Anche quest’anno, regolare come le feste comandate, viene organizzato il festival etno-nazional-popolare di Ravenna. La caratteristica costante dell’evoluzione del festival è la progressiva, inarrestabile deriva verso una manifestazione “zibaldone” nel quale si vorrebbe far convivere forme “artistiche” diverse che vanno dai (pochi) concerti in senso classico, alle contaminazione (è contaminato persino Yo Yo Ma !), alle esibizioni etniche e persino religiose. Che dire: come nelle elezioni gli elettori hanno sempre ragione (ahi, ahi, Grillo…) così si pretende che gli spettatori (leggi il botteghino) abbiano sempre ragione. Con questa impostazione basterebbe proporre concerti rock e il gioco sarebbe fatto. Purtroppo la cultura è una questione assai più complessa, dove la conoscenza e l’educazione debbono convivere, con lo scopo di aprire a un mondo molto spesso totalmente ignaro (solo in Italia e nei paesi del sesto mondo la scuola trascura l’educazione musicale – a meno che non si voglia spacciare per tale qualche ora di flauto diritto o l’ennesimo, sporadico ascolto di “Pierino e il lupo”) orizzonti inaspettati che hanno una doppia valenza; il piacere dell’ascolto e il miglioramento della sensibilità artistica della persona. L’utopia dei piccoli passi (sperare che il pubblico arrivi alla musica classica attraverso le contaminazoni) ha già da tempo mostrato i propri limiti: il risultato non è l’aumento del pubblico alle manifestazioni di musica classica ma il suo imbastardimento. E se si vuole un esempio concreto basta un nome per tutti: Bollani. Amen