Recensioni

Lang Lang – Roma 21 Novembre 2014

Il pianismo cinese si sta sempre più prepotentemente affacciando sui palcoscenici internazionali: citiamo fra i più rappresentativi Yuja Wang, il vincitore dello Chopin 2005 Yundi e la giovane ma molto promettente Zhang Zuo. A questi si aggiunge ovviamente l’ormai famosissimo Lang Lang. Dotato di una felicissima mano rappresenta quello che oggi è lo star-system del concertismo, ove apparire conta quanto e più dell’essere (eseguire): l’attenzione del pubblico non deve essere (solo) catturata dall’esecuzione ma anche dall’aspetto (si pensi al caso emblematico di Katia Buniatishvili), dalla gestualità esasperata, dalle espressioni ispirate del volto spesso rivolto al cielo, dal look giovanilistico (camicia sbottonata sotto doppiopetto sportivo) etc. Sotto questo aspetto Lang Lang è il prodotto perfetto e ne sono la prova i cachet astronomici che spunta, che ridicolizzano quelli – ad esempio – del grandissimo Andras Schiiff.  Si noti anche la gestualità nel rapporto con il pubblico: non il ringraziamento ma la condiscendenza di chi elargisce graziosamente e per magnanimità il proprio talento come un imperatore roman0 ai ludi circensi. Purtroppo l’ aspetto artistico non è alla stessa altezza di quello spettacolare. Nel pianismo di Lang si percepisce costantemente la carenza di spessore, l’assenza di un’analisi approfondita, la ricerca di esteriorità a scapito della profondità. Ne è la prova provata l’esecuzione, nella prima parte del concerto, di tre sonate mozartiane. Ad esempio il terzo tempo della sonata  K.310  è stato reso  a mo’ di pianola meccanica, tralasciando tutto il patos che esprime (e la ricerca della velocità ad ogni costo ha portato anche a imperfezioni tecniche assolutamente evitabili). Nella seconda parte il pianista cinese ha eseguito le 4 famosissime ballate chopiniane che, soprattutto nell’ultima, esprimono tutto il mondo musicale del compositore di Zelazowa Wola. Composizioni estremamente impegnative anche sul piano tecnico (in particolare la seconda e la quarta). Qui le libertà interpetative arrivano a stravolgere l’impianto ritmico della partitura (si pensi alle frasi iniziali della prima ballata – dove Lang trasforma due crome in una croma puntata e una semicroma del tutto arbitrarie – e al finale trasformato in uno studio della “grande velocità” di Carl Czerny).  Discorso analogo per la seconda e terza ballata dove in molte parti la velocità nasconde totalmente il canto. Ma è nella quarta dove i limti sono emersi  drammaticamente. Qui il senso profondo del dolore del brano è sparito (a parte nella prima frase) a favore di “effetti speciali” di cui certamente non si sentiva il bisogno. Un’interpretazione insomma che si muove sulla superificie dei brani senza scavare a fondo nella loro essenza. Come bis il grande valzer brillante Chopiniano in versione provocatoria da baraccone e una mozartiana marcia turca “de paura”.  Un finalino degno del concerto. Peccato, veramente peccato. Sia chiaro: Lang Lang, un pianista così dotato, a buona ragione potrebbe (condizionale d’obbligo) inserirsi nell’élite del pianismo mondiale ( NON ai primissimi posti)  se facesse una riflessione approfondita sul suo pianismo e compisse un percorso di maturazione che è certamente alla sua portata (come altri hanno fatto: Kissin, Volodos etc.). Ma forse è tardi, in questo non aiutato dal troppo facile, “cheap” successo. Inutile dire che il pubblico romano  (di bocca assai buona) presente nella sala gremita ha tributato un acritico successo strepitoso al concerto: se ne poteva dubitare?

SadSad

PS Che pena il pubblico “de noantri” che non sa che una sonata non si compone di un solo brano e applaude a sproposito dopo il primo tempo quasi a liberarsi di una fastidiosa prurigine che affligga la maggioranza degli spettatori. L’applauso diventa così un rito liberatorio (si pensi ai ridicoli applausi a mani alzate!) e un goffo tentativo di mascherare la propria ignoranza, non l’espressione del consenso. E’ stata anche violata anche la prassi presente in tutte le sale da concerto serie nelle quali non si applaude durante un ciclo (il caso delle ballate). “Ma ça va sans dire..“.

 

 

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