
MATISSE
Mettiamola così:.….
..gli dei sono dei membri di un’assemblea di una società in attesa di trasferimento della sede, capeggiati da un CEO di nome Wotan che è un tipo truffaldino che pretende di non pagare quanto pattuito per la costruzione della sede. Il Rudy Giuliani della situazione si chiama Loge e – a tempo perso – è anche il dio del fuoco. Un tizio non particolarmente attraente (Alberich) è sotttoposto a un complesso esame encefalico in una saletta dai vetri trasparenti ed è collegato, tramite un’intricata matassa di fili collegati a una caschetto, a una macchina di test. In più, essendo piuttosto pericoloso, è legato con delle cinghie elastiche alla sedia sulla quale è sottoposto al test. Passano di lì tre provocanti infermiere (Woglinde, Wellgunde e Flosshilde) cui è stata delegata la custodia di un prezioso oro dalle virtù magiche. L’Alberich, alla vista delle tre (che lo provocano), si eccita e tenta di raggiungerle, invano, e imbestialito dal rifiuto e dallo scorno delle tre, mentre è bloccato dalle cinghie e separato dal vetro, cade in preda a un furore iconoclastico, rompe tutto e si impadronisce del prezioso oro, decidendo di rinunciare per sempre al gentil sesso, scappando nei bassifondi (il Nibelheim) del quale, grazie alle virtù magiche dell’oro rubato, diviene il boss incontrastato, sottoponendo i picciotti del luogo (compreso il fratello Mime) a ogni tipo di angheria, terrorizzandoli, per obbligarli a estrarre oro giorno e notte.
Nel frattempo i due giganteschi capomastri (Fafner e Fasolt) che hanno costruito la nuova sede (chiamata Valhalla – simile alla Trump tower) si presentano con il conto della costruzione e si scopre che il CEO ha di fatto promesso una giovane e piacente dea (Freia) come guiderdone, sicuro che di fatto non dovrà mai pagare il conto. Ma i due sono dei tipacci che non ci sentono e solo dopo molte insistenze, seppure minacciati da due amministrativi della società sodali di Wotan (Froh e Donner), accettano di barattare la giovane con una pila d’oro in grado di nascondere completamente la figura della dea. Incalzato dalla moglie Fricka (che in tutto il Ring si rivela essere una scocciatrice emerita) Wotan non sa che pesci pigliare e si rivolge al summenzionato Rudy Giuliani che, esperto di trucchi e raggiri, suggerisce di contattare Alberich nel Nibelheim. Alberich si rivela non particolarmente intelligente, tronfio nel suo acquisito potere mafioso, dovuto, grazie all’oro rubato, sia a un anello magico che gli dà potere sul mondo sia a un casco forgiato da Mime, che gli permette di trasformarsi come vuole. Dopo essersi gonfiato come la rana di Esopo per dimostrare le sue capacità, stuzzicato dal perfido Loge, si trasforma in un piccolo insetto di cui Loge riesce a impossessarsi. Pirla.

Tornati in sede Alberich è costretto a cedere l’anello, il casco e per ottenere la libertà anche l’oro estratto ma fa in tempo a lanciare una terribile maledizione. Arrivano i capomastri che seppure a malavoglia accettano il baratto che può essere portato a termine però solo aggiungendo l’anello fatato. Froh e Donner continuano con la loro penosa pantomima. Per convincere il CEO a questo passo estremo interviene Erda, la fondatrice della società che si ritrova più volte nel corso del Ring (e madre delle Norne che filano i destini), che spiega come ci siano interessi superiori per la rinuncia. I due muratori finalmente riconsegnano la fanciulla ma subito litigano per l’anello e Fafner uccide Fasolt (con tanto di pistola).







Rimango sempre perplesso di fronte a certe regie, che trasportano le opere in epoche del tutto diverse cercando di forzare interpretazioni magari del tutto assenti nella mente dell’autore (in molti casi, fra l’altro, l’autore fornisce indicazioni precise su cosa dovrebbe succedere in scena). Si finisce per esagerare, si vedano i sonori fischi che hanno accolto il regista di una recente messa in scena di Tannhauser.
Detto questo, concordo con la descrizione dei personaggi de L’oro del Reno così ben delineata in Bertoldoblog: alcuni sono sicuramente dei loschi figuri, ma tutti, con la sola eccezione di Loge e della Madre Terra, sono dei veri imbecilli. Si parte con le Figlie del Reno che spifferano ad Alberich l’unica cosa che non dovevano dire, e cioè il metodo per impadronirsi dell’oro; si continua con Wotan che si è fatto fabbricare la fortezza sapendo di non avere il modo di pagare i due giganti (per fortuna che ha bevuto dalla fonte della conoscenza dando in pegno un occhio; ci si può chiedere cosa combinasse prima di andarsi ad abbeverare…); poi c’è Alberich, che si fa infinocchiare da Loge, che lo convince a trasformarsi in un rospo e lo cattura senza colpo ferire; e si finisce con quella tremenda rompiscatole di Fricka, che nel finale, all’invito di Wotan “moglie, vieni con me nel Walhalla…” non trova di meglio che rispondere “… e che vuol dire questa parola? non l’avevo mai sentita…”: ma come, tontolona, di cosa abbiamo parlato nelle ultime tre ore (oltre che in tutti i mesi precedenti, a cantiere aperto…)?
Forse è proprio la scenografia pensata in origine che, ovviamente combinata con una musica sopraffina, riesce a far deglutire allo spettatore le stranezze dei personaggi; se invece questi vengono forzatamente trasferiti al giorno d’oggi, le cose rischiano di non tornare.
PS: Una simile densità di demenza si trova anche in altre opere: basti pensare a cosa combina Azucena ne Il Trovatore; o a Cherubino, che a un bel momento, non sapendo cosa fare, si butta dalla finestra…
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Forse intendevi Kurvenal, non Bertoldo…
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