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Uno dei requisiti …
. .. indispensabili per la qualità di un duo è l’equilibrio dei (“delle” in questo caso) due interpreti sia sul piano tecnico che su quello interpretativo. Non è quello che abbiamo avuto modo di ascoltare nel concerto di ieri sera: Beatrice Rana è un’artista di calibro internazionale mentre di certo la stessa cosa non si può dire per la sorella che, volendo essere generosi, si può equiparare a una brava studentessa di conservatorio. (La cosa mi ha ricordato MIscha Maisky e la figlia LIli a parti invertite. Mi sembra che recentemente il grande Mischa abbia giustamente abbandonata Lili al suo – non brillante – destino). Ludovica Rana è dotata di una buona (non trascendentale) tecnica ma ha un suono drammaticamente flebile. E’ vero che il violoncello in una sala come il Manzoni soffre, soprattutto se accoppiato a un pianoforte con il coperchio aperto (ma non non sarebbe più ragionevole tenerlo solo socchiuso?) ma qui siamo di fronte a una carenza strutturale. Tralasciando i due brani di apertura del primo e secondo tempo (ma era proprio ragionevole eseguire la trascrizione di due Lieder di Clara Wieck che nelle trascrizione hanno perso tutto il colore dell’esecuzione da parte di un soprano?) i due brani “clou” del concerto erano la bellissima sonata di Brahms (con quell’ “unicum” della fuga finale) e quella di Mendelssohn. In Brahms, nonostante la buona, lodevole, volontà di Beatrice che ha cercato – soprattutto nel primo tempo – di attutire la sonorità del piano, il suono del violoncello è stato per lo più da immaginare che da ascoltare. Un’esecuzione timorosa e scolastica di un capolavoro. Niente da obiettare sull’intonazione ma sul piano del suono, dell’interpretazione e del dialogo con il piano siamo al deserto. E lo sforzo di ridurre la sonorità del piano è stata frustrata nella fuga finale dove inevitabilmente la partitura (accordi, ottave etc.) hanno reso vano lo sforzo. E chiudo per non interpretare il ruolo di Maramaldo. Meglio – un poco – la sonata di Mendelssohn. Qui dal profondo nulla di Brahms, anche grazie alla partitura sfavillante, il violoncello ha fatto capolino. Non molto altro da aggiungere. Un pubblico folto – non foltissimo, anche perché il violoncello non è strumento da eccitare gli animi – ha tributato un buon successo premiato con un bis del padre delle due interpreti, un “pot pourri” di arie pucciniane da relegare immediatamente nel dimenticatoio musicale.
PS Fermo restando che “l’abito non fa il monaco” e che – come nel caso di Yuja Wang – l’abbigliamento non ha nessun impatto sul giudizio di chi scrive consiglierei a Ludovica di cambiare stilista perché anche sul piano estetico le due sorelle sono state distanti quanto la luna dalla terra.
Programma
Wieck Schumann Ich stand in dunklen Träumen op. 13 n. 1, Die stille Lotusblume op. 13 n. 6
Brahms Sonata n. 1 in mi minore op. 38
Mendelssohn Hensel Fantasia in sol minore
Mendelssohn Sonata n. 2 in re maggiore op. 58
PS Sono costretto ancora una volta a segnalare che commenti “anonimi” e non inviati ai “commenti” dei posts sono immediatamente cassati






Non diversamente da altri casi,
e’ difficile che l’ eccellenza sia uniformemente ripartita tra consanguinei
( forse le sorelle Labeque ?!).Non fanno eccezione le sorelle Rana , in cui appunto una e’ assurta ai palcoscenici internazionali ( curando e migliorando al proposito , anche immagine e dizione ).Venendo al Concerto di ieri sera, non imperdibile, del tutto spento soprattutto in Brahms, di cui poco e’ stata evidenziata la grande bellezza dandone una versione piuttosto generica.Sarei indulgente nella scelta del bis, inteso piu’ come omaggio al genitore che a Puccini.
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