possa ottenere lo stesso risultato in Italia?
PS Un “blogger” non è un oracolo e commette inevitabilmente errori (il minimo possibile..). Ricevo spesso “correzioni” non sempre fondamentali e non sempre precise. Così come io mi sottopongo al giudizio altrui con nome e cognome così chi vorrà avere la bontà di segnalarmi eventuali errori o imprecisioni dovrà farlo unicamente mandando un commento: a ognuno la propria responsabilità.
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Programma 
JOHANN SEBASTIAN BACH (1685-1750)  Suite francese n. 1 in re minore BWV 812
GEORGE ENESCU (1881-1955) Suite n. 3 op. 18 “Pièces impronptues”
FRANZ SCHUBERT (1797-1828) 
Sonata n. 19 in do minore D 958 (op. postuma)

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PS  Vorrei ringraziare tutti coloro che inseriscono commenti  ai posts utilizzando l’opzione “Lascia un commento”  (o “commenti” se ne sono già stati inseriti) prevista nella sezione sinistra (o prima del testo per schermi ridotti come i tablets) dei posts stessi affinchè tutti possano leggerli.  Il dibattito è sempre interessante per tutti…..grazie (è indispensabile lasciare nome e cognome – i commenti anonimi non saranno pubblicati)!!
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Daniel Petrica Ciobanu – Bologna Pianofortissimo 27 Giugno 2017

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Peccato, peccato. Ciobanu è un abbastanza giovane pianista (25 anni) che ha una mano molto felice come dimostrato nel brano di Silvestri e nel bis di stile jazzistico, che non sempre però domina appropriatamente. È pianista che non ama le mezze misure e i mezzi toni ma che ama al posto dei chiaroscuri il contrasto violento di sonorità e che in alcuni casi non rifugge da atteggiamenti un po’ istrionici quando non manieristici. Si inizia con il brano chopiniano, forse quello maggiormente ben riuscito nel quale la componente virtuosistica, così forte, permette a Ciobanu di mettere in mostra le sue doti tecniche. Si tratta di composizione relativamente giovanile (come ad esempio quella per violoncello e pianoforte op. 3) dove l’esuberanza tecnica prevale ampiamente su quella interpretativa (a parte – forse – il non bellissimo andante spianato mutuato in parte da una versione orchestrale oggi del tutto dimenticata). Tutt’altro discorso per l’op. 57 di Beethoven, un cavallo di battaglia di tutti i grandi pianisti. Una interpretazione non priva di momenti felici ma che ha invece il suo punto di caduta nell’allegro finale e in particolare nel prestissimo terminale nel quale a causa di tempi quasi ineseguibili (ricordo solo Emil Gilels in grado di sostenere quella velocità) tutto il discorso musicale – nel quale deve comunque risaltare il tema del rondò – si sbrodola in una serie confusa di suoni. Inutile dire che il solito pubblico di bocca buonissima applaude con addirittura una carneade che urla “bravo” a scena aperta: in fondo basta suonare forte e in fretta un brano musicalmente noto e il successo è garantito. Lo stesso discorso vale – in tono peggiorativo – per i quadri di Mussorsky. Qui i difetti tecnici non si contano. In Gnomus la scala per moto contrario finale viene reiniziata per un grave errore; in Bydlo le due mani non suonano all’ unisono, un vezzo che talvolta i pianisti usano, ma con moderazione e che qui diventa elemento fondamentale interpretativo; nella ballata dei pulcini il ribattuto non si percepisce e infine nella capanna di Baba Yaga e nella porta di Kiev si sprecano le ottave sbagliate. Insomma un pianista che spreca il proprio talento per la ricerca di esasperata di effettacci quando invece le sue doti potrebbero permettergli ben altri risultati. Si può dire che è giovane ma non dimentichiamo che oggi si vince lo Chopin a venti anni e che c’è un’intera schiera di pianisti più giovani che il percorso di maturazione hanno già portato a termine.
A Berlino nessuno in sala si permette di accendere il telefonino durante le esecuzioni anche perché viene preventivamente redarguito in materia. Possibile che non si possa ottenere lo stesso risultato in Italia?
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Programma 
F.Chopin Andante spianato e grande polacca brillante op. 22
L. v. Beethoven Sonata n.23 op. 57  “Appassionata”
C. Silvestri Baccanale
M. Mussorski Quadri da un’esposizione

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Igor Levit- Berlino Philharmonie Kammersaal 20 Giugno 2017

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Ecco come si confeziona un concerto totalmente sbagliato. Fare seguire la variazioni Diabelli (55 minuti) da un polpettone di 62 minuti vuol dire non capire nulla di concerti. Se poi l’esecutore, dotato di ottima tecnica, eccede virtuosisticamente nelle variazioni brillanti e sbrodola impietosamente in quelle più intimistiche il risultato è scontato. Di fatto (e naturalmente la cosa vale per le Diabelli in primis ma anche per il polpettone) viene a mancare totalmente la linea che dovrebbe legare lo sviluppo del brano che diventa una sequenza di episodi fra loro staccati privi di unitarietà. Che poi il motivetto del “pueblo unito jamàs sarà vencido” (non peggiore peraltro del valzerino di Diabelli) possa costituire nelle mani di un compositore di certo non all’altezza di quello di Bonn la base per una serie di variazioni interminabili, fra loro slegate, dice tutto. Peccato perché Igor Levit ha indubitabili potenzialità ma sperperate nella ricerca di effettacci che snaturano i brani eseguiti. E le 36 (trentasei!) variazioni di Rzewski si apprestano a entrare rapidamente nel dimenticatoio della storia musicale.
La clacque esiste anche a Berlino (v. il polpettone). A Berlino però nessuno in sala si permette di accendere il telefonino durante le esecuzioni anche perché viene preventivamente redarguito in materia. Possibile che non si possa ottenere lo stesso risultato in Italia?
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Programma 
Ludwig van Beethoven Diabelli-Variationen op. 120
Frederic Rzewski   36 Variations on The People United Will Never Be Defeated!

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Denis Kozhukin- Berlino Boulez Saal 15 Giugno 2017

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Diciamo subito che il russo Denis Kozhukin è un pianista interessante, che nel suo palmarés ha la vittoria a Brussels nel 2010 nel concorso della regina Elisabetta e in seguito ha svolto una carriera internazionale che lo ha portato ora a Berlino (naturalmente – per quanto ne so – non Italia dove molto spesso nelle grandi rassegne si invitano sempre gli stessi stagionati e consolidati artisti. Mai rischiare!). Il concerto di Berlino (tenuto nella bellissima, nuova sala dedicata a Pierre Boulez – di fianco alla Staatsoper – che di per sé merita una visita e che ospita una interessantissima serie di concerti di giovani e stagionati artisti) ha coperto una larga prospettiva temporale da Händel allo stesso Boulez passando per Brahms e Bartòk. La scuola di Kozhukin è una tipica scuola slava che non fa del rispetto filologico dei brani la principale, unica cifra interpretativa ma che evita gli eccessi cui tante volte abbiamo assistito per pianisti della stessa scuola. Händel, ad esempio, non mi ha totalmente convinto per la presenza costante di pedale e di coloriture ma di certo è stata esecuzione più che passabile. Il Brahms di Kozhukin è estremamente intimistico e – specialmente nel primo intermezzo – forse eccessivamente lento. Nel secondo intermezzo – uno dei miei favoriti con le sue costanti modulazioni che tanti studi musicologici hanno stimolato – la cifra interpretativa è stata quella giusta mentre ancora un eccesso di lentezza è stata riscontrata nel terzo intermezzo. Toni estremamente sfumati in tutti e tre i casi e quindi molto vicini a quelli che Brahms ha definito in un caso “la ninna-nanna del mio dolore” e in un altro caso “l’espressione del mio dolore”. Perfetta invece l’esecuzione di Bartòk, forse una delle migliori interpretazioni del compositore ungherese cui ho assistito, in cui tutti gli effetti timbrici e percussivi sono stati messi in perfetto risalto. Nella seconda parte del concerto è stata eseguita la seconda sonata di Boulez, una sonata che risente moltissimo dell’influsso di Webern con la sua architettura composta da episodi che appaiono nella maggioranza dei casi staccati e che solo a un ascolto più approfondito rivelano una qualche unità strutturale. Composizione comunque del giovane Boulez con tutti i limiti inevitabili e per uno strumento che da lì a poco sarebbe stato definitivamente abbandonato dal compositore francese, dopo l’esperimento finale di una sonata (la terza – rarissimamente eseguita) per la quale ogni esecutore può comporre a suo piacimento un ordito sulla base di molteplici episodi disponibili. Un’esecuzione di tutto rispetto, comunque, per un brano monumentale con i suoi 40 minuti di durata. Kozhukin non suona a memoria mentre io ricordo perfettamente una favolosa serata del 1975 a Firenze con Pollini che suonò le Variazioni Diabelli e la seconda sonata di Boulez a memoria. Ma quelli erano altri, favolosi tempi del pianista milanese. Un solo bis, una sonata di Scarlatti, e un grande successo da parte di una sala gremita in tutti gli ordini di posti.
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GEORG FRIEDRICH HÄNDEL  Suite Nr. 7 g-moll HWV 432
JOHANNES BRAHMS Drei Intermezzi op. 117
BÉLA BARTÓK  Szabadban «Im Freien» / Klavierzyklus Sz 81
PIERRE BOULEZ Sonate Nr. 2

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Kashimoto Gerstein Grosz Delepelaire Mayer Dohr – Berlino Philharmonie 13 Giugno 2017

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Un tipico concerto “polpettone” con vari artisti in formazione variabile, tutti singolarmente di ottimo livello (purtroppo Kavakos è stato all’ultimo momento sostituito con Kashimoto per problemi familiari), ma chiaramente assortiti all’ultimo momento e quindi privi di quell’affiatamento necessario alla musica di insieme. Un concerto quindi difficile da giudicare con i brani di Schumann per oboe famosissimi (praticamente insieme al concerto di Strauss gli unici eseguiti regolarmente, anche se i concerti per fiati sono merce rarissima soprattutto in italia – provincialismo imperante) e il trio di Brahms con il corno un chicca anch’essa raramente eseguita. Bravi ma senz’anima si potrebbe dire. Da legante ha fatto il pianista russo Gerstein, recentemente ascoltato al Ravenna Festival, una personalità molto interessante che ha anche come peculiarità quella di utilizzare per la musica al posto dello spartito cartaceo quello elettronico, una prassi ancora piuttosto poco diffusa ma che ha il vantaggio di evitare il “voltapagine”- Bravo comunque ma bisognerebbe avere l’occasione di ascoltarlo in un concerto solistico per farsene una idea precisa. Vale lo stesso discorso di Hamelin: perchè i nostri provincialissimi organizzatori bolognesi di concerti non si fanno ogni tanto un viaggio e vengono a confronto con eccellenze note solo all’estero? Buona anche l’esecuzione del magnifico quartetto con piano di Brahms: purtroppo il confronto va alla famosissima ed eccezionale, stellare esecuzione della formazione Argerich, Kremer, Bashmet e Maisky e in questo caso per il confronto non c’è partita. Insomma una buon concerto, dal programma interessante ma forse non dei migliori che la Philharmonie può offrire.
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Programma
Robert Schumann  Drei Romanzen für Oboe und Klavier op. 94
Johannes Brahms  Horntrio Es-Dur op. 40
Johannes Brahms Klavierquartett g-Moll op. 25

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Pape Radicke – Milano La Scala 5 Giugno 2017

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Ci sono cantanti che cantano bene ancora prima di avere visto un rigo musicale, per una dote naturale della voce: ne è stato una grande esempio Pavarotti e lo stesso vale per René Pape, un basso straordinario con una carriera straordinaria. Pape ha una voce che può essere modulata da toni lirici a espressioni di grande potenza con tutti le variazioni intermedie. E importantissima è anche la sua esperienza operistica (così come era per Schade, il tenore dei recenti Meistersinger che per motivi di salute non ha potuto esprimere al meglio le sue qualità) che gli permette di aggiungere all’esecuzione quella gestualità che è complementare ma importantissima per sottolineare il testo dei Lieder. Come si evince dal programma Pape ha eseguito un repertorio assolutamente vasto coadiuvato da un pianista in grado di assecondarlo in ogni sua interpretazione. Un concerto di grande qualità, di lunga durata, molto applaudito da un pubblico piuttosto cospicuo per un concerto vocale liederistico. Tre bis, l’ultimo dei quali – inusitatamente – un melologo. Insomma una serata di grande musica degna della tradizione della Scala.
Sono ovviamente devastato dal non avere assistito al concerto nazional-popolare diretto dallo stellare direttore Ezio Bosso: ho dovuto accontentarmi del recital di Pape…. Leggo però sul Corriere di oggi (solo lì peraltro) di un trombonista dell’orchestra del teatro che durante le prove ha usato il cellulare e del ritorno di un sindacalismo d’accatto di alcuni professori riguardo gli orari delle prove etc. Il malcostume degli strumentisti che vanno e vengono dal palco dell’orchestra (tipicamente i percussionisti ma non solo) è purtroppo piuttosto diffuso anche all’estero (ma non ovunque: mai succede con i Berliner!) ma mai avevo assistito o letto di telefonate in corso d’opera. È pura e semplice maleducazione (o peggio stupidità da orchestra del “bal tabarin”) così come le pretese sugli orari delle prove sono il ritorno di un malcostume che manda in bestia (a ragione) tutti i direttori. Gli strumentisti non dovrebbero essere travets “tira-archetto” ma artisti e comportarsi come tali. Ho ripetutamente scritto sull'”affaire” Bosso esprimendo tutta la mia contrarietà e sostenendo quindi di fatto la posizione dell’orchestra, ma questi atteggiamenti la fanno immediatamente passare dalla parte del torto. I dissensi richiedono serietà altrimenti diventano dispettucci e come tali vengono giustamente giudicati. Possibile che non lo si capisca?
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Programma:
W. A. Mozart
Die ihr des unermesslichen Weltalls Schöpfer ehrt” KV 619 – Eine kleine deutsche Kantate (in Tedesco da F. H. Ziegenhagen)
Hugo Wolf
Michelangelo Lieder
Wohl denk ich oft an mein vergangnes Leben
Alles endet, was entstehet
Fühlt meine Seele das ersehnte Licht
Franz Schubert
Da „Schwanengesang“ D 957
Das Fischermädchen
Am Meer
Die Stadt
Der Doppelgänger
Ihr Bild
Der Atlas
Giacomo Meyerbeer
La Chanson de Maître Floh
Modest Musorgskij
Mephistopheles’ Song in Auerbach’s Cellar
Faust – Song of the Flea (in Francese)
Jean Sibelius
Der erste Kuss (Runeberg/in Tedesco da Tilgmann) op.37/1
An den Abend (Koskimies/in Tedesco da Boruttau) op.17/6
Im Feld ein Mädchen singt (in Tedesco da M.Susman) op.50/3
Schwarze Rosen (Josephson/in Tedesco da Tilgmann) op.36/1
Der Span auf den Wellen (Calamnius/in Tedesco da Boruttau) op.17/7
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Elena Nefedova – Talenti Bologna Festival 19 Maggio 2017

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Fin dalle primissime batture del brano lisztiano di apertura ho avuto la sensazione di trovarmi di fronte a una giovane pianista di grandi qualità. Elena Nefedova è l’antitesi di quel pianismo muscolare e volgare rappresentato dal macellaio Matsuev. Qui siamo invece in presenza di una esecutrice che fa della riflessione e della misura la sua cifra interpretativa, caratterizzata dalla costante ricerca delle sfumature e del filo musicale  dei brani in programma. E anche laddove potrebbe scatenare la sua potenza tecnica (che esiste, come comprovato dallo scherzo di Chopin e dall’ultimo brano lisztiano eseguito) è sempre la musicalità che ha la “upper hand”  a riprova della maturità della pianista russa. La Nefedova si incrive nel solco di pianisti come Lupu e Brendel che rifuggono dagli “effetti speciali” e inserisce la propria interpretazione nell’alveo dello stile le cui sponde delimitano i confini che ogni artista non deve superare. Poi, naturalmente, ci sono aspetti che possono essere discussi e migliorati. Ad esempio l”esecuzione dei notturni chopiniani ha sofferto di tempi troppo rallentati: la ricerca della sonorità perfetta non può essere ottenuta a scapito dello smarrimento del filo conduttore del brano. La giovane età della pianista è la garanzia che se non smarrisce le qualità che oggi la contraddistinguono avrà una luminosa carriera nel suo futuro. Due bis e ottimo successo di pubblico. Un ultimo plauso: per una volta una pianista che non ha messo in luce le drammatiche carenze acustiche dell”oratorio dei Filippini. 
Piccola postilla (non scientifica..) – Diceva Ugo la Malfa “le dimissioni si danno, non si minacciano”. Leggo questa mattina su Repubblica che Bosso ha stabilito un altro record: le dimissioni “raccontate”. Ovvero le dimissioni sparate alla stampa ma poi – per una secondaria dimenticanza, ovviamente…. – mai formalizzate. Insomma una sorta di iannacciano “dimissioni: vediamo l’effetto che fa”. Intanto una schiera di gonzi ha abboccato dibattendo sulle dimissioni virtuali. Un altro capitolo di una farsa recitata da un “direttore” da  festival di Sanremo.
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Programma
Franz Liszt  Les jeux d’eau à la Villa d’Este  da Années de pèlerinage, Troisième Année
Fryderyk Chopin Notturno in do minore op.48 n.1, Notturno in fa diesis minore op.48 n.2 , Scherzo n.2 in si bemolle minore op.31 
Ludwig van Beethoven Sonata in mi bemolle maggiore op.27 n.1 “Quasi una fantasia”
Franz Liszt  Sonetto 104 del Petrarca da Années de pèlerinage – Deuxième Année, Italie, Parafrasi da concerto sul “Rigoletto” di Verdi 
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Theresia Youth Orchestra Chiara Banchini – Bologna Festival 17 Maggio 2017

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Ho scritto anche troppe volte sulle orchestre barocche in grandi sale da concerto: è anche il caso del concerto della Theresia Youth Orchestra. Strumenti barocchi, esecutori in piedi etc. etc. dovrebbero riprodurre quello che erano i concerti del ‘700 che però si svolgevano in piccole sale, con pubblico ridotto etc. etc.  Ciò premesso va detto che l’esecuzione è stata di buona qualità trascinata dalla Konzertmeisterin Banchini, al violino in tutti i brani. Un’orchestra giovane con alcune eccellenze (ad esempio il primo fagotto) che ha dato luogo a concerto molto godibile purtroppo in presenza di un pubblico molto ridotto (finale di Coppa Italia…). Certamente il concerto avrebbe avuto molta maggior ragion d’essere in un ambiente più adatto alle sonorità settecentesche. Ma  – come sempre – si fa di necessità virtù…. Un bis e buon successo di pubblico.

PS Esce oggi un comunicato stampa del comune in cui il sindaco Merola prende posizione in modo molto deciso in favore di Bosso (annullando addirittura il previsto concerto del 5 Giugno) nella “querelle” che lo oppone  ai 51 orchestrali firmatari della lettera di cui avevo parlato ieri nel mio post “Ri-Bosso“: non posso che confermare il mio (modestissimo) supporto ai 51. Con Bosso siamo in presenza di una cinica operazione di marketing sulle disgrazie di una persona i cui meriti musicali sono inversamente proporzionali alla gravità della sua malattia.  Fra l’altro nel comunicato stampa si cita per due volte il consiglio di amministrazione del teatro… che non esiste (esiste solo il comitato di indirizzo dopo la riforma!) e si invoca una nuova figura nel teatro: il direttore del personale. Il che la dice lunga sull’approssimazione con cui una materia così delicata viene affrontata: una disputa di bassissimo livello da modesto e insignificante teatro di provincia quale è diventato il glorioso teatro comunale di Bologna Un solo punto positivo nel comunicato: la volontà di regolamentare una volta per tutte il rapporto fra il teatro e la filarmonica del teatro, una problematica lasciata marcire a lungo dalla passata e presente sovrintendenza in nome del “laissez faire” e del “queta non movere” a fronte di patenti violazioni degli accordi che prevedono che la filarmonica non possa suonare in opere liriche (e in Giappone cosa fa? turismo musicale?).
In tutto questo bailamme che fa  Mariotti, convitato di pietra? Se ne sta sdegnosamente in disparte come Sicheo, (probabilmente a ragione)?

PPS Su suggerimento della prof. Marcucci nel suo commento, sarebbe bene ricordare che il molte realtà il direttore di un’orchestra deve ricevere il gradimento dell’orchestra stessa, e in certi casi (Berliner) addirittura il direttore è scelto dall’orchestra.
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Programma
Franz Joseph Haydn  Ouverture da “Armida”
Franz Joseph Haydn  Sinfonia n.89 in fa maggiore Hob I:89
Luigi Boccherini  Ouverture in re maggiore op.43 G 521
Luigi Boccherini  Sinfonia in re maggiore op.42 G 520
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Grigorij Sokolov – Musica Insieme Bologna 15 Maggio 2017

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Nella prima satira di Orazio si legge “sunt denique certi fines quos ultra citraque nequit consistere rectum” (ci sono ben definiti confini al di qua e al di là dei quali non può trovarsi il giusto). Questo verso andrebbe ripetuto mille volte a Sokolov che ormai scivola sempre più velocemente verso una china manieristica nell’ambito della quale ritiene che tutto gli sia lecito. Ne avevo già avuto sentore e ne avevo scritto in occasione del concerto tenuto per il Bologna Festival nel 2016. Sia chiaro: se al pubblico va bene che gli importa? fa quello che gli pare e via. Però l’interpretazione musicale seria ha delle regole: è come un fiume che deve scorrere in un alveo. L’alveo è lo stile dell’epoca e il rispetto della partitura: nell’ambito di questi confini ha diritto di cittadinanza l’interpretazione. Fuori si cade invece nell’arbitrio. E’ il caso di Sokolov con Mozart: tempi smodatamente allargati, costanti cambiamenti di tempo, accelerati e rallentati, sonorità con un campo di variabilità da pianoforte romantico alla Rachmaninov etc. etc. Piace? E allora che farsene dei parrucconi (categoria alla quale sono da moltissimi anni iscritto) che predicano la misura, che apprezzano i Michelangeli, i Brendel, i Volodov, etc. etc. ? Rimane loro solo il diritto inalienabile a considerare questo modo di suonare intollerabile. E certamente fa specie che venga da un artista che nel tempo passato ha toccato vette altissime. Un po’ meglio l’esecuzione delle sonate beethoveniane (ma dove c’è scritto che i trilli debbano iniziare con la nota superiore, un vezzo di stile settecentesco?) e poi ecco che ricasca nell’interpretazione soporifera oltre ogni immaginazione quando si passa alla famosissima “arietta” finale dell’op. 111, dimenticando anche che le variazioni in larga misura dovrebbero rispettare il tempo dell’aria su cui si basano mentre qui nella terza variazione improvvisamente il tempo accelera per poi ricadere in un ritmo da Wiegenlied. Stop: su Sokolov cade, per quanto mi riguarda, una sorta di “crux filologica“.  Va anche segnalato che l’esecuzione di tutti i brani non è stata neppure tecnicamente immacolata: si sono avuti errori anche in passaggi molto semplici. E che dire della pretesa di eseguire tutti i brani di una parte del concerto senza soluzione di continuità, non facendo chiedere al pubblico dall’astenersi dall’applauso (ovviamente lecito), ma attaccando letteralmente la fine di un brano all’inizio del successivo anche quando chiaramente diversi come impostazione e stile con un effetto veramente sgradevole.  Sei (6) bis (almeno fino a quando per l’ora tardissima sono uscito): un momento musicale di Schubert, due notturni di Chopin, una sonata settecentesca (penso di Scarlatti ma non solo lo Shazam della musica classica!), l’arabesque di Schumann e un preludio di Chopin. Grandissimo, immancabile, ma anche tristissimo successo acritico di un pubblico da panem et circenses (sono mancate solo le vestali in deliquio) ma su questo non commento ulteriormente: chi mi legge capisce perfettamente la mia opinione. Piccolo inciso: il concerto è terminato alle 11.40, il che dice quale sia l’allargamento dei tempi. Pareva di essere a Bayreuth quando Gatti dirige il Parsifal (corre voce che colà le maschere abbiano diritto a un extra per l’allungamento dei tempi)!
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Programma
Wolfgang Amadeus Mozart  Sonata in do maggiore KV 545, Fantasia in do minore KV 475, Sonata in do minore KV 457
Ludwig van Beethoven Sonata n. 27 in mi minore op.90, Sonata n. 32 in do minore op. 111
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Cameristica, Recensioni

Arkadij Volodos – Bologna Festival 9 Maggio 2017

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Di Volodos ho già avuto modo ripetutamente di scrivere (ad esempio http://wp.me/p5m12m-EN e http://wp.me/p5m12m-yO) e sarebbe inutile ripetere gli stessi giudizi. Volodos è una di quelle mosche bianche che hanno (giustamente) raggiunto il successo senza passare per i grandi concorsi (ce ne sono a migliaia di secondo e terzo ordine…) grazie all’intuito e la competenza di un talent-scout musicale. Tralasciate le pirotecniche trascrizioni giovanili, Volodos è oggi un pianista completo, dotato di una “mano” eccezionale (grazie alla quale tutto sembra facile, anche l’op. 76 di Brahms che nel primo, nel quinto e nell’ottavo brano pone difficoltà trascendentali)  ma con la grande capacità di sottomettere alla musicalità la propria strabiliante tecnica (a differenza di macellai alla Matsuev, tanto per fare un confronto). Eccelle certamente in Brahms e Schubert mentre nel concerto in questione e segnatamente in Schumann (Papillons come le Kinderszenen sono composizioni che richiedono un delicatissimo equilibrio), ha mostrato un inizio di eccesso di manierismo, un rischio che la sua tecnica interpretativa corre. Nulla di grave ma si può sperare che questo non sia un piccolo sintomo di una deriva che vorremmo potere escludere.  Grande successo e sei bis, nell’ambito dei quali non è mancato uno dei bellissimi intermezzi Brahmsiani op. 118.
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Programma
Robert Schumann  Papillons op.2
Johannes Brahms Klavierstücke op.76
Franz Schubert Sonata in la maggiore D.959

 

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Rattle Özsuca – Talenti Bologna Festival 3 Maggio 2017

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Finalmente, finalmente un po’ di spazio ai fiati e in particolare al clarinetto! Figlio di Simon Rattle, Sacha Rattle, non ha seguito le orme del padre (come assai spesso avviene, vedi i casi dei figli di Ashkenazy, Maisky, Argerich – con l’eccezione del giovane Pollini che però pare scomparso dal panorama concertistico – probabilmente per evitare impietosi confronti) e ha dato luogo insieme alla moglie pianista Zeynep Özsuca a un concerto interessante e godibile con un ventaglio di autori tutti incentrati sul periodo 800- inizio ‘900. Molto bella la sonata di Saint-Saëns con quell’andamento circolare così caratteristico del periodo francese (si pensi al Preludio, corale e fuga di Franck), per passare ai famosissimi Fantasiestücke di Schumann e passare poi attraverso Martinu (un compositore purtroppo poco praticato in Italia) alla splendida sonata dell’ultimo Brahms. un capolavoro assoluto. Dal punto di vista esecutivo Rattle si è dimostrato un ottimo professionista ma certamente ha dei limiti nella qualità del suono emesso e in particolare negli acuti quando il volume richiesto è importante e il clarinetto non riesce ad “arrotondare” il suono.  Insomma siamo lontani dai grandi esecutori come Gervase de Peyer e anche il nostro Alessandro Carbonare. Ottima invece la prestazione della pianista (e moglie) Özsuca che – finalmente! – si è resa conto dell’acustica infame dell’oratorio dei Filippini e ha moderato il volume del piano anche per non coprire il clarinetto. Le uniche incertezze si sono avute nella tecnicamente difficilissima sonata di Brahms resa comunque con grande mestiere. Un unico bis. Come ho già avuto modo di scrivere, sarebbe oltremodo interessante ascoltare nella stessa serata le due sonate op. 120 di Brahms, che sono previste sia per clarinetto che per viola, in entrambe le versioni : un confronto che certamente risulterebbe gradito al pubblico.
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Programma
Camille Saint-Saëns Sonata in mi bemolle maggiore op.167 per clarinetto e pianoforte
Heinrich Joseph Baermann Adagio per clarinetto e pianoforte
Robert Schumann Fantasiestücke op.73
Bohuslav Martinů Sonatina per clarinetto e pianoforte
Gabriel Pierné Canzonetta op.19 per clarinetto e pianoforte
Johannes Brahms Sonata in mi bemolle maggiore op.120 n.2 per clarinetto e pianoforte
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Quartetto Kelemen – Musica Insieme Bologna 2 Maggio 2017

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Un quartetto il cui programma copre di fatto l’ampio percorso temporale compositivo di questo tipo di formazione (con l’ovvia assenza di grandi compositori come Beethoven) dal ‘700 al ‘900 come indicato dal relatore al quale va riconosciuto il merito di non essersi  presentato finalmente con il solito foglietto da studente impreparato in mano, anche se la qualità del contenuto della presentazione ha lasciato molto a desiderare (e francamente non ho capito perché l’accordo che definisce una tonalità sia composto da quattro note – mi parrebbe che la terza e quinta sulla tonica siano più che sufficienti – a meno che non si voglia indicare la terza-quinta-settima sulla dominante ma non ne capisco il motivo).  Ma veniamo alla formazione ungherese che ha come sua caratteristica peculiare la intercambiabilità di alcuni ruoli – ovviamente violino e viola – ma che certamente non costituisce una punta di eccellenza. Siamo in presenza di onesti professionisti caratteristici di quei concerti “di mezzo” cui Musica Insieme ci ha abituato come riempitivo fra nomi di eccellenza, che probabilmente pesano poco sul budget della fondazione ma fanno numero. Repertorio interessante e molta “verve” ma suono di certo non di alta qualità e esecuzioni non impeccabili. Nulla di grave ma non c’è molto da dire.
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Programma
Franz Joseph Haydn Quartetto in re maggiore op. 20 n. 4
Robert Schumann Quartetto in la maggiore op. 41 n. 3
Franz Schubertn Quartettsatz in do minore D 703
Béla Bartók Quartetto n. 5
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Gala Chistiakova – Circolo della Musica Bologna 29 Aprile 2017

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Oltre che al concorso Chopin avevo già avuto già modo di ascoltare la pianista russa anche in un concerto privato derivandone sempre la stessa impressione. Il pianismo di Gala Chistiakova è “roccioso” sostenuto da una tecnica di prim’ordine che trova il suo terreno migliore negli autori in grado di valorizzarla (ad esempio Rachmaninov – non eseguito questa sera – e Skrjabin – con qualche eccezione come nel famosissimo e difficilissimo studio n.12). Il suo limite è che la sua rocciosità e il suo virtuosismo non sempre vengono moderati, plasmati, laddove i toni debbono farsi più sfumati e deve emergere il lato più espressivo e interpretativo. Nelle esecuzioni della Chistiakova si ha sempre l’impressione che la pianista non veda l’ora di esprimere tutta la potenza di fuoco esecutiva di cui fa sfoggio spesso senza sufficiente controllo. Ne hanno fatto le spese nel concerto di ieri sera le parti cantabili chopiniane della prima e terza ballata e in particolare le mazurke che sono risultate un vero disastro, trasformate in una sorta di marcia militare e – incredibilmente – ammannite anche come bis, quando la pianista russa ha nel suo repertorio studi, improvvisi etc. chopiniani molto più adatti al suo temperamento. Sono questi i limiti che non le hanno permesso di avanzare oltre il terzo stadio e penultimo stadio del concorso Chopin del 2015. Anche la barcarola ha sofferto degli stessi limiti innanzitutto in quanto eseguita globalmente troppo lentamente con effetti persino soporiferi e nell’ambito della quale la ricerca della cantabilità si è sposata come in altri casi con un ulteriore rallentamento dei tempi. Espressività non significa allargamento dei tempi ma estrazione del significato profondo del brano: anche un brano moderatamente veloce può essere “cantabile”. Una pianista di calibro medio-alto quindi ma che dovrebbe maturare limitando e limando gli aspetti più eccessivi del suo pianismo. Ha trenta anni e ancora tempo per questa maturazione anche se deve confrontarsi con giovani leoni che questo percorso hanno già compiuto. Forse B.Petrushanskj, alfiere per antonomasia del pianismo roccioso, non è al momento il suo miglior maestro.
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Programma
F. Chopin Barcarola op. 60, Ballate 1 e 3, 4 Mazurche op. 6
A. Skrjabin 12 studi op. 8
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Leonardo Pierdomenico – Conoscere la musica Bologna 27 Aprile 2017

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Un concerto iniziato in modo drammatico. Una sonata di Scarlatti trasformata in un brano post-romantico con languori e svenature accompagnate da un uso smodato del pedale, semplicemente inaccettabile. Di assai diverso taglio l’esecuzione della seconda sonata nella quale si è delineata l’eccellente tecnica dell’esecutore.  Una trasformazione a 180 gradi che suggerirebbe di rispettare lo stile e il periodo compositivo del compositore napoletano senza indulgere a revisioni del tutto inappropriate. La sonata di Beethoven è stata eseguita in modo egregio, una sonata poco frequentata un po’ per la sua lunghezza (inconsueta nelle prime sonate del compositore di Bonn) un po’ per la sua non eccelsa fattura. La prima versione della campanella di Liszt non viene quasi mai eseguita e certamente merita una sorta di riposo eterno cui è stata confinata da tempo immemore.  Molto bene l’esecuzione della sonata di Clementi, un compositore che si attaglia perfettamente alle doti tendezialmente granitiche di Pierdomenico e le variazioni Paganini di Brahms, uno dei vertici della difficoltà pianistica, sono state eseguite in modo quasi perfetto (qualche piccola sbavatura nella seconda serie, ma si tratta di inezie). Un giovane pianista che promette molto ma che deve ancora imparare a domare il suo impeto basato delle doti tecniche che talvolta lo portano ad esagerare a scapito delle sottolineature più propriamente musicali. Ma certamente una valida promessa del concertismo italiano se ha l’umiltà di rispettare in toto stili e stilemi compositivi.
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HappyHappy
Programma:
D. Scarlatti  Sonate K 1 e K 216
L.v.Beethoven  Sonata n.4 op. 7
F.Liszt  La campanella (Prima versione)
M Clementi Sonata n.5 op 25
J.Brahms Variazioni sopra un tema di Paganini op. 35
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Di Liberto Salvati – Bologna Festival 26 Aprile 2017

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Allorché Wagner, dopo la fuga dalla Prussia per motivi politici, approdò a Parigi dove condusse la parte più grama della sua esistenza, si lamentò costantemente dell’abitudine  snobistica dei membri del Jockey Club che arrivavano a teatro all’inizio del secondo atto (o seconda parte). Assolutamente giusto, ma nel caso del concerto in questione avrei voluto essere membro onorario del club in quanto la prima parte non merita neppure di essere menzionata, costituita come si trova a essere di una velleitaria accozzaglia di suoni che neppure lontanamente permettono di assimilarla al titolo dei brani eseguiti nonostante lo sforzo esegetico della prof. Dal Monte. Ma, in questo caso, oltre ad entrare alla seconda parte sarei anche uscito dopo poco, in quanto  l’esecuzione dei brani Lisztiani in nessun modo ha messo in luce proprio quelle caratteristiche di avanguardia musicale che la presentazione iniziale voleva raccordare ai brani della prima parte.  Lamentarsi dell’acustica dell’oratorio dei Filippini è come sparare sulla crocerossa ma proprio per questo motivo sarebbe richiesta all’esecutore una sensibilità musicale in grado di modulare le sonorità in funzione dell’ambiente. Nulla di tutto questo: una gragnuola di sf che hanno semplicemente impedito di seguire il filo musicale dei brani. Che altro dire: un pianista che vuole essere apprezzato non può avere come fine l’esecuzione delle ottave del compositore ungherese ma deve estrarre dalla sue composizioni un valore musicale nel caso in questione del tutto assente.
Programma:
Luigi Ceccarelli Il contatore di nuvole
Dimitri Maronidis Orbits
Franz Liszt Au bord d’une source, Orage, Sonetto 123 del Petrarca, Angelus, Studio n.2 “La leggerezza”, Studio n. 12 “Chasse-neige, Studio n.3 “La campanella”
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Josef Suk Piano Quartet – Talenti Bologna Festival Bologna 13 Aprile 2017

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Un quartetto con piano, giovane e agguerrito con ottime individualità che ha dato luogo a un concerto molto godibile. In questo contesto va notato che l’elemento trainante (per una volta!) è la viola di Eva Krestová, una strumentista brava ed esuberante che con il suo entusiasmo trascina l’intero complesso. Una buona esecuzione del quartetto di Schumann e una buona esecuzione del quartetto di Brahms, anche se i tempi staccati per il “Rondò alla zingaresca” sono risultati eccessivi togliendo un po’ del fascino della composizione. Ma certamente un complesso che vorremmo riascoltare.
 
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Happy
Programma
Robert Schumann  Quartetto in mi bemolle maggiore op.47 per pianoforte e archi
Matteo D’Amico  Trio pour un ange per violino, violoncello e pianoforte (2015)
Johannes Brahms  Quartetto in sol minore n.1 op.25 per pianoforte e archi
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Cameristica, Recensioni

Yefim Bronfman- Bologna Musica Insieme 3 Aprile 2017

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Di origine russa ma naturalizzato americano Yefim Bronfman si è presentato per la prima volta (se la memoria non mi falla – ma nel caso so che certamente sarò immediatamente crocifisso) al pubblico bolognese con un programma articolato che ha permesso di evidenziarne tutte le qualità e anche qualche piccola debolezza. Di certo il suo autore di riferimento – a quanto ascoltato ieri sera – è Schumann del quale è in grado di cogliere tutte le sfumature asservendo alla musicalità le sue grandi doti tecniche (si pensi solo alle ottave dell’Humoreske). Il suo è uno Schumann che contempera gli aspetti brillanti e quelli intimistici in un mirabile equilibrio, ribadito anche nell’unico bis, l’Arabesque del compositore di Zwickau. Il pianismo di Bronfman ricorda per molti aspetti quello di Volodos (persino per la stazza fisica!) e da lontano quello di Sokolov, ma senza il manierismo di cui hanno sofferto negli ultimi tempi le sue esecuzioni.  Il suo è forse il migliore Schumann ascoltato recentemente. Quanto agli altri brani certamente eccellente l’interpretazione della suite di Bartòk e anche quella di Petruška con l’unico neo di un tempo un po’ rilassato nell’ultima parte del terzo brano. Più debole, invece, la sua interpretazione di Debussy. Qui è mancato quel tocco equoreo che è così necessario per il compositore francese non tanto nel Claire de lune quanto nel Prélude e nel Menuet che proprio per la natura particolare della loro struttura richiedono un’attenzione tutta particolare allo stile del compositore. Sia chiaro: stiamo parlando di un grande artista e di un grande concerto ma – forse è il caso di dirlo – nessuno è perfetto e comunque le mie sono considerazioni personali che riflettono la mia sensibilità (sì, perché in ogni recensione, al di la dei fatti oggettivi, entra proprio la sensibilità individuale).
Mi ero ripromesso di non intervenire più sulle terribili introduzioni “musicologiche” ma quella sgangherata di ieri sera ha toccato un nuovo massimo negativo, per la mancanza di linearità, per la ricerca spasmodica di nessi che avrebbero fatto sghignazzare i compositori, per una esposizione noiosa, prolissa e monotona, per una assenza di fatti oggettivi e storici e addirittura per gli errori di accento. Da quando in qua Humor in tedesco ha l’accento sull’ultima sillaba?  Mentre Petruška in russo ha l’accento tonico sulla prima sillaba!  Se si vuole fare il relatore ci si prepara bene prima anche se la cosa costa tempo. Chi scrive fa per mestiere il prof. universitario ma anche tiene conferenze: non uso un foglietto per ricordarmi le cose, quasi sempre preparo slides per aiutare il pubblico a capire e provo ripetutamente l’esposizione per garantirmi tempo e incisività. Nulla è peggiore del dilettantismo. Ma possibile che MI non sia in grado di trovare dei relatori degni di questo nome (a parte pochi casi)?
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HappyHappy
Programma:
Béla Bartók Suite op. 14
Claude Debussy Suite bergamasque
Robert Schumann Humoreske in si bemolle maggiore op. 20
Igor Stravinskij Tre Movimenti da Petruška
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Cameristica, Recensioni

Olaf John Laneri – Conoscere la musica 30 Marzo 2017

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Olaf Laneri suona bene, su questo non ci sono dubbi. Con una tecnica di ottima qualità, ma sempre al servizio della musicalità, ha eseguito un programma tutto centrato sul diciannovesimo secolo con brani conosciutissimi e quindi sottoposti inevitabilmente al confronto con le interpretazioni e le incisioni dei grandi maestri senza assolutamente sfigurare. In grado di temperare i fortissimi e con la capacità di modulare le intensità e il tocco in accordo con le esigenze del brano ha dato luogo a un concerto godevolissimo. Naturalmente non tutto è perfetto e forse qualche dinamica di troppo dovrebbe essere maggiormente “arrotondata” ma si tratta di errori marginali e certamente legati alla sensibilità dell’ascoltatore. Laneri fa parte di quei pianisti che ingiustamente non hanno raggiunto (e probabilmente non raggiungerà mai) le grandi sale da concerto e una notorietà internazionale di primo livello ma certamente non sfigurerebbe in una rassegna di grandi pianisti. Certamente un pianista di livello assai superiore a quelli della rassegna in cui è stato inserito. Due bis chopiniani.
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Programma:
L. van Beethoven Sonata op. 27 n.2
J. Brahms 4 Ballate op. 10
F. Chopin Ballata op. 23, Ballata op. 47, Andante spianato e polacca brillante op. 22
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Cameristica, Recensioni

Amadeus Wiesensee – Bologna Festival Talenti 28 Marzo 2017

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Ecco un tipico esempio di un giovane pianista che nella maggior parte dei brani eseguiti sostituisce il cervello con i muscoli (e non sempre con risultati di qualità anche dal punto di vista tecnico). Nella prima parte (Bach e Brahms) tutto è suonato – salvo brevissimi intervalli – a metà strada fra il forte e il mezzoforte. Nel caso di Bach – e in particolare nella bellissima giga finale –  non si distingue un solo tema, un solo profilo musicale: tutto è suonato ad eguale volume, fra l’altro con non poco pedale. Peggio ancora Brahms (le variazioni su un tema di Händel sono un brano principamente musicale a differenza di quelle sul tema di Paganini). Stessi errori marchiani e incertezze gravi nelle variazioni, in particolare nella quarta e ancor più nella ottava ove per un pasticcio tecnico vengono saltate un paio di battute della fine della prima parte. Meglio certamente i momenti musicali Schubertiani dove finalmente l’espressività trova un po’ di posto se si eccettua il n. 5 dove il demone dell’esecuzione fragorosa prende nuovamente il sopravvento. Inutile dire cosa possa essere stata la settima sonata di Prokof’ev, uno dei suoi capolavori, eseguita da tutti i grandi pianisti. Qui la farragine esecutiva tutto fretta e rumore assordante (con la complicità, certo, della terribile acustica della sala, ma la consapevolezza dell’acustica fa parte delle capcità di un esecutore)  arriva al suo intollerabile massimo. Consiglierei a questo pretenzioso giovine l’ascolto attento delle registrazioni dei grandi maestri anche se ho poca fiducia nella sua capacità di assimilare le grandi lezioni. Non so nulla dei bis perché sono uscito dopo la fine della sonata del compositore russo.
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Johann Sebastian Bach Suite inglese n.6 in re minore BWV 811
Johannes Brahms Variazioni e fuga su un tema di Händel op.24
Franz Schubert Momenti musicali n.2, n.5, n.6 dai Sei Momenti musicali op.94 D.780
Sergej Prokof’ev Sonata n.7 in si bemolle maggiore op.83
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Cameristica, Recensioni

Brendel Varjon – Bologna Lezioni di piano 27 Marzo 2017

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Non ho difficoltà ad affermare che Alfred Brendel è stato uno dei giganti pianistici della seconda metà del ‘900 e particolarmente vicino al mio modo in concepire l’esecuzione musicale, mutuando allo stesso tempo tecnica, stile, rispetto della partitura, espressività e capacità di estrarre da ogni brano eseguito il vero spirito della composizione. Il suo Beethoven, il suo Mozart e il suo Schubert rimarranno sempre come esempi che ogni interprete che si rispetti dovrebbe analizzare e tenere in considerazione. Le sue registrazioni sono semplicemente dei masterpieces. Ciò detto e con tutto il rispetto che si deve a un ottuagenario la conferenza su Liszt e la sua sonata è stata un esempio di come NON si tiene una conferenza. Innanzitutto è proibito a un oratore mantenere lo stesso tono di voce (monotono e sommesso in questo caso) per quaranta minuti oltretutto in un inglese incerto con forte accento austriaco nonostante che Brendel viva da 40 anni in UK. Mi ha consolato sapere che anche una inglese di madrelingua mi ha confessato di avere avuto moltissimi problemi nel capirlo! Ma perché parlare in inglese se la sua lingua di origine è il tedesco, dal momento che alle sue spalle venivano proiettati cartelloni con la traduzione? Sì perché la conferenza di Brendel è stata letta facendo venire a mancare quella interazione con il pubblico fatta di espressività e parziale improvvisazione sul tema che deriva dall’avere il polso dell’audience e quindi adattare linguaggio ed impostazioni alle sensazioni che provengono dalla platea. Certo ci sono casi in cui si deve leggere – ad esempio per le dichiarazioni ufficiali – ma non è certo  questo il caso. Parlare in pubblico – come ho sempre affermato anche sulla base della mia esperienza di docente – è come stare in palcoscenico: bisogna captare l’aria che tira e adattare lo stile per interessare il pubblico, naturalmente senza deviare dal tema.  E leggere diventa un rito noioso che fa rimpiangere di non avere avuto la possibilità di leggere lo stesso testo da soli con il ritmo che si preferisce. E anche il contenuto della conferenza è stato modesto: ci sono decine di libri sullo stesso argomento (si veda ad esempio l’ultimo libro di Rattalino) su Liszt che trattano lo stesso argomento con molto maggiore spessore. E volere addirittura trovare nella sonata in si minore una sorta di contrasto fra Faust e Mefistofele può andare bene per un pubblico sprovveduto ma non nel corso di una conferenza che avrebbe dovuto essere  – nelle aspettative di tutti – di ben maggiore spessore. Sed de hoc satis. 
In margine aggiungo oggi che vedere un assatanato che si sgola gridando “bravo” e si slancia a stringergli la mano e un’altra che applaude a mani alzate al cielo quasi a implorare una benedizione sul capo canuto del relatore mi fanno capire come sia possibile che le folle possano essere preda di sensazioni emotive che nulla hanno a che vedere con una composta e razionale analisi di quanto udito (e spesso non capito…). D’altronde non è forse quello che abbiamo ohimé visto e ancora vediamo quotidianamente nei telegiornali: è questo che mi fa pensare che la nostra società e il mondo in generale siano senza speranza (a meno che uno non creda…)
Quanto al pianista Varjon (che ho ascoltato per la prima volta) si può dire che la sua esecuzione della sonata in si minore è stata onesta. Qualche incertezza sui primi passaggi di ottave (veramente difficili peraltro) e un eccesso di enfasi in molte parti. Bene invece l’adagio centrale (se così si può chiamare) con una grande espressività costellata però quasi continuamente dal vezzo di non mettere giù le due mani contemporaneamente. Varjon è poi caduto nel tipico errore comune a tanti pianisti: iniziare il fugato a un tempo insostenibile nel prosieguo (come avviene spessissimo nella fuga dell’op. 106 di Beethoven) obbligandosi a un rallentamento del tutto evitabile. Quindi un giudizio sospeso nella speranza di poterlo ascoltare in un repertorio più vasto. Di certo la sua esecuzione della sonata non è confrontabile con quella disponibile in CD della Argerich e di Pollini: qui siamo su altri pianeti.
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Alfred Brendel: Lectio magistralis – “Liszt e la Sonata per pianoforte in si minore”
Franz Liszt Sonata in si minore R 21
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Cameristica, Recensioni

Michele Mariotti – Bologna Manzoni 25 Marzo 2017

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Il concerto è stato dedicato ad Arturo Toscanini  per i 150 anni dalla sua nascita ed è stato certamente onorato da Michele Mariotti che  ha vinto il premio Abbiati nel 2016 come migliore direttore italiano e – a mio giudizio – a ragione se naturalmente vogliamo dimenticare i direttori che sono da tempo emigrati, quali Gatti. Muti etc. Il concerto è stato quello di tipo nazional-popolare con arie molto note al pubblico (se si esclude il Rienzi di Wagner) che ha risposto con applausi calorosi. Mariotti è riuscito a estrarre il meglio dall’orchestra del teatro (non sempre precisissima nell‘incipit della Gazza Ladra) che comunque in totale ha dato luogo a una delle sue migliori prestazioni. Un plauso analogo va al coro che ha fatto da contorno all’orchestra con un’ottima prestazione.  Mariotti ha personalità, gesto eloquente e deciso, sensibilità musicale e perfetta conoscenza delle partiture. Un ottimo concerto, quindi, anche se certamente speriamo di ascoltare presto Mariotti in un programma più articolato e impegnativo.
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GIOACHINO ROSSINI da La gazza ladra, Ouverture, da Semiramide, Ouverture
GIUSEPPE VERDI da I vespri siciliani, Sinfonia
RICHARDWAGNER da Rienzi, L’ultimo dei tribuni, Ouverture
GIOACHINO ROSSINI da Guillaume Tell, Ouverture, da Guillaume Tell, Choeur e Pas de Six
GIUSEPPE VERDI da Quattro pezzi sacri, Stabat Mater e Te Deum
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Maurizio Pollini – 26 Marzo 2017

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Da https://www.spectator.co.uk/2017/03/maurizio-pollini-needs-to-retire a firma  Damian Thompson. Eccone la traduzione:
C’è un momento nel finale della Appassionata di Beethoven in cui la partitura drammatica pianistica lascia il posto inaspettatamente a un clima più rilassato. Antony Hopkins nel passato lo descrisse come un momento di “anticlimax” un po’ troppo vicino alla tradizionale danza zingaresca che si trova assai spesso nelle opere del diciannovesimo secolo. Non sono sicuro di essere d’accordo – ma c’è una cosa che posso affermare ed è che questo è il momento di digitare Uber sul telefonino se si vuole la garanzia di potersi allontanare durante il primo scroscio di applausi prima che il pianista abbia la possibilità di eseguire un bis. Questo è l’effetto che mi produce l’esecuzione di Polllini che ha svuotato per decenni la vitalità dalle sonate di Beethoven ma certamente mai in modo così noioso come la settimana scorsa, quando ha inaugurato la stagione primaverile della rassegna internazionale pianistica della Southbank. L’applauso è stato fragoroso, questo è vero, ma si trattava in particolare dell’applauso che si ascolta alla Southbank più spesso che altri posti: un solista veterano apprezzato da “travet” dei concerti, non per la musica (spero – a meno che gli spettatori non fossero dei deficienti con le orecchie foderate di prosciutto) ma per il fatto che fosse lui. L’anziano Barenboim riceve lo stesso trattamento, anche se la cosa sembra meno assurda dal momento che molti aspetti piacevoli si celano dietro il profluvio di note errate. E nel passato ci furono grandi maestri, come Curzon a Kempff, le cui incerte performances dal vivo estraevano l’essenza della musica molto più delle loro incisioni: essi non erano applauditi per il solo fatto di essere loro. In ogni caso la tecnica di Pollini è andata in rovina in modo diverso: molte meno note sbagliate ma la leggendaria precisione è sparita. E senza quella Pollini non ha nulla da dire. In realtà sembra che non voglia aver nulla da dire. Ascoltando la Patetica, mi sono chiesto se fosse semplicemente interessato al cachet. In alcun modo si è sforzato di marcare gli accordi puntati di apertura del Grave, che dovrebbero essere strettamente connessi in modo che il tema principale esploda sulla tastiera come un missile Questo non è successo. In tutte e tre le sonate beethoveniane Pollini ha martellato senza contrasti di tempo e di dinamica. E inoltre ha di continuo arrotondato la fine di ogni frase e ridotto le pause, come a dire: finiamola! Io non vedo perché dovremmo trovargli delle scuse perché è un settantacinquenne. Sapere quando è il momento di ritirarsi è uno delle caratteristiche dei grandi pianisti. Horowitz merita pieni voti per essere rimasto lui fino alla fine: le registrazioni della metà dei suoi ottanta anni sono fra le più memorabili, un esempio di bravura tecnica intatta (per lo più) e di tocco luminoso come non mai. Richter ritagliò il suo repertorio per compensare la sua fragilità, con risultati variabili ma spesso miracolosi prima di fermarsi a tempo debito. Ma il più eccezionale esempio è quello dato da Alfred Brendel, la cui interpretazione nel 2007 della penultima sonata di Beethoven a Salisburgo fu allo stesso dimessa, profondamente sentita e rivelatrice. L’anno successivo si ritirò dai concerti, lasciandoci il rammarico della sua rinuncia. Che è come dovrebbe essere.
Un analogo articolo si trova su Gramophone Vol. 94 febbraio 2017, pag. 62-63 relativamente all’ultima incisione del pianista italiano. Sia chiaro: il declino di uno dei più grandi pianisti italiani degli ultimi 50 anni è evidente e si è progressivamente accentuato negli ultimi dieci anni. Ma l’articolo di Thompson pare più uno sfogo livoroso che una critica seria e “scientifica” come si addirebbe a un critico serio, senza preconcetti. Pollini è stato certamente il mio idolo per almeno 30 anni per la sua impostazione critica, seria, rigorosa e stilisticamente inappuntabile, sorretta da una tecnica d’acciaio. Oggi la situazione è assai diversa e certamente sarebbe serio ritirarsi lasciando il ricordo delle sue interpretazioni luminose (altro che un Beethoven svuotato di vitalità: era un Beethoven semplicemente perfetto). E’ – in modo traslato – il problema delle belle donne nelle quali i segni del tempo nonostante tutti gli artifici che oggi sono possibili non possono nascondere l’avanzata inesorabile tempo: ci sono bellissime che si sono ritirate alle prime avvisaglie (v. Greta Garbo ma anche Monica Vitti) e altre che continuano facendo finta di non accorgersi che il pubblico se ne accorge e commenta in modo impietoso (un esempio al di là del limite del ridicolo è la nazional popolare Alba Parrietti). Ma mentre una critica rigorosa deve segnalare i limiti attuali ricordando però i fasti del passato, nel caso di Thompson sembra di essere in presenza di uno sfogo a lungo represso, espresso con toni tutt’altro che rigorosi: una critica non degna di un critico serio. Quanto a Pollini possiamo solo fare voti che la sua intelligenza gli consigli un ritiro in grande stile per entrare nel mito: di certo sarò uno di quelli che lo ricorderanno per i grandi trascorsi e non per le ultime esibizioni.
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Neschling Angelich – Bologna Filarmonica del teatro comunale 20 Marzo 2017

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Calma è la parola chiave del pianista americano Nicholas Angelich che ha eseguito il difficilissimo secondo concerto  di Brahms, anche dove la ritmica e lo sviluppo armonico della composizione avrebbero richiesto ben altra dinamica. Il pianismo di Angelich è sempre “morbido” dalle coloriture tenui, insomma come un bell’oggetto levigato ma alla fine privo di quel nerbo vitale che in molti casi (e in Brahms, non il Brahms dell’ultimo periodo) è la sostanza vibrante del brano eseguito. Tutto tecnicamente perfetto ma spesso grazie a un rilassamento dei tempi forse ben nascosto ma che certamente non sfugge a chi conosce la partitura. Sia chiaro: siamo in presenza di un artista che certamente ha caratteri di eccellenza ma con un pianismo che troppo indulge alla ricerca della sfumatura elaborata a scapito dell’impostazione complessiva dell’ordito musicale. La cosa è stata comprovata anche dall’unico bis, una mazurka chopiniana in cui il manierismo del pianista americano ha assunto valori parossistici. Quanto alla sinfonia del compositore amburghese ho avuto ancora una volta il dubbio di sapere cosa avrebbe prodotto l’orchestra in assenza di direttore. Neschling è un onesto professionista, sicuramente esperto, ma anch’esso privo di quella personalità che distingue un professionista da un artista. Un concerto quindi di buona, non eccelsa qualità con una orchestra che ha mostrato anche in questo caso i propri limiti.
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Johannes Brahms – Concerto n. 2 in Si bemolle maggiore per pianoforte e orchestra, op. 83
Johannes Brahms – Sinfonia n. 3 in Fa maggiore, op. 90
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Nonostante le urla di uno scalmanato “giovine” nella fila dietro la mia che ad ogni uscita della Argerich credeva in una apparizione della madonna di Medjugorje, spellandosi a sangue le mani applaudendo a un ritmo doppio del resto del pubblico non si è trattato di un concerto memorabile, perché molto diseguale nelle sue articolazioni. Eccellente soprattutto il trio finale di Šostakovič per la prestazione della pianista argentina ma anche per quella del violoncellista Jorge Bosso impegnato in una parte tecnicamente impervia. Un risultato perfetto, con uno stile asciutto assolutamente in linea con la poetica del compositore russo Molto buona anche l’esecuzione del poco frequentato quartetto Beethoveniano con l’unica pecca di una prestazione del piano che ha sovrastato il resto dell’ensemble, anche se in parte dovuta alla partitura stessa. Ma è nella parte che ha riguardato i due pianoforti e il brano di De Falla che si sono registrate le maggiori debolezze del concerto. Si inizia con una posizione dei due pianoforti appaiati anziché in posizione reciprocamente frontale quasi si trattasse di brani a quattro mani. Nel primo poi – i sei noiosissimi canoni canoni schumanniani giustamente caduti nel dimenticatoio della storia musicale – l’organizzazione – colpevolmente – dimentica sedie e leggii degli archi utilizzati nel quartetto del compositore di Bonn cosicché i due pianoforti vengono a trovarsi in secondo piano, un errore fortunatamente non ripetuto nel secondo brano a due  pianoforti –  quello di Debussy. Del pianista Eduardo Hubert si può affermare che è un ottimo compositore, organizzatore e direttore d’orchestra. Nei semplicissimi brani del compositore di Zwickau riesce a inserire alcune “imprecisioni” cosicché alcuni spettatori – fra cui il sottoscritto – hanno ritenuto che la posizione inconsueta dei due piani fosse dovuta al tentativo della Argerich di tenere a balia l’anziano esecutore che ha anche il difetto di dirigere con la mano sinistra quando esegue con quella destra, una vezzo comune a Fazil Say, come nel brano di Debussy nel quale tutta la parte più tecnica è affidata al secondo pianoforte, lasciando al primo – l’Hubert Eduardo – solo il canto. L’organizzazione, non paga dell’errore precedentemente commesso dimenticando sedie e leggii, non sposta il primo pianoforte per il trio cosicché la Argerich è costretta a suonare proprio sullo strumento privo di coperchio. Ma si può?
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Happy
Programma:
Ludwig VanBeethoven t  Quartetto n.3 in do maggiore W0O 36 per pianoforte e archi
Robert Schumann Sei Studi in forma di canone op.56 (trascrizione per 2 pianoforti di Claude Debussy)
Manuel de Falla   Canciones  populares españolas (trascrizione di Jorge Bosso)
Claude Debussy Prélude à l’après-midi d’un faune (trascrizione per 2 pianoforti di Claude Debussy)
Dmitrij Šostakovič Trio n.2 in mi minore op.67 per pianoforte e archi
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Cameristica, Recensioni

Bashmet e i solisti di Mosca – Musica Insieme 14 Marzo 2017

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Regolare come l’avvicendarsi delle stagioni si ripresenta a Musica Insieme Bashmet con il suo ensemble di archi in un programma di compositori tutti di origine russa (Schnittke alla fine della sua vita prese la cittadinanza tedesca). Un’orchestra da camera a formazione variabile ma di grande qualità con eccellenze individuali come comprovato dall’esecuzione dei brani che hanno comportato la presenza di solisti (fra cui Bashmet). Certo va detto che dirigere un complesso di soli archi è ben altra cosa dalla direzione di un’orchestra tradizionale con tutti i suoi strumenti di natura e timbri diversi. Quindi eccellenza ma confinata a un repertorio ben determinato (e in questo caso con ben due trascrizioni: ma ce ne era bisogno? Non c’è sufficiente letteratura?). Un unico bis strappa-applausi (compresi quelli della signora che applaude sempre a mani alzate, come in un esercizio ginnico..): una polka di Schnittke eseguita magistralmente da Bashmet. Come sempre in questi concerti la presenza di Bashmet violista è ridotta al minimo lasciando agli ascoltatori il rammarico di non ascoltare mai il celebre violista in un repertorio solistico in cui apprezzarne appieno le indubitabili qualità, appena accennate in un paio di corti brani del programma e nel bis. Sarebbe interessante che Musica Insieme organizzasse un concerto con l’esecuzione delle due sonate di Brahms op. 120 nelle versioni per viola e per clarinetto con Bashmet, la Argerich (che più volte ha suonato con Bashmet) e un clarinettista di fama internazionale. Ovviamente gli interpreti potrebbero essere diversi. Un’idea un po’ originale per ravvivare una rassegna concertistica che purtroppo tende a ripetere sempre lo stesso cliché: nessuna possibilità di realizzazione? Suvvia, un po’ di coraggio….
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HappyHappy
Programma:
Georgij Sviridov Sinfonia da camera op. 14 per archi
Igor’ Stravinskij dall’opera Mavra: canzone della fanciulla (trascrizione per viola e archi)
Sergej Prokof’ev Visions fugitives op. 22 (trascrizione per archi di R. Barshai/R. Balashov)
Alfred Schnittke Concerto a tre per violino, viola, violoncello e arch
Dmitrij Šostakovič Sinfonia da camera op. 110a per archi (trascrizione di R. Barshai del Quartetto op. 110)

 

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Cameristica, Recensioni

Mario Brunello – Musica Insieme 6 Marzo 2017

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Vedi mio post del 6 Febbraio 2017 http://wp.me/p5m12m-18W 
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HappyHappy
Programma:
Johann Sebastian Bach
Suite n. 3 in do maggiore BWV 1009
Sonata n. 2 in la minore BWV 1003
Suite n. 5 in do minore BWV 1011
Partita n. 3 in mi maggiore BWV 1006
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Cameristica, Recensioni

Chloe Mun – Musica Insieme Ateneo 2 Marzo 2017

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Reduce dalla vittoria dal Busoni 2015 la coreana Chloe Mun si presenta con un programma classico in cui domina la figura di Schumann. La perfezione tecnica è la prima cifra interpretativa della pianista: in tutto il programma non ho notato una sola nota falsa e il finale del secondo tempo della fantasia, con quei salti che sono l’incubo di tutti i pianisti, è stato eseguito senza un errore a una velocità che mai avevo ascoltato. Si potrebbe quindi ipotizzare che la Mun appartenga a quella schiera di giovani leoni tutta tecnica e niente cervello (alla Matsuev per intenderci) e invece il fraseggio tiene conto di tutte le sfumature della partitura eseguita e dello stile che ogni brano richiede. Tutto perfetto? Si, come una porcellana raffinata cui manca però talvolta l’anima fino a risultare parzialmente algida, come nel caso della sonata di Galuppi. Di certo il repertorio schumanniano è quello dove trova la sua cifra migliore e l’interpretazione della fantasia è stata magistrale. Una giovane grande pianista che ha davanti a sé una grande carriera e che speriamo che le istituzioni maggiori di Bologna chiamino a suonare (così come il vincitore dello Chopin 2015 trascurato colpevolmente a favore dei soliti che abbiamo ascoltato mille volte, a riprova che il pubblico bolognese sembra preferire il rassicurante usato – si fa per dire – sicuro a qualunque novità, anche di altissimo livello. Salvo propinarci Matsuev….). Due bis: una trascrizione di Liszt e un brano bachiano. L’ignorante pubblico presente, per il quale applaudire è una specie di rito liberatorio, ha ovviamente applaudito alla fine del secondo tempo della fantasia, rompendo l’equilibrio dello splendido brano del compositore tedesco e dimostrando quanta ridicola incompetenza musicale alberghi nella maggioranza dei frequentatori dei concerti. (Qualcuno seduto in prima fila mi scrive di avere sentito tre note e un accordo sbagliato: io non me ne sono accorto – e mi piacerebbe risentire la registrazione – ma ovviamente questo non cambia nulla).
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HappyHappy
Programma:
Baldassarre Galuppi Sonata n. 5 in do maggiore T 27
Isaac Albéniz Iberia – Quaderno II
Robert Schumann Blumenstück in re bemolle maggiore op. 19, Fantasia in do maggiore op. 17
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Cameristica, Recensioni

Repin Korobeinikov – Bologna Musica Insieme 27 Febbraio 2017

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Su un concerto come questo c’è poco da dire: semplicemente perfetto. Ha ricalcato il concerto tenuto il 23 Luglio 2016 a Pietrasanta (http://wp.me/p5m12m-106) con l’aggiunta della sonata di Debussy. Stile, eleganza, suono perfetto, grande successo, due bis (uno la versione violinistica di una canzone spagnola degli anni ’40: Estrellita). Solo un paio di note di colore: nelle prime due sonate il pianista (eccellente!) NON ha usato lo spartito (cosa rarissima e che denota una padronanza assoluta della partitura e della sincronizzazione con il violino), Repin usa lo spartito su iPad (come parecchi esecutori di strumenti ad arco – ad esempio Brunello) ma ha sbagliato una mossa e ha  dovuto seguire lo spartito – quello sul leggio del piano – da lontano e infine Korobeinikov sarebbe stato perfetto per la parte del pianista nel film Florence!
HappyHappyHappy
Programma:
Claude Debussy  Sonata in sol minore
Sergej Prokof’ev Sonata n. 2 in re maggiore op. 94 bis
Igor’ Stravinskij Divertimento da Le Baiser de la Fée
Pëtr Il’ič Čajkovskij  Méditation da Souvenir d’un lieu cher op. 42, Valse-scherzo in do maggiore op. 34
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Federico Ercoli – Goethe Zentrum 25 Febbraio 2017

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Un concerto iniziato male ma terminato meglio. L’esecuzione della “patetica” ha rispecchiato il suo nome. Ma da quando in qua una sonata di impianto comunque classico (con l’ovvia, bellissima introduzione che non può però improntare tutta l’esecuzione) può essere eseguita con languori e affrettati inaccettabili persino nel repertorio romantico, molte incertezze tecniche e un tempo finale a una velocità appena sopra il minimo sindacale? Inaccettabile assolutamente lo scompenso durante tutto il secondo tempo fra mano sinistra e destra, un “vizietto” da evitare sempre ma che proprio se considerato necessario dovrebbe essere confinato a brevisimi momenti. Suggerirei l’ascolto di grandi maestri come Brendel e Schiff per capire come l’espressività si debba basare sulla scelta di sfumature sonore e non su grossolane variazioni di tempo o artifici dinamici di bassa lega. Meglio l’esecuzione dell’op. 22 (una sonata poco praticata) soprattutto nel secondo tempo, non piagata da errori tecnici e certamente assai più maturata della patetica. Dopo l’intevallo è stata una buona sorpresa l’esecuzione della “Wanderer”. Seppure eseguita in un contesto acustico assolutamente negativo (e che richiederebbe la chiusura parziale del coperchio del pianoforte per evitare un rimbombo inaccettabile – un consiglio più volte ribadito e mai adottato) è risultata in tutto il suo fulgore musicale e virtuosistico anche  nei passaggi più impervi (ad esempio negli arpeggi discendenti del finale del terzo tempo). Preceduta da due brevi brani (non previsti dal programma) dell’ultimo, intimistico Liszt, Mazeppa si è confermato come sempre uno dei peggiori polpettoni virtuosistici del compositore ungherese. Come bis la polacca “eroica” che ha chiuso come pendant  la patetica iniziale.
Quanto alle “introduzioni” ai brani, sarebbe opportuno evitarle ma se proprio le si ritengono indispensabili (una sorta di pulsione irrefrenabile) andrebbero almeno curate. Si può parlare della “patetica” senza citare il contesto storico napoleonico, dimenticare di sottolineare come la “Wanderer” abbia l’impostazione architetturale di una sonata classica in 4 tempi (addirittura con un trio nel terzo tempo assimilabile a uno scherzo in tempo ternario), che il suo ultimo tempo è una fuga e infine non ricordare il controverso e articolato rapporto “familiare” fra Liszt e Wagner?
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L.V. Beethoven Sonata op. 13 “patetica”, sonata op. 22
F. Schubert Wanderer Fantasia
F.Liszt Dagli studi trascendentali: “Mazeppa”
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Mario Brunello- Musica Insieme 6 Febbraio 2017

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Certamente Mario Brunello è al vertice del violoncellismo mondiale insieme alle icone Mischa Maisky, Yo Yo Ma etc. ed è musicista eclettico che non disdegna esplorare forme musicali non strettamente legate al suo strumento o abbinamenti che esulano dal suo campo come quella con il “pianista” Zagrebelsky (in materia i politologi affermano che è un grande pianista e i pianisti che è un grande politologo…). Una tentazione molto diffusa che nasce inevitabilmente dalla letteratura non amplissima del violoncello (anche se segnata da capolavori assoluti come le sei suites bachiane).  In questa ottica Brunello ha presentato due capolavori bachiani per violino nella versione su violoncello piccolo (uno strumento a metà strada fra viola e violoncello già usato da Bach in alcune cantate e che molti studiosi ritengono fosse lo strumento sul quale eseguire la sesta suite per violoncello), un esperimento non privo di rischi visto il virtuosismo implicito nella versione violinistica che non facilmente può essere trasposto su violoncello, anche se di dimensioni ridotte. Il risultato è stato interessante ma discutibile. Il timbro del violoncello – anche se rimpicciolito – non pare garantire quei risultati che la versione violinistica fornisce. Ma forse si tratta solo di abitudine anche se di questi esperimenti non si sente in realtà il bisogno. Brunello però si avventura anche in un altro esperimento: quello di trasporre la quarta suite per violoncello dalla tonalità di Mib a quella di Sol, un salto di due toni. Fermo restando ovviamente che lo sviluppo armonico rimane il medesimo, le sonorità più alte non giovano all’ordito bachiano che trova la sua collocazione più corretta nella tonalità originale. Ovviamente “tout se tient” ma c’è veramente da chiedersi se la necessità di novità si sposi con quella della qualità.  Un concerto comunque di qualità vista l’eccellenza dell’esecutore (e anche il suo virtuosismo come nel caso dell’ultimo dei due bis bachiani – un’anteprima di un successivo concerto con le trasposizioni di altre composizioni violinistiche) anche se per Brunello – come per ogni interprete – i segni dell’età fanno talvolta capolino. Ma si tratta di inezie. Una considerazione merita invece l’esecuzione di brani per violoncello solo in una sala delle dimensioni del Manzoni la cui acustica è notoriamente carente soprattutto se si considera che nel caso di Brunello viene usato un archetto “barocco” con impugnatura barocca. Purtroppo il suono tende a perdersi nella sala: il violoncello solo trova la sua collocazione naturale in ambienti molto più ridotti (non per niente è “musica da camera” per eccellenza) o almeno con un’acustica ben diversa da quella del concerto di Brunello.  I concerti per violoncello al Manzoni debbono necessariamente essere basati su una letteratura che preveda un accompagnamento, tipicamente il pianoforte.
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Sonata n. 3 in do maggiore BWV 1005, Partita n. 3 in mi maggiore BWV 1006 (dal violino su violoncello piccolo)
Suite n. 3 in do maggiore BWV 1009, Suite n. 6 in re maggiore BWV 1012 (su violoncello)
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