Delle opere di Britten (uno dei pochissimi compositori inglesi la cui produzione è ancor oggi rappresentata ed eseguita) è certamente questa, quella di più difficile interpretazione. Come in quasi tutte le opere del compositore inglese il riferimento è a un testo letterario di valore (nel caso specifico una fosca novella di Henry James dai contorni – volutamente ? – indefiniti) ed è da sottolineare il riferimento dodecafonico del tema dell’opera (si veda il tema a dodici note dello “screw”) probabilmente scelto nella sua atonalità per sottolineare l’effetto di straniamento che sottende tutto il libretto. La musica riflette infatti perfettamente l’atmosfera incerta e sospesa fra realtà e immaginazione che – seppure alla lontana – non può non richiamare il celebre film di S.Kubrik derivato da Arthur Schnitzler “Wide shut eyes“. La trama è pressochè non raccontabile anche perchè il suo valore sta proprio nell’incertezza della vicenda e va ascritto a merito del teatro comunale di Bologna l’avere messo in scena un’opera difficile e allo stesso tempo “intrigante” che ha ricevuto dal pubblico un meritato e forse insperato successo (seppure la platea era piena solo a metà…). L’impostazione registica fa ampio uso del “doppio” (un ulteriore tributo – forse per una volta più che giustificata – a Antonin Artaud – autore de Le Théâtre et son double nonchè fautore del teatro della crudeltà) che contribuisce al clima surreale in cui la vicenda si svolge, alludendo alla possibilità che non solo i bambini siano “posseduti” dai fantasmi dei precedenti servitori ma che i fantasmi stessi siano proiezioni della psiche della istitutrice (si veda in proposito l’ultima messa in scena di Glyndebourne). Bravi gli interpreti, bravo il direttore e brava la pianista che svolge – almeno una volta – un ruolo importante nella compagine orchestrale.