Sinfonica

Guillaume Tell – La Scala 10 Aprile 2024


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Di sicuro il Guillaume Tell
….non è il capolavoto di Rossini  e la decisione di rappresentarlo in forma pressochè completa è un’impresa molto complessa per qualunque teatro d’opera, come testimoniato dai pochissimi esempi recenti (l’unica altra occasione recente che ricordo è il Rossini festival). E non è solo la sua abnorme lunghezza (oltre 5 ore ma ci sono altri esempi come quelli wagneriani) ma soprattutto la sua disuniformità nella quale le parti cantate sono inframmezzate da lunghi interemezzi puramente orchestrali che spezzano l’azione teatrale e che non sempre sono musicalmente di alto livello. Va ricordato che Rossini compose l’opera (l’ultima) mentre si trovava in campagna e si dedicava per buona parte della giornata alla pesca all’amo.  Questo per dire che l’integrale del Guillaume Tell richiede una esecuzione musicale e una regia di altisssimo livello e non è questo il caso dell’edizione scaligera dove la regia è, a essere magnanimi, scellerata. Detto in modo provocatorio non è il nome di Muti che fa un (o una) regista di alto livello. Qui siamo in una scena lugubre (si sarebbe voluto richiamare Metropolis di Fritz Lang  ma il richiamo è decisamente fallimentare). La scena è costantemente immersa in un’atmosfera lugubre con costumi e scenari sui toni del grigio a partire dai due casermoni stile DDR che incombono  rappresentando volta a volta prigioni, abitazioni e altro e che vengono mossi a scacchiera. Il coro, che tanta parte ha nell’opera, è agghindato da operai della grande depressione ed è dotato (questo proprio non si capisce) di tablet luminosi a luce bianca accesi e spenti  senza alcun costrutto e che irritano lo spettatore. Il bosco da cui si appalesano nel buio i combattenti del cantone che si unisce a quello di Tell è dotato di lucine colorate  che si accendono e si spengono come quelle di un alberino di natale. Il racconto di Arnold della morte del padre ha un retroflashback con carnefici che si accaniscono sul povero malcapitato che alla fine, con una scelta di gusto infame, viene crocifisso e mancano solo i soldati che si giocano le vesti e il centurione che scaglia la lancia sul costato della vittima. Nel primo duetto dei due innamorati Arnold e Mathilde si appalesano delle sorte di dame di compagnia dei due protagonisti il cui ruolo è oggetto di indagine di psichiatri di fama mondiale. Gesler è avvolto in una cappa rossa che vorrebbe rappresentare la sua scelleratezza ma che invece ricorda alcune rappresentazioni medievali di incappucciati (una sorta di Dart Fener ante litteram), alla testa di scherani i cui costumi ricordano quelli delle guardie papali (e non è mancata una scena con incappucciati stile Ku Klux Klan). Il coro che si ribella al tiranno è dotato di armi che vanno dallo spadone medievale alla mitraglietta Sten. E si potrebbe continuare a enumerare le scelte registiche da grand guignol del tipo “voglio e non posso” ma non vorrei annoiare il lettore così come mi sono annoiato io in sala. La ciliegina sulla torta è stata la coreografia delle molteplici parti danzate utilizzate per accompagnare i brani puramente orchestrali che ha avuto il suo punto di minima in una scena lunghissima che avrebbe dovuto rappresentare il contrasto fra gli invasori e il popolo, agghindando gli oppressori come modelli di una sfilata di moda e gli oppressi come schiavi sottomessi e violentati. Un scelta coreografica che ha scatenato i buh non solo del loggione ma anche quello della platea al quale anche io per una volta mi sono associato. Un disastro totale, registicamente parlando. Ben diversa è stata invece la parte musicale diretta da un Mariotti in grande spolvero che ha guidato la complessa e spesso prolissa partitura con grande professionalità a cominciare dalla famosa ouverture e con una orchestra ancora una volta all’altezza del complesso compito. Un plauso particolare al primo violoncello che fin dalle prime note iniziali ha saputo esprimere tutto il pathos  della vicenda. Quanto alla compagnia di canto Pertusi come Tell è stato assolutamente all’altezza della sua fama e ha strappato anche un lungo applauso a scena aperta nell’aria con il figlio prima della famosa mela. Ma anche l’Arnold di Korchak non è stato da meno in un ruolo impervio. Per una volta hanno svettato le parti maschili mentre meno incisiva è stata la prova di Jicia come Mathilde anche se a sua parziale discolpa va detto che la parte che Rossini le attribuisce non è particolarmente felice. Una voce di buona ma non eccelsa qualità senza alti e bassi. Nella norma gli altri cantanti. Dopo i calorosi buh non so quale sia stata l’accoglienza finale del pubblico in quanto appena terminata l’opera alle 23.40 sono uscito rapidamente: spero che abbia sonoramente fischiato la regia e la coreografia. In totale comunque uno spettacolo assolutamente non all’altezza della tradizione scaligera e sarebbe bene che il sovrintendente rifiutasse registi o direttori non all’altezza del loro compito. Un piccolo particolare che sorprende piacevolmente chi è abituato alla non castigata maleducazione bolognese degli spettatori che accendono il cellulare durante la rappresentazione: qui non solo viene raccomandato di spegnere il cellulare ma le maschere che individuano i decerebrati che si dilettano del telefonino intervengono per fare spegnere l’aggeggio. Ma la scala non è il provinciale comunale “nouveau” di Bologna.
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(Giovanni Neri 78)
Direttore MICHELE MARIOTTI
Regia CHIARA MUTI
Scene ALESSANDRO CAMERA
Costumi URSULA PATZAK
Luci VINCENT LONGUEMARE
Coreografia SILVIA GIORDANO

Cast

Arnold Melchtal Dmitry Korchak
Guillaume Tell Michele Pertusi
Walter Fürst Nahuel Di Pierro
Melchtal Evgeny Stavinsky
Gessler Luca Tittoto
Rodolphe Brayan Ávila Martinez
Leuthold Paul Grant
Ruodi Dave Monaco
Mathilde Salome Jicia
Jemmy Catherine Trottmann
Hedwige Géraldine Chauvet
Un chasseur Huanhong Li
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 For sure Guillaume Tell is not Rossini’s masterpiece and the decision to perform it in almost complete form is a very complex undertaking for any opera house, as evidenced by the very few recent examples (the only other recent occasion I remember is the Rossini festival). And it is not only its abnormal length (over 5 hours but there are other examples such as Wagner’s) but above all its unevenness in which the sung parts are interspersed with long purely orchestral interludes that break up the theatrical action and that are not always musically of a high level. It should be remembered that Rossini composed the opera (the last) while he was in the countryside and devoted himself for a good part of the day to angling.  This is to say that the complete Guillaume Tell requires a musical performance and direction of the highest level and this is not the case of the La Scala edition where the direction is, to be magnanimous, villainous. Provocatively speaking, it is not Muti’s name that makes a high-level director. Here we are in a gloomy scene (one would have liked to recall Fritz Lang’s Metropolis but the reference is decidedly unsuccessful). The scene is constantly immersed in a gloomy atmosphere with costumes and scenery in shades of gray starting from the two DDR-style barracks that loom representing prisons, homes and more from time to time and which are moved in a chessboard. The chorus, which plays such a large part in the work, is dressed up as workers from the Great Depression and is equipped (this is really not understood) with luminous white light tablets turned on and off without any construct and which irritate the viewer. The forest from which the fighters of the canton that joins that of Tell appear in the darkness is equipped with colored lights that turn on and off like those of a Christmas tree. Arnold’s story of his father’s death has a backflashback with executioners who rage on the poor unfortunate who in the end, with a choice of infamous taste, is crucified and only the soldiers who play for his clothes and the centurion who hurls the spear at the victim’s side are missing. In the first duet of the two lovers, Arnold and Mathilde reveal the fate of ladies-in-waiting of the two protagonists, whose role is the subject of investigation by world-renowned psychiatrists. Gesler is wrapped in a red cloak that would represent his wickedness but which instead recalls some medieval representations of hooded men (a sort of Darth Vader ante litteram), at the head of snicers whose costumes resemble those of the papal guards (and there was also a scene with hooded Ku Klux Klan style). The chorus that rebels against the tyrant is equipped with weapons ranging from the medieval greatsword to the Sten submachine gun. And we could go on enumerating the grand guignol directorial choices “I want to and I can’t” type, but I don’t want to bore the reader as I was bored in the theater. The icing on the cake was the choreography of the multiple danced parts used to accompany the purely orchestral pieces, which had its lowest point in a very long scene that was supposed to represent the contrast between the invaders and the people, dressing up the oppressors as models of a fashion show and the oppressed as subjugated and raped slaves. A choreographic choice that unleashed the boos not only of the gallery but also that of the audience to which I also joined for once. A total disaster, directorially speaking. On the other hand, the musical part conducted by a Mariotti in great form was quite different, who led the complex and often long-winded score with great professionalism, starting with the famous overture and with an orchestra once again up to the complex task. A special applause to the first cello who from the first initial notes was able to express all the pathos of the story. As for the singing company, Pertusi like Tell was absolutely up to its fame and even snatched astanding ovation in the air with his son before the famous apple. But Korchak’s Arnold was no slouch in a difficult role. For once, the male parts stood out, while Jicia’s performance as Mathilde was less incisive, although in her partial defense it must be said that the part that Rossini attributes to her is very dull. A voice of good but not excellent quality without highs and lows. The other singers are normal professionals. After the boos, I don’t know what the final reception of the audience was: as soon as the opera was finished at 11.40 p.m. left quickly and I hope that the direction and choreography were loudly booed. In total, however, a perfomance that is absolutely not up to the La Scala tradition and it would be good for the superintendent to refuse directors or conductors who are not up to their task.
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