Avevo ascoltato Mikhail Pletnev l’ultima volta alcuni anni fa in una sciagurata esecuzione della Fantasia op. 17 di Schumann e ammetto di essere arrivato al concerto prevenuto. Ma in modo intellettualmente onesto debbo rovesciare il mio giudizio. Pletnev ci ha offerto un concerto di grande qualità che ha spaziato da Beethoven a Skrjabin passando per le pochissime (e a ragione) frequentate Humoreske di Schumann. Di scuola slava ne ritiene tutte le caratteristiche (ampia dinamica, espressività al limite dell’arbitrio) ma con una coerenza stilistica che comunque porta a grandi risultati. Il pianismo di Pletnev si fonda su una base tecnica solidissima (si vedano i preludi di Skrjabin e alcune delle Humoreske) sulla quale è costruito un percorso interpretativo convincente. Particolarmente felice è risultata l’esecuzione della sonata op. 31 n. 2 (“La tempesta”) di Beethoven che ne ha colto le intrinseche contraddizioni. Forse il meglio del concerto si è avuto nel bis costituito da un notturno di Chopin eseguito semplicemente alla perfezione. Insomma un pianista che ove mantenga il profilo esecutivo riscontrato vorremmo riascoltare quanto prima. Grande successo di pubblico e larga partecipazione di giovani che opportunamente tenuti sotto stretto controllo da due “occhiute” maschere non hanno dato luogo a quei comportamenti inadeguati riscontrati in analoghe precedenti occasioni permettendo loro, forse, di avvicinarsi a un settore musicale ad essi per lo più ignoto.