Leggete anche il blog bertoldoblog.wordpress.com



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Gentile Professore, veramente cado dalle nuvole : dove l’ avrei accusata di razzismo? E’ assolutamente il contrario, stigmatizzavo il modo di fare di noi Italiani – di molti Italiani, quelli che si occupano di media e di politica ( che sono la stessa cosa) in particolare – che mi pare abbiamo un rapporto schizofrenico con la disabilità: ne facciamo ( uso la prima persona plurale solo perchè sono cittadina di questo Paese e non perchè io condivida) o un valore aggiunto oppure, quando non ci “serve”, la umiliamo. Chiunque abbia un famigliare disabile non utile alla propaganda politico/mediatica sa quanto occorra chiedere , ed a volte pietire, per ricevere supporto.
Non vedo dove lei, Professore, trovi in questo un riferimento alla sua persona ( mi sono permessa la boutade nei confronti di Bruggen perchè so che non ama l’ interpretazione cosiddetta “all’ antica” ma sono molto contenta che lo apprezzi: si desidera sempre condividere ciò che si ama ed è una autorevole conferma ai miei gusti … ).
Io non ho mai ascoltato il Maestro Bosso, nè sapevo esistesse ( non guardo Sanremo) prima del suo arrivo a Bologna. Poi mi sono informata, ho ascoltato qualcosa su You Tube, e da quello che ho letto in giro – e sapendo come funziona da noi con i disabili, vedi Bocelli che purtroppo ho più volte sentito – non ho avuto alcun interesse ad andarlo ad ascoltare: mi fido di alcuni critici e soprattutto del suo parere.
Mi sono appena riletta ora ma non trovo veramente nel mio post precedente alcuna velata accusa di “razzismo”, soprattutto nei suoi confronti, io parlavo in generale di quello che succede in Italia.
In tutta evidenza non mi sono spiegata bene, soprattutto nella prima parte del mio discorso. Intendevo dire che se qualcuno possiede il cosiddetto “genio musicale” ( gli esempi che lei ha fatto sono calzanti) questo “salta fuori” indipendentemente dalla fisicità. Insomma, non ci accorgiamo della disabilità di un Tate, un Charles, un Petrucciani… non la consideriamo proprio. Nella domanda retorica che ho fatto seguire (… senza la loro disabilità, la loro “differenza”, sarebbero in quel posto?) mi appare chiaro che mi riferivo a tutti coloro che devono appunto al loro handicap, al nostro peloso provincialismo e non alla loro bravura, il posto che occupano. Oppure – e facevo il caso della dottoressa Giannotti – vengono iperpubblicizzati perchè ancora ci appare “strano” che una donna raggiunga posti di responsabilità in campo scientifico. Questo purtroppo ancora accade nel XXI secolo…
Mi scusi se non mi sono ben spiegata, mi creda che non intendevo assolutamente ciò che mi attribuisce ( se lo pensassi non frequenterei certamente il suo blog!).
Purtroppo la parola scritta ha un grosso handicap nei confronti della parola “parlata”: induce a fraintendimenti. Soprattutto quando il discorso si fa “sensibile” per qualcuno, la mancanza di tutti quei segnali corporei che rendono significante il discorso – il tono della voce, l’ espressione del viso, la postura ( siamo animali…) – induce ad equivoci.
Come è facile intuire, le parole più semplici e cortesi possono caricarsi di un significato ostile se accompagnate da “segnali” di odio o disprezzo e viceversa.
Con la parola scritta siamo noi stessi che la leggiamo a “caricarla” di significati. La prego di immaginare ogni parola di ogni mio post pronunciata col sorriso sulle labbra e la maggior apertura possibile alle idee di tutti. Al massimo, se posso permettermi, una benevola e sempre rispettosa ironia ( è nel mio carattere, cercherò di limitarmi…).
Gentile sig. Barilli, anche a me viene spontaneo rivolgermi con più cortesia nei confronti di qualcuno. Credo però che sia sbagliato, anche se “il mondo” se lo aspetta. Se riteniamo tutte le persone “uguali” ( e lo riteniamo tutti, immagino) dovremmo rivolgerci a tutti nel medesimo modo: è l’ unica via per dimostrare che non si tiene conto di alcuna “differenza”.
Questo è particolarmente evidente nei confronti degli immigrati di colore, che spesso non riusciamo a trattare “come noi”. Lasciando da parte chi vergognosamente li umilia, mi riferisco ai tantissimi che si rivolgono a loro con una indulgenza ed una pietas che assai difficilmente concederebbero ad un loro… condomino.
Insomma, non c’è nulla di più difficile dell’ equità: le emozioni ci dominano sempre ed in tanti ci marciano, nel bene e nel male.
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Mi associo al cordoglio per la morte del Maestro J. Tate. Non avendolo mai visto dal vivo ma solo ascoltato in disco, ignoravo fosse disabile. L’ ho appreso questa mattina leggendo il giornale. La sua musica certamente non lo faceva percepire.
E’ quindi un particolare ininfluente che non mi interessa.
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Gentile Signora, l’accusa, seppur velata, di razzismo, proprio non mi riguarda. Per farsi conoscere in campo musicale ci sono i concorsi e molti altri mezzi “seri” che vagliano seriamente i concorrenti e non la tremenda “vox populi” che altro non è in questo caso che la “vox ignorantiae”. Sono molto sorpreso e dispiaciuto che Lei possa avere questo concetto di me. E’ vero “odi profanum vulgus et arceo” ma proprio questo mi permette di distinguere fra ciarlatani (artigiani) e artisti. Ho apprezzato sempre moltissimo Bruggen, grande esperto e vero artista del flauto diritto e più volte ho avuto modo di applaudirlo quando questo blog non esisteva. Non commetta l’errore di scambiare il rigore con l’alterigia, anticamera del razzismo. Ripeto qui non è questione di mancanza di compassione e sensibilità ma di evitare che vengano presentate le varie re-incarnazioni di Otto e Barnelli come alfieri della musica, quella del “mondo di mezzo” che pretenderebbe il rispetto dovuto all’arte vera ma che strizza l’occhio e il portafoglio a sensibilità più corrive. Credevo, speravo, di avere chiarito a fondo il mio pensiero ma capisco che non sono riuscito a spiegarmi dovutamente. Da bravo professore non imputo l’incomprensione a chi mi legge ma a me stesso per non essere stato chiaro: cercherò di fare meglio anche se spesso mi viene rimproverata una eccessiva “franchezza” e un linguaggio rude e diretto. Ma continuerò a battermi (forse meglio sarebbe dire “a dibattermi”) per sgombrare il campo dai falsi profeti e dai pifferai di Hamelin: purtroppo non siamo in molti a farlo e – forse – in numero sempre minore (compresi quelli che condividono il mio pensiero ma che per convenienza non lo esprimono…). Ma come afferma De Coubertin è importante partecipare non vincere (anche se sarebbe meglio…).
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Il prof. Giovanni Neri ha il pregio della franchezza estrema, ma questo è arcinoto, anche su temi e situazioni di grande delicatezza come la disabilità e i suoi riflessi che si accompagnano sul giudizio delle persone che ne sono affette.
Molti di noi, e io fra questi, siamo più indulgenti (senza accorgercene) di fronte a qualcuno che non risponde agli standard della normalità comunemente intesa e questo di sicuro ci fa sentire meglio con noi stessi.
Ma convengo con il prof. che questo modo di essere ci priva un poco di una corretta capacità di giudizio.
Faccio un esempio volutamente banale: se incontro una persona sgarbata che rientra in una delle categorie di cui accenna anche la signora Marcucci (disabile, anziano, straniero, ecc ma non una donna) tenderò ad attenuare la mia reazione.
E questo non è corretto anche se mi riesce difficile comportarmi diversamente.
Riassunto: concordo con l’opinione del prof. Giovanni Neri.
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Ricordo l’ ultima volta che vidi il mio direttore preferito, Frans Bruggen ( immagino non incontri i gusti del prof. Neri…) alcuni anni fa a Padova. Faticava a raggiungere il suo posto, si muoveva a fatica ma il suo Bach fu il solito: l’ armonia delle imperfezioni.
Insomma, il genio c’è o non c’è, indipendentemente dal corpo in cui è racchiuso.
Purtroppo abbiamo , nei confronti dei “differenti da noi” – mi si intenda in maniera corretta! – nel senso di disabili ma anche di stranieri, anziani, spesso anche donne, un incorreggibile razzismo: non li accettiamo per quello che sono, non li “misuriamo” in modo imparziale. O li si emargina o li si incensa : sempre “casi umani”, pronti a destare “meraviglia” ad usum Delphini.
Non discuto la competenza musicale del maestro Bosso, che non conosco, ma in questo come in tanti altri casi “nostrani” mi chiedo: senza la sua disabilità sarebbe in quel posto? E che dire di Bocelli? Ed il tremendo “Il Volo”, raccoglierebbe il medesimo successo se non avesse iniziato la carriera in TV al tempo in cui i componenti erano bambini?
E che dire, in altri campi, della meraviglia ( ancora!) di vedere “donne” scienziate in posti di assoluta responsabilità? La dottoressa Fabiola Gianotti sarà certamente una scienziata di valore, ma chi, tra il grande pubblico, conosce – e conosceva – il nome dei suoi predecessori maschi?
E mentre alcuni “diversi” vengono inopinatamente “premiati” ( noi siamo buoni!) a tutti gli altri, ai disabili, alle donne ed i bambini “comuni cittadini”, vengono tagliati fondi e sostegno. O resa la vita sempre più complicata.
Noi Italiani siamo così…
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