Il pianoforte a 4 mani è spesso sottovalutato sia come repertorio che come complessità esecutiva. La letteratura offre bellissimi brani, molto spesso poco noti al grande pubblico: ne è un esempio la grande fuga op. 133 di Beethoven per la quale l’autore stesso ha predisposto una trascrizione (molto difficile e peranto di rara esecuzione) per il piano a 4 mani. Si pensa erroneamente che l’esecuzione a due pianoforti sia assimilabile a quella del piano a 4 mani ma le problematiche sono del tutto differenti. Il problema esecutivo dell’esecuzione a 4 mani risiede sia nel fatto che uno dei due esecutori opera nel registro basso del piano (e quindi con un volume di suono superiore a quello dell’altro esecutore mentre la parte che esegue è spesso di accompagnamento) sia nel fatto che il volume complessivo del suono è estremamente elevato e proveniente da una sola sorgente, rendendo l’esecuzione dei “piani” spesso problematico. I due problemi suesposti hanno caratterizzato il concerto del duo in questione al Goethe Centrum. I brani eseguiti sono risultati sempre fra il mf e il ff con una prevalenza talvolta disturbante del registro basso: i “piani” sono risultati quasi inesistenti. Va detto a parziale giustificazione che la qualità del piano e l’acustica della sala hanno contribuito all’effetto indesiderato. Quanto alla specificità dell’esecuzione è risultata abbastanza evidente una differenza nel pianismo dei due interpreti a favore di Erika di Marco e certamente l’esecuzione di alcuni brani brillanti (e in particolare le danze ungheresi di Brahms) avrebbero richiesto un tempo decisamente più accelerato pur riconoscendone la difficoltà tecnica. “Room for improvement”…