Come possa essere albergata nell’estensore del libretto (Temistocle Solera) un’idea tanto bislacca come quella del Verdiamo Nabucco è impresa sisifea. Sull’ assurda improbabilità della storia si può, si deve stendere un velo più che pietoso: si pensi solo che nello stesso anno (1842) prendeva forma Der fliegende Hollander di Wagner…. In un’opera lirica non si può, non si deve prescindere dal libretto che è parte integrante della composizione altrimenti tanto varrebbe ascoltare unicamente la musica (che nel caso del Nabucco solo in alcune parti raggiunge vertici musicali, come nel famosissimo e persino politicamente abusato “Va pensiero”). Ciò detto al Nabucco bolognese vanno ascritti alcuni meriti: una direzione e un coro di ottima qualità, una superlativa Abigaille (veramente eccezionale la prestazione del soprano Anna Pirozzi in un ruolo difficilissimo), un’ottima qualità vocale del basso Dmitry Beloselskiy nella parte di Zaccaria e le scene alle quali un’illuminazione perfetta ha aggiunto un effetto cromatico di grande valore. Contrastata l’onesta prestazione di Nabucco (Vladimir Stoyanov a mio giudizio ingiustamente “buuato” dal loggione) alle prese con una parte oggettivamente non esaltante mentre il resto della compagnia di canto si è mantenuto su un livello di media professionalità con un tenore (Sergio Escobar – Ismael) assolutamente inadeguato alla pur ridotta parte, in costante difficoltà negli acuti e dalla intonazione incerta nei recitativi. Da notare i moltissimi posti e palchi vuoti e il provincialissimo fenomeno degli abbandoni dopo l’intervallo che dimostra come una parte non piccola degli spettatori consideri una “prima” come una vetrina per la propria vanità e lo spettacolo un fastidioso intermezzo fra i due momenti “clou” della serata: ingresso e intervallo. Che succederà con il Parsifal in Gennaio?
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