Un concerto a due facce: una prima parte di solo quartetto e una seconda parte con il quintetto op. 34 di Brahms. Nella parte puramente quartettistica è certamente risultata migliore l’interpretazione del quartetto di Janáček mentre quella del quartetto delle arpe di Beethoven (op. 74) è risultata priva di nerbo e sostanzialmente esangue. Un bellissimo suono, solisti che si trovano a occhi chiusi ma nei quartetti beethoveniani oltre alla componente apollinea esiste anche quella vitale vitale e drammatica (a titolo di paragone si ricordi che il quartetto è stato composto più o meno nello stesso periodo della sonata op. 81 “Les adieux”). Quindi una esecuzione – parafrasando una nota canzone – “bella ma senz’anima“. Diverso è il giudizio per il quartetto n.1 di Janáček (“La sonata a Kreutzer” che nulla ha a che vedere con la celebre sonata per violino e pianoforte di Beethoven). Qui la componente ceca ha trovato la sua espressione migliore e l’esecuzione è risultata vibrante e ha messo in luce tutte quelle caratteristiche che fanno del compositore (purtroppo non spesso eseguito in Italia) un grande rappresentante della musica mitteleuropea del primo ‘900.
Il quintetto brahmsiano è sostanzialmente un brano pianistico con il supporto degli archi, come peraltro comprovato dalla sua genesi per due pianoforti. Il pianismo di Ang Li è sempre granitico e sorretto da un’ottima tecnica ma è assolutamente carente sul piano del canto. La pianista cinese ha trascinato il quartetto Janáček in tempi sempre vorticosi che sono perfetti per il 3° e 4° tempo ma assolutamente innecessari e controproducenti nel secondo tempo dove il tema di terze perde tutto il suo fascino cantabile riducendosi a un esercizio meccanico. Ovviamente il finale travolgente del quintetto ha scatenato l’entusiasmo del pubblico che ha applaudito lungamente (come sempre più la musica che gli interpreti… Il pubblico ha la memoria corta e valuta solo le ultime battute di un’esecuzione. Da notare il solito ridicolo, penoso esercizio ginnico di chi applaude alzando le mani al cielo per distinguere il proprio gradimento da quello della massa… ).
Sono sempre stato contrario alle “introduzioni” che precedono i concerti ma avevo salvato quelle di M. Chiara Mazzi. Quella di ieri sera però conteneva un notevole errore storico. Asserire che i cambiamenti apportati da Beethoven alla struttura del quartetto corrispondono alle “rivoluzioni” sociali allora in atto è antistorico. La vita di Beethoven (un libertario individualista, un ribelle ma in nessun modo un rivoluzionario) si svolge nel segno delle controrivoluzioni e delle restaurazioni, quella napoleonica prima e quella del congresso di Vienna poi. Le prime rivoluzioni (dopo quella francese del 1789 tradita da Napoleone) si hanno negli anni’30 dell’800 in Francia, quando Beethoven è morto da quasi 10 anni. A meno che non si voglia considerare la restaurazione (la controrivoluzione) napoleonica una rivoluzione ma questo è semplicemente storicamente sbagliato.
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