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Molto onestamente…
. . ci saremmo aspettati di più da un programma così interessante (va rimarcato che ancora una volta è mancata la componente “moderna” a riprova che molte composizioni del nostro tempo sono di difficile “digeribilita”. Naturalmente non mancano autori del primo novecento che sono entrati regolarmente nei programmi, ad esempio Ravel, Rachmaninov, Debussy, etc. ma in numero molto contenuto e anche alcuni – pochissimi – autori quasi contemporanei come Schnittke. Questo dovrebbe dire qualcosa ai compositori odierni che certamente non possono essere epigoni dei grandi autori dell’800 ma ai quali sarebbe richiesto di evitare composizioni assimilabili ai puri e semplici rumori). Bronzi è certamente un violoncellista di qualità ma nel concerto in questione, complice anche la sala e un accompagnatore discutibile, non ha brillato come ci si sarebbe atteso. Bronzi estrae dal suo violoncello una quantità di suono mirabile ed è dotato di ottima, non trascendentale, tecnica. Ma l’ampiezza del suo suono ha portato il pianista ad eccedere nei “forti” sbilanciando quel delicato equilibrio che deve esistere in un duo. Sarebbe molto utile che i pianisti accompagnatori, che tengono insistentemente – e erroneamente – il coperchio del piano aperto, si sistemassero in sala ascoltando qualche collega per il volume del suono e capirebbero come sia necessaria una moderazione del volume di suono emesso se si vuole raggiungere una fusione di qualità fra i due strumenti. Passando all’esame dei brani eseguiti certamente quello di maggior pregio è stato quello schumanniano (uno dei pochi esempi del compositore tedesco al violoncello culminati con il bellissimo concerto). Qui emerge la componente pianistica (Schumann era pianista) cui è dedicata una parte non secondaria dei 5 brani della suite. Buona l’esecuzione del famoso “arpeggione” più noto per il virtuosismo cui sottopone il violoncellista che per la sua qualità musicale ma che ha fatto rimpiangere esecuzioni storiche di maggior pregio. Qualche perplessità più marcata ha invece destato l’esecuzione della sonata beethoveniana (che di fatto sostituisce l’andante con lo scherzo cominciando la frantumazione della forma sonata che avrà la sua consacrazione nelle ultime composizioni dell’autore d Bonn). Qui purtroppo non sono mancate fallosità evidenti del piano nel secondo e nell’ultimo tempo e la sensazione che l’esecuzione pianistica fosse caratterizzata da un’ “ansia da prestazione” che ha nuociuto al risultato finale. Una sala completamente esaurita che ha applaudito i due esecutori che hanno concesso un bis.
Programma
R.Schumann Fünf Stücke im Volkston
F.Schubert Sonata D 821 “arpeggione”
L.v. Beethoven Sonata op 69
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