Recensioni

Kathia Buniatishvili – Milano Quartetto 4 Novembre 2014


Il pianismo di Kathia Buniatishvili può essere unicamente definito come muscolare. Dotata di una tecnica poderosa la giovane (27 anni) pianista georgiana affronta ogni partitura come una sorta di guerra nella quale ”non fare prigionieri”. Lo scopo delle sue interpretazioni è quello di impressionare la parte del pubblico non particolarmente sofisticata con effetti speciali: i “piani” sono pianissimi e lentissimi, i “forti” sempre fortissimi e velocissimi nella completa assenza di tonalità e velocità intermedie. Ogni “piano” è assimilabile (parafrasando il protagonista del “giovane favoloso”) a una sorta di “quiete prima della tempesta” ovvero come un trampolino di lancio per scatenare tutta la potenza di fuoco che la sua dotatissima mano ha a disposizione. Nella Buniatishvili la tecnica non è a supporto della interpretazione ma viceversa: tutto è proteso al raggiungimento superficiale della massima velocità a totale discapito di qualunque ricerca del significato profondo dei brani eseguiti. Ciò è risultato in modo esemplare nell’esecuzione del secondo Scherzo di Chopin in sib minore op. 31 che deve avere risuscitato il grande Arturo per una doverosa vendetta. Il tempo staccato ha trasformato il brano in un valzerino eseguito da una pianola meccanica lanciata a folle velocità senza alcun riguardo allo spirito profondo delle composizione e alla sua articolazione bipartita. Una valutazione analoga vale per “La valse” di Ravel che messa al bando la sottile ironia che pervade la composizione (e tutte quelle sfumature musicali che caratterizzano tutta l’opera del compositore francese) è stata trasformata in una fragorosa e rumorosa esplosione paragonabile solo al ciclone Kathrina. Persino Petrushka di Stravinskij è apparso parzialmente irriconoscibile, soprattutto nella seconda parte nella quale il carattere scherzoso richiederebbe una sensibilità musicale di cui non si è avuta traccia. Forse l’unico brano “sufficiente” è stato i “Quadri di una esposizione” di Musorgskij almeno in alcune delle sezioni e naturalmente ben sapendo che in “Bydlo”, nella “Capanna di Baba Jaga” e nel finale il volume e la velocità esecutiva hanno avuto la meglio su ogni possibile sfumatura. La Buniatishvili pur nella giovane età si confronta con grande svantaggio con altri giovani coevi (Blechaz, Wang, Yundi etc.) che posseggono una ben differente levatura musicale: si può solo auspicare che la naturale maturazione legata all’età abbia ragione del glamour (cifra totalizzante della georgiana attestato financo dallo scollatissimo e fasciatissimo “lamé” che ha messo in eccessivo risalto le sue forme generose) e che una mano così felice venga messa al servizio dell’interpretazione. Ma questo richiederebbe umiltà e studio…
 
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