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La storia è quella tragica di un buffone, ma non fraintendetemi. Non sto parlando di Rigoletto ma di una buffonata teatrale ammannita dal “regista” Alessio Pizzech, un carneade catapultato al teatro comunale, che naturalmente per segnalarsi vuole impressionare, strafare, come accade – ad esempio – ai direttori di orchestra di terza categoria che si dimenano sul podio sostituendo invano la ginnastica all’autorevolezza della bacchetta. Rigoletto viene presentato come una “drag-queen“, con tanto di calza velata con giarrettiera e durante l’ouverture si infila una scarpa col tacco. Probabilmente il “regista” in un futuro (se non viene prima tempestivamente cacciato da tutti i teatri d’opera) si inventerà un Rigoletto femmina (come è accaduto alla Deutsche Oper di Berlino con un pasha del Ratto del Serraglio donna – viva il transgender!). La prima scena è volgare quanto basta (una tentazione cui il regista non sa sottrarsi ogniqualvolta si tratta del palazzo del Duca di Mantova) con atti sessuali espliciti di pessimo gusto che non provocano più, ma semmai annoiano. Sembra di vedere un impianto scenico della Komische Oper di Berlino prima del cambio del sovrintendente. Per essere sicuro di essere capito poi nella seconda scena a palazzo le donne si muovono come pupazzi meccanici (oggetti, insomma) maneggiati da uomini infoiati. Le “provocazioni” sessuali hanno fatto da lungo tempo il loro tempo e Carmelo Bene è ormai un ricordo sbiadito copiato solo da patetici epigoni. Forse sarebbe molto più provocatorio un baccanale tradizionale ma per capirlo sarebbe necessario avere quella materia grigia teatrale che manca al Pizzech. Toltosi il costume di scena (riposto in una valigia) Rigoletto fino alla fine dell’opera si trasforma in una sorta di commesso viaggiatore (sempre con valigia appresso per sicurezza, mai gli venisse richiesta una prestazione all’impronto). Gilda si presenta come una decerebrata mentalmente ritardata uscita da una bacheca di bambole ‘fin de siècle” a indicarne la assoluta mancanza di cervello (sempre donne come bambole, un’ossessione del “regista”). Forse l’unica trovata registica parzialmente valida è quella di collocare la locanda di Sparafucile su uno sgangherato battello fluviale visto che il corpo del Duca (in realtà Gilda) dovrebbe essere buttato alla fine nel fiume. Ora io non voglio più parlare di questa infame “regia” (e poi il teatro si lamenta se viene degradato sul piano nazionale – ma è giusto che questo avvenga) che purtroppo è il controcanto di una gestione dilettantesca (Ezio Bosso incluso!) perché comunque farei un favore al “regista” continuando a considerarlo: costui meriterebbe di fatto solo uno sdegnato silenzio. E al confronto anche la povera regia de Le nozze di Figaro attualmente in programma alla Scala e criticata da pubblico (ripetuti buuh) e critici diventa di valore strehleriano al confronto. Veniamo al cast musicale. Oggettivamente di valore medio-alto anche se non stratosferico. Sopra tutti il duca di Mantova Celso Albelo un tenore dal timbro possente, in grado di modulare tutti i registri ma che purtroppo sforza nell’acuto. Una prova comunque di qualità. Un giudizio simile per la Gilda di Irina Lungu che nelle arie chiave e nel duetto del primo atto con Rigoletto trova sempre il registro giusto (soprattutto nell’agilità) con il difetto di sforzare anch’essa negli acuti. Quanto al Rigoletto di Marco Caria, dopo un primo atto discutibile trova nel secondo e nell’ultimo atto i toni giusti. Piuttosto scadente lo Sparafucile di Antonio di Matteo e nella norma la Maddalena di Rossana Rinaldi. Durante la rappresentazione mi sono ripetutamente ricordato della splendida edizione bolognese del 1990 con June Anderson: qui siamo distanti anni luce. Successo controverso con una prevalenza di applausi (ma si sa: la clacque svolge diligentemente e rumorosamente il proprio mestiere alle prime) e buuh che provengono non solo dal loggione ma anche dalla platea (io) nello sconcerto di un pubblico ingessato, tradizionalista e conformista ma quando ce vo’ ce vo’.
Cast
Rigoletto |
Marco Caria |
Il duca di Mantova |
Celso Albelo |
Gilda |
Irina Lungu |
Sparafucile |
Antonio Di Matteo |
Maddalena |
Rossana Rinaldi |
Giovanna |
Beste Kalender |
Il Conte Monterone |
Andrea Patucelli |
Marullo |
Raffaele Pisani |
Matteo Borsa |
Pietro Picone |
Il conte di Ceprano |
Hugo Laporte |
La contessa di Ceprano |
Marianna Mennitti |
Un usciere |
Michele Castagnaro |
Un paggio |
Marianna Mennitti |
Direttore |
Renato Palumbo |
Regia |
Alessio Pizzech |
Scene |
Davide Amadei |
Costumi |
Carla Ricotti |
Luci |
Claudio Schmid |
Movimenti scenici |
Isa Traversi |
Assistente alla regia |
Valentina Brunetti |
Maestro del Coro |
Andrea Faidutti |






Sono pienamente d’accordo su quanto detto della regia: semplicemente grottesca.
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