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Era da tempo che Yuja Wang non suonava a Bologna,
se ben ricordo da una brevissima miniserie di grandi pianisti (con Kissin e Blechaz) al Comunale di Bologna organizzata da Musica Insieme nel 2012, una manifestazione purtroppo e colpevolmente non ripetuta senza alcun apparente motivo (fra l’altro decisione non giustificata economicamente visto il folto pubblico che assistette ai concerti). Wang è ormai assurta giustamente ai massimi vertici del pianismo mondiale (con buona pace di E.Stinchelli e M.Damerini con cui ebbi tempo addietro una ridicola e infelice diatriba su Facebook – ah quando non si capisce niente, magari per invidia…!) nonostante l’ancor giovane età e soprattutto senza essere passata attraverso alcun concorso musicale importante ma solo per l’intuito di Abbado, che l’ascoltò in occasione di una sostituzione di una delle non infrequenti rinunce all’ultimo momento della Argerich. Wang è non solo una grandissima artista dotata di una tecnica prodigiosa ma è anche una provocatrice seriale visto il suo abbigliamento sempre al limite del buon gusto (e nel caso del concerto in questione ha rinunciato ai consueti spacchi inguinali!) ma a chi suona come lei si perdona tutto. E colpisce il provincialismo bolognese che incapace di valutare oggettivamente le qualità di questa grande pianista si ferma solo all’aspetto estetico arrivando a definirla un “fenomeno da baraccone”. Ah l’ignoranza! Poi va detto che il quarto di Rachmaninov (nella versione del 1941) è certamente il meno bello (leggasi il più brutto) dei concerti del pianista russo ormai avanti negli anni e con evidenti influssi negativi della poetica musicale americana. E’ anche probabile che questa sia una delle prime esecuzioni del concerto da parte della Wang visto lo spartito sul leggio ma di certo l’intera esecuzione è stata macchiata da un’esuberanza del direttore con l’orchestra che ha costantemente sovrastato il pianoforte e che ha trasformato un concerto per pianoforte e orchestra in un concerto per orchestra con accompagnamento di pianoforte. Un’orchestra costantemente sopra le righe con gli ottoni sparati a perdifiato guidata da un direttore che pare più un ginnasta che un musicista. Niente a che vedere con il gesto misurato e nobile di un Abbado, di un Baremboin. Qui la quantità ha sostituto la qualità e l’esecuzione della sinfonia di Čajkovskij è stata anche piagata da un secondo tempo staccato con tempi da induzione al sonno. Naturalmente non tutto è da buttare e il risultato complessivo è stato decente con un pubblico scatenato dopo la sinfonia del compositore russo. E come non potrebbe visto il finale rutilante? Ma parlare dell’ignoranza del pubblico è come sparare sulla crocerossa (utilizzo troppo spesso questa locuzione?). Due i bis concessi dalla Wang: l’ultimo difficilissimo tempo della settima sonata di Prokof’ev (una scelta non felice: che significato ha suonare un singolo tempo di una sonata quando non mancano certo brani singoli di significato compiuto?) e un Lied ohne Wort intimistico di Mendelssohn (un’indicazione ricevuta da terzi: io non l’avevo riconosciuto). Successo complessivo di pubblico.
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Programma:
Franz Joseph Haydn Sinfonia n.49 in fa minore Hob. I:49 “La Passione”
Sergej Rachmaninov Concerto n.4 in sol minore op.40 per pianoforte e orchestra






L’orchestra sovrastava o lei non riusciva ad avere la potenza di suono richiesto?
È un interrogativo che mi pongo da ieri sera, non ero mai stata al Manzoni, ero seduta in platea ma in fondo, sotto un soffitto che probabilmente non faceva arrivare il suono.
Sono rimasta fino alla fine, quando chi non era più interessato è uscito mi sono seduta più avanti, ma ovviamente la pianista ormai aveva finito e suonava potentemente solo l’orchestra.
Il pubblico bolognese è stato un po’ irrispettoso, pochi applausi tanti bei vestiti in sfilata fino all’uscita.
Non aggiungo altro. Sicuramente in altri teatri ci sarebbe stato un clima diverso.
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È stata colpa SOLO dell’orchestra!!
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